La stretta di mano

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Fabrizio era un giovane fabbro, artigiano, fabbricante di manufatti in ferro. Nella sua officina prestava servizio un anziano mestierante molto esperto, Adolfo, che pur non essendo più nel pieno delle forze, anche a causa di una menomazione ad un braccio, causata da un pezzo metallico sfuggitogli mentre lavorava al maglio, gli rappresentava comunque un valido aiuto. Il nostro giovane, poco più che ventenne, viveva con i genitori ed una sorella in una modesta casa colonica appresso all’officina, ed era fidanzato con Flora, una bella e robusta ragazza del villaggio, che è situato lungo il corso di un torrente, nella bassa Garfagnana.

I clienti provenivano anche da altre località, sia di quel comune che di altri, e sempre si recavano personalmente da lui, perché a quel tempo, e si era negli anni ‘quaranta’, poco dopo la fine della guerra, era pochissimo diffuso il telefono: nel paese l’unico che, per casi urgenti poteva servire, era quello della ‘Bottega’ del paese, di generi alimentari, e di tanto altro, perfino di trattoria; però funzionavano efficacemente bene le ‘Poste’, che molto lavoravano.

Un giorno si presentò nell’officina un certo Ottavio, di un paese non lontano, giunto con un proprio calesse, per commissionare la costruzione di una ringhiera, lungo la scala esterna della sua abitazione, fino al terrazzo, in sostituzione di quella che c’era, fortemente danneggiata da una cannonata durante il recente tempo di guerra, che infuriò nella nostra terra. Il nuovo arrivato era ben conosciuto da Adolfo, il quale bisbigliò a Fabrizio:

E’ un uomo serio, tutto d’un pezzo; però ha fama di essere avaro: ricordo che per cedere un pezzetto di terra di pochi metri ad un vicino, che gli serviva per accedere ad un proprio campo con grosso carro agricolo, pretese, dopo lunghe trattative, una cifra di denaro esorbitante”.

“Va bene – fece sottovoce il giovane fabbro –, starò attento a precisare tutti i dettagli della lavorazione, delle spese, di come lui intenda pagare, penso sarà a rate…”, e, rivolgendosi al cliente:

“Il lavoro è di una certa importanza: se crede si può definire fra noi, oppure si chiede la collaborazione di un sensale”.

“Penso che un garante ci voglia – approvò l’acquirente -, così evitiamo eventuali dimenticanze, perdita di appunti: per me va bene il suo uomo, Adolfo, del quale so che ha fatto il sensale, sempre con precisione”.

“Anche per me va benissimo – gli rispose Fabrizio -, allora intanto mettiamoci al lavoro, al tavolo!”.

I tre uomini trascorsero più di un’ora per definire tutto ciò che implicava per il lavoro, mentre il sensale prendeva minuziosi appunti di ciò che veniva deciso fra i due in trattativa. Infine, concluso tutto, parlò autorevolmente Adolfo:

“Ed ora, datevi la dovuta ‘stretta di mano’, e via ai lavori!”, ed i due se la dettero, fortemente e a lungo.

Da notare come, a quei tempi, e magari da secoli, l’usanza della stretta di mano era comune: nei paesi, specie nelle feste patronali, avvenivano contratti a mano, col sensale, di compravendite di animali da cortile e non, di ordinazioni di lavori edili, e di tante altre cose, anche le più disparate; ed anche per gli affari più grandi, come per gli immobili, per i terreni, che ci voleva il notaio, il comune, il catasto, certi dettagli non venivano scritti nei contratti ufficiali, ma stipulati verbalmente, avallati dalla stretta di mano. E, quasi sempre, persino coloro che non erano persone corrette, affidabili, tenevano fede a questo impegno.

