Il farmaco anti-dolore non è efficace? Tutta colpa dei geni

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Perché circa un malato di tumore su quattro continua a provare dolore nonostante le cure prescritte? Perché in questi casi sono necessari dosaggi molto alti di farmaci per alleviare il dolore? La risposta pare sia da cercare nel patrimonio genetico di ciascun paziente perché, stando a quanto riportato in uno studio italiano appena pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research, gli oppioidi utilizzati per la terapia antalgica risultano meno efficaci nelle persone che hanno particolari varianti del Dna. In Italia ogni anno oltre 151mila persone con una neoplasia in fase avanzata necessitano di un piano personalizzato di cura e assistenza per garantire la migliore qualità di vita residua possibile, soprattutto relativamente agli ultimi mesi. La scoperta, però, potrebbe interessare anche altre categorie di malati e tipi di dolore diversi da quello oncologico: “Non sappiamo se il meccanismo individuato valga solo per il dolore da cancro – dice Tommaso Dragani, a capo della struttura Basi molecolari del rischio genetico dell’Istituto nazionale tumori (Int) di Milano, che ha diretto lo studio – si tratta del primo studio sul dolore intenso trattato con oppioidi condotto su tutto il menoma e i risultati potrebbero forse essere applicabili anche ad altri tipi di dolore intenso e ad altri tipi di trattamento farmacologico, ma occorrerà la conferma sperimentale”. Nel corso dello studio i ricercatori milanesi (in collaborazione con l’Università Norvegese di Scienze e Tecnologia di Trondheim, coinvolgendo 17 centri ospedalieri di 11 paesi europei) hanno analizzato il patrimonio genetico di oltre mille pazienti oncologici trattati con oppioidi e confrontato il Dna di chi trae benefici dalla terapia del dolore con quello di chi invece ne trae poco o nessun giovamento. L’analisi ha messo in luce per la prima volta l’esistenza di otto mutazioni relative a geni che controllano la trasmissione del segnale nervoso del dolore. “Si tratta della prima ricerca di questo tipo ad aver analizzato l’intero genoma dell’uomo e non solo alcuni specifici geni – spiega Augusto Caraceni, direttore della Struttura di cure palliative e terapia del dolore dell’Int – le tradizionali variabili cliniche finora testate avevano un valore limitato per spiegare la risposta alla terapia con oppioidi”. I precedenti studi, condotti su campioni di pazienti più ristretti, avevano i infatti indicato che a determinare i maggiori o minori benefici della terapia antalgica potessero essere solo i geni del metabolismo (quelli che cioè regolano l’assorbimento del farmaco da parte dell’organismo) e i recettori degli oppioidi (le molecole della cellula a cui si lega il principio attivo del farmaco e da cui parte l’effetto calmante della sostanza, lungo la catena della trasmissione del segnale nervoso che porta dalla cellula al cervello).- La terapia del dolore nei pazienti con tumore prevede l’uso di morfina e di farmaci affini, gli oppioidi. Ma una percentuale di malati, variabile fra il 20 e il 30 per cento, non risponde alle cure o risponde solo a dosaggi molto alti che spesso causano effetti collaterali (soprattutto sedazione, nausea e vomito) e compromettono la loro qualità di vita. Le otto varianti di Dna individuate dallo studio (reso possibile da finanziamenti di Airc – Associazione Italiana Ricerca sul Cancro, Firc – Fondazione Italiana Ricerca sul Cancro, Fondazione Floriani, Norwegian Research Council e del Sesto Programma quadro dell’Unione Europea) e presenti solo nei soggetti che rispondo poco o per nulla alla terapia contro il dolore potrebbero spiegare, almeno in parte, perché le persone beneficino in maniera diversa della stessa cura. “Un’osservazione che per ora potrebbe suggerire di sottoporre i pazienti con le mutazioni a una terapia diversa dagli oppioidi e con altri tipi di farmaci che riescano ad alleviare immediatamente il dolore – conclude Dragani – inoltre, l’identificazione che abbiamo fatto di nuovi geni coinvolti nella risposta al dolore potrebbe aprire la strada verso la creazione di nuovi medicinali specificamente mirati verso quei geni”

Articolo di Vera Martinella pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi (source)

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