Il valore dell’attesa

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Parafrasando una nota pubblicità potremmo dire che “l’attesa del Natale è già parte del Natale stesso” e non c’è niente di più vero.

Purtroppo, questi tempi bulimici che divorano sé stessi, questa società del “tutto e subito” e questo consumismo che deve sempre venderci qualcosa ci hanno privato di quel desiderio del Natale che cresceva, di giorno in giorno, fino a diventare quasi insostenibile.

Come faccio a spiegare con quanta aspettativa noi ragazzi guardavamo il calendario di Frate Indovino, appeso in tutte le case, contando i giorni che mancavano alla festa più bella, con quanto entusiasmo andavamo a cercare il muschio per il presepio e quanta passione mettevamo nel comporre quella sacra rappresentazione ogni anno uguale eppure diversa?

E quei Re Magi, venuti da lontano, che facevamo avanzare un po’ alla volta in modo che arrivassero alla Capannina proprio al momento giusto della Notte Santa…

Tutto faceva parte di un rituale pieno di sacralità del quale rispettavamo con rigore e grande partecipazione i tempi e i modi.

Scrivo queste righe e mi tornano in mente i ricordi di un Natale di tanto tempo fa…

Quell’anno, contrariamente al solito, la neve fece la sua comparsa già verso la fine d’ottobre, quando molti alberi avevano ancora le chiome intatte. Noi ragazzi accogliemmo con gioia quello che ci sembrava il segnale di un inverno eccezionalmente nevoso ma il nonno Giulio, con la sua pacata saggezza, disse «Quando nevica sulla foglia si rimane con la voglia!» e infatti…

Dopo un tempestoso novembre che ci strapazzò gli ombrelli, dicembre dalle cime imbiancate arrivò a pungere le mani e a far pizzicare i nasi di noi bimbi che la mattina presto ci radunavamo per andare a scuola riempiendo l’aria di quelle buffe nuvolette di fumo che uscivano dalle sciarpe che ci coprivano la bocca.

Alcuni di noi, me compreso, pativano un freddo cane alle ginocchia perché, secondo un pensiero assai diffuso, i pantaloni corti anche d’inverno servivano per “farci crescere temprati”.

Ho sempre pensato che il vero motivo fosse che, per le mamme, una bella strusciata con la spugna alle ginocchia fosse meno gravosa che lavare a mano un paio di pantaloni lunghi ma, forse, sono troppo malizioso…

Ormai mancava poco a Natale e tutto si era svolto secondo quel caro e vecchio copione:

l’Immacolata era passata e gli zampognari, che con i loro mantelli scuri e lo sguardo straniero, riempivano l’aria delle loro note agrodolci se n’erano andati da un po’ e anche la colonnina del mercurio del grande termometro della farmacia si rifiutava di salire verso lo zero.

Grossi candelotti di ghiaccio pendevano dalle grondaie delle case a stento riscaldate dal camino o dalla stufa a legna e nell’aria gelida e immobile dense volute di fumo che odorava di buono si arrampicavano a fatica verso un cielo livido e assente.

In ogni casa gli alberi di Natale, ai cui piedi si ammucchiavano panettoni e panforti, scintillavano di luci e nei presepi i Re Magi stavano ormai raggiungendo la meta.

Mancava solo la Grande Dama Bianca a rendere il Natale di noi bimbi ancora “più Natale”.

Con i nasi all’aria, cercando di fiutarne il caratteristico odore, ci ripetevamo che mancava solo la perturbazione “buona” e per questo ogni sera aspettavamo con trepidazione che il buon Colonnello Bernacca ci annunciasse la lieta novella ma, purtroppo, restavamo sempre delusi.

Arrivò la sera della vigilia e, dopo un ultimo, malinconico, sguardo alle luci dell’albero e al presepio, m’immersi nel gelo col babbo e la mamma per andare alla messa di mezzanotte. Ormai rassegnato a un Natale senza neve, complice la fioca luce delle candele e il poco tepore del riscaldamento a gas le cui esalazioni potevano anestetizzare un elefante, sonnecchiavo nella panca, quando un brivido scosse la chiesa…

NEVICA!!!

Come colpiti da una scossa elettrica tutti i bimbi si svegliarono di colpo e cominciarono a non stare più nella pelle, a stento trattenuti nelle panche dai genitori.

Gli ultimi, interminabili, minuti della messa finirono e a metà benedizione io e i miei amici eravamo già fuori, sul sagrato.

Nevicava fitto e, grazie al terreno asciutto e gelato, gli enormi fiocchi che cadevano lievi avevano già creato un manto di una quindicina di centimetri che ammorbidiva il profilo di tutte le cose e rischiarava la notte riflettendo il bagliore dei lampioni; quanto l’avevamo desiderata, attesa, invocata!

Subito partì una gioiosa battaglia a palle di neve che, impensabilmente, coinvolse anche gli adulti; babbi, mamme, zii si sfidarono “tutti contro tutti” in un coro di grida e risate come non avevo mai visto prima, facendo diventare indimenticabile quella che pensavo sarebbe stata la più scialba delle notti di Natale.

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