Fantasma d’Oriente (quindicesima puntata)

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31. NELL’HAMMAM e nel quartiere di FANAN

Pierre e Achmed, con un asciugamano avvolto intorno al bacino, sono sdraiati sulla piattaforma di marmo bianco dell’hammam. Poco distanti, altri uomini sono seduti, altri stesi, tra i vapori. I due amici rilassano le loro membra e parlano confidenzialmente.

ACHMED

(con tono di conforto)

Pierre, se hai delle apparizioni di Azyadè, significa che è viva.

Pierre inspira profondamente e si volta prono. In cuor suo desidera e spera la stessa cosa.

Usciti dall’hammam, Pierre e Achmed si abbracciano. Hanno entrambi i volti distesi e i capelli umidi. Ora Pierre è pieno di ottimiscmo e può continuare la sua ricerca. L’acqua lo ha lavato dentro e fuori, si sente bene, come quando è partito dalla Francia. Il conforto dell’amico lo esorta a non mollare. Raggiunge quindi il Greco e l’Armena accogliendoli con un gran sorriso e scusandosi per averli fatti aspettare. I due, fermi in piedi di fianco a un landau guidato da un vecchio cocchiere baffuto, ricambiano il sorriso e lo esortano a proseguire.

IL GRECO

(rivolto al cocchiere)

Allora, monsieur Pierre, vi sentite meglio? Dobbiamo andare, siamo già in ritardo!

Pierre fa di sì col capo e tutti e tre salgono sul landau, diretti al quartiere di Fanan, mentre Hachmed saluta con la mano.

Il landau si ferma in una piazzetta desolata. Le abitazioni, povere e in calce bianca, risalgono la collina ammassate le une alle altre; i pochi vicoli che vi si addentrano sono per lo più scalinate strette e irte. Il vecchio cocchiere baffuto, dal suo sedile si volta verso i passeggeri e, gesticolando con il braccio, dice qualcosa in turco. Il Greco, seduto sul sedile anteriore, si rivolge a Pierre, traducendo.

IL GRECO

Dice che non è possibile andare avanti. Occorre continuare a piedi.

PIERRE

​Digli di attenderci qui.

I tre scendono dal landau. Pierre, guardando la collinetta fatta di tuguri ammassati, si incammina risalendo una angusta scalinata tra le case scalcinate. L’Armena lo raggiunge a passo sicuro, lo supera e con gli occhi gli fa cenno di seguirlo. Il Greco, si incammina per ultimo, guardandosi intorno come a cercare qualcuno.

Aslan Baratar si sporge da una via e li segue con lo sguardo.

L’Armena si ferma davanti ad una porta chiusa solo da una tenda, fatta di ruvida canapa, sporca e lacera. La sposta ed entra.

ARMENA

E’ qui che abita Kadya.

Dice rivolgendosi a Pierre e al Greco.

L’interno è buio, Pierre strizza gli occhi per abituarli alla nuova condizione di luce. La stanza non è che un sottoscala umido e pericolante. In terra, a pochi passi davanti a lui Kadya, vecchia e coperta solo di pochi stracci, giace e geme come un bestia ferita. Il corpo è scarno e rugoso, il volto deformato dalla malattia e dall’indigenza. Kadya fissa Pierre ed assume l’espressione di chi vede un fantasma. Con un lamento, come per proteggersi, si fa scudo portando un braccio davanti alla faccia. L’Armena si fa avanti e le prende la mano alzata, che accarezza, e le sussurra qualche parola in turco; lo fa per calmarla e per spiegarle il motivo della visita. Le due donne confabulano e Kadya di tanto in tanto alza gli occhi verso Pierre, prima smarriti, poi ostili. Continua a parlare con l’Armena in maniera concitata poi alza la voce lanciando come una maledizione verso Pierre.

KADYA

Eulù, eulù.

​ARMENA

Dice che Azyadè è morta.

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