Il giorno seguente, il nostro giovane si recò in moto al grande magazzino dei materiali per costruzioni, in Fondo Valle, non lontano da Lucca, onde ordinare ciò che gli serviva per fare la balaustra. Il che avvenne; ma nel contempo l’impiegato addetto gli comunicò che c’era stato un improvviso forte aumento dei prezzi, in specie proprio del profilato di ferro, quello che a lui necessitava. Fabrizio, pur contrariato, decise di confermare l’ordinazione: il materiale glielo avrebbero portato con un camioncino, alla sua officina, il giorno dopo.

“Adolfo, brutta notizia – fece il giovane appena sceso di moto -: il prezzo del ferro è aumentato, tanto che praticamente non ci sarebbe più margine per guadagno. Che fare? Penso ci sarà da avvisare Ottavio…”.

“Certamente – gli rispose l’anziano -, questa, diciamo non bella novità, gli va comunicata, è doveroso, è giusto; ma costui chissà come reagirà. Normalmente, in casi simili i due interessati, se sono persone ragionevoli, si accordano rimettendoci il cinquanta per cento a testa, e talvolta è capitato che uno o l’altro si accollasse buona parte della maggiorazione del prezzo; ma altre volte la cosa è finita in lite. Intanto bisogna chiamare Ottavio e, per fare alla svelta, si può incaricare Giovanni, il garzone del nostro macellaio, che abita nel suo paese, di dirgli di venire qui domani, che abbiamo da parlargli”.

“Ottima idea – commentò Fabrizio -, vado subito dal macellaio, da quel ragazzo”.

L’indomani, nella mattinata, ecco che arriva all’officina l’autocarro, scaricando il materiale ordinato, e poco dopo ecco che giunge Ottavio, il cliente, il quale esordì:

“Buongiorno – e, osservando il materiale ammucchiato, proseguì -: mi avete chiamato per farmi vedere tutta questa roba, che è quella del mio lavoro, vero? E’ un bel ferro brunito, farà bella figura quando sarà montato sulla mia casa”.

“ Buondì – gli rispose Fabrizio -, ma c’è un’altra cosa, importante per cui l’ho fatta chiamare, ed è che è aumentato il prezzo del ferro: ecco qua il conto del magazzino”, e gli mostrò la ricevuta del pagamento effettuato.

L’uomo, a tal notizia, rimase imperterrito, come fulminato, in silenzio, ed allora intervenne Adolfo:

Suvvia, Ottavio, dì qualcosa. Cerchiamo di trovarci d’accordo…”.

Il cliente ancora taceva; infine, rivolgendosi a Fabrizio, prese a dire:

“Ma ci siamo stretti la mano, a suggellare quel che si era stabilito…”.

“Me lo immaginavo che ti saresti comportato così – scattò il giovane, infuriato, dandogli del tu -, sapevo che sei un avaraccio, ma non aver paura: sono un uomo di parola, ed il lavoro te lo faccio al prezzo come stabilito; anzi sospendo gli altri lavori che ho in corso per fartelo in pochi giorni, anziché in tre settimane come doveva essere, per chiuderlo il prima possibile!”.

“Voglio sperare che comunque me lo farai ammodo”, borbottò l’uomo.

“Certamente, su questo contaci pure, ché io lavoro sì per vivere, ma anche per la soddisfazione di creare qualcosa di bello, come fossi un artista; e la recinzione in ferro, con i dovuti ornamenti, della scala e del terrazzo, dovranno suscitare, ai passanti, ammirazione e non critiche! Ed ora puoi andare: da Giovanni ti farò sapere quando verremo a montare la balaustra”, concluse il giovane.

Uscendo, accompagnato da Adolfo, il cliente abbozzò un saluto, mentre saliva sul calesse, cui fece riscontro quello dei due fabbri. I quali subito iniziarono la costruzione del manufatto in questione impegnandosi a fondo, unicamente per quel lavoro, secondo la volontà di Fabrizio che, addirittura, persino dopo cena ritornò in officina, cosa che fece pure nei giorni seguenti, nonostante le riprovazioni dei suoi familiari e della sua ragazza. Non solo, ma lavorò anche la domenica pomeriggio, ed alcuni amici, che di li passavano, gli dissero:

“Che fai, Fabrizio? La domenica non si lavora: sei in peccato!”.

“Sapete bene perché lo faccio – replicò l’interpellato -, ma stamani ho preso la Messa, come si deve, ed ora lavoro non per guadagno, ma a rimessa, come fare un’elargizione, un’opera buona…”. Al che quei giovani risero allegramente.

Finalmente si giunse al giorno della fine del lavoro: l’indomani l’avrebbero montato sulla casa. Fabrizio fece avvisare Ottavio e ingaggiò un muratore, per fissare i sostegni della recinzione, il quale possedeva un cavallo ed il relativo barroccio, sul quale avrebbe posto tutto il materiale. Di buon mattino giunsero a destinazione, ed i tre operai furono ricevuti gentilmente dalla moglie di Ottavio: evidentemente questi temeva che Fabrizio gli dicesse qualcosa di brutto. Per prima cosa smontarono la vecchia cancellata, e poi iniziarono a fissare quella nuova; indi a mezzogiorno, declinando l’invito della signora, che li invitava a desinare, andarono a mangiare qualcosa alla locanda del villaggio.

Nel pomeriggio, lavorando alacremente, riuscirono a terminare il lavoro, come programmato. La signora scese ad ammirare la nuova ringhiera:

“E’ bellissima, fa figura, bravi!”, esclamò.

In quel mentre comparve Ottavio, che commentò:

“Veramente avete fatto un ottimo lavoro”.

“Siamo artisti, no!?”, disse Adolfo, per battuta, facendo sorridere tutti.

“Piuttosto – entrò a parlare il muratore -, ricordatevi di non toccare la balaustra, che è murata di fresco, per almeno ventiquattr’ore, meglio per quarantotto”.

A questo punto la signora consegnò a suo marito una busta e, rivolgendosi al giovane fabbro, gli disse:

“Lei ha eseguito il lavoro con un anticipo di parecchi giorni; ed altrettanto mio marito, anziché a rate, vuol pagare l’intera somma, a lei dovuta, in questa unica soluzione”.

Quindi Ottavio passò a Fabrizio la busta con il denaro, ma si vedeva che i due erano un po’ impacciati. Allora la donna, che evidentemente aveva appositamente preparato bevande, ed anche vino e pasticcini su un tavolo lì appresso, esclamò:

“Ed ora facciamo un brindisi per questo, diciamo, capolavoro!”, togliendo il panno che copriva le vivande sul tavolo.

Le cinque persone, festosamente, consumarono il rinfresco e, giunti al momento del commiato, ecco i saluti, con strette di mano; ed anche Fabrizio e Ottavio, dopo un attimo di esitazione, si strinsero le proprie: quasi un miracolo! Ed entrambi si sentirono rasserenati. Infine, i tre lavoratori, a bordo del barroccio che, trainato dal cavallo, aveva preso a muoversi, si scambiarono vistosi gesti di saluto con i due coniugi,

“Arrivederci!”, gridarono gli uni

“Arrivederci!”, risposero gli altri.

 

(scritto nell’agosto 2020)

Commenti

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  1. Gian Gabriele


    Racconto ancorato ad una solida tradizione non solo per il tipo di scrittura quasi visiva, ma anche per la vicenda narrata, resa ancor più realistica da gesti tipici soprattutto nel passato e nella nostra terra. La storia, che si fa, dunque, anche memoria, ci riporta luoghi, personaggi, attività, tradizioni che nascono lontani, rimanendo proiettati nel tempo e in noi. Si assiste alla sottolineatura di un mondo che testimonia la correttezza, l’onestà, la serietà di chi opera e di chi deve ricevere. Ciò viene suggellato dal caratteristico stringersi la mano che si trasforma in simbolo indissolubile di un patto. fra le parti.
    Non secondaria, infine, si fa la caratterizzazione psicologica dei personaggi, che ci appaiono nel loro semplice e naturale esternarsi, quasi a farli nostri.

    Gian Gabriele Benedetti

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