Ricordo di zii speciali

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Pietro e Annunziata

Pietro Bertolini e Annunziata Guidi erano miei zii perché Annunziata era la sorella maggiore di mio padre Enrico. Si erano sposati prima della Seconda guerra mondiale e avevano avuto quattro figli.

Lui lavorava nei boschi e lei curava la famiglia ed anche tutti gli animali presenti nel loro podere.

Pietro ogni tanto alzava il gomito, specialmente nei giorni di festa, ma in fondo era un brav’uomo.

Purtroppo, però, Annunziata si ammalò, l’appendice di cui soffriva si trasformò in peritonite e non ci fu niente da fare, morì in pochi giorni.

Pietro amava molto i suoi figli ma non riusciva a riprendersi dalla perdita così aumentò le sue sbornie e furono i figli più grandi ad allevare gli altri due. Il più piccolo di tutti, Franco, quando abitavamo ancora ai Battisti, negli anni ’60, veniva a far visita ai nonni e mi faceva arrabbiare dicendo che la mia nonna era anche la sua, ma io non sentivo ragioni, nascondevo il viso sotto il suo grembiule e mi mettevo a piangere!

Quanto si divertiva Franco!  Lo zio Pietro invece era molto buono con me e mi portava sempre le caramelle soprattutto nei sabati sera di ballo e fu proprio in uno di questi che si trovò una compagna segreta, era una vedova della sua età, ma nessuno avrebbe dovuto saperlo. Gli amici più stretti, invece, lo scoprirono e si resero anche conto che lui era geloso, così durante le serate danzanti si divertivano un po’ alle sue spalle.

Se poi un sabato era presente solo lei, gli raccontavano che aveva ballato con tutti, invece di stare vicino al camino a far la calza, come in realtà faceva.

Allora lui disperato andava dalla padrona a chiedere informazioni e questa, commossa da tanto interesse, gli rispondeva sempre: “Ma Pietro, quelli fanno per ridere, lei è rimasta sempre qui con me, davanti al camino!!!” Allora lui si tranquillizzava e si rimetteva a festeggiare con qualche altro bicchiere.

Un sabato sera, prima di partire da casa, passò dal pollaio e si mise in tasca due uova fresche, da bere poi con un bicchiere di vino, ma, essendo già alticcio, quando entrò dondolando dalla porta, le uova si spaccarono ed inondarono tutta la tasca, costringendo la padrona a ripulirgli la giacca.

Quando i figli furono grandi si trasferirono dalla Val di Corsonna ad Albiano e poco alla volta tutti si fecero una famiglia.

Pietro rimase con i due figli maschi e li aiutava nei campi e nella coltivazione delle viti, che davano del buon vino. Una domenica in particolare fu festa grande per lui perché i figli per sbaglio, lo chiusero in cantina e quando tornarono dormiva come un ghiro!

Ad un certo punto i proprietari del Ciocco comprarono il loro podere in cambio di due terreni con casa in Piangrande. Lì lavorare i campi era più faticoso perché erano enormi e non c’erano viti ma solo prati a fieno, da lavorare a mano.

Quando era il momento della fienagione dovevano tutti aiutare a tagliare, stendere, rivoltare l’erba perché seccasse bene per le mucche, ma non avevano attrezzi agricoli se non un vecchio trattore malandato.

Ma un’estate Pietro, dopo aver rivoltato fieno con la forca per tutta la stagione, disse ai figli: “Sentite, almeno fossero viti invece di fieno!!! Io non ce la faccio più, comprate il voltafieno, ve lo regalo io!” e così fece. Pietro morì poi di vecchiaia dopo qualche anno, circondato dall’affetto di figli e nipoti.

Pietro in cantina

La zia Assunta
Negli anni ’60, a Merizzacchio viveva la sorella di mio padre, Assunta Casci, che aveva due figli maschi e un mulino da mandare avanti. Era sempre stata una donna coraggiosa, saggia, giusta, buona ma anche severa soprattutto con il marito, che aveva un carattere più debole.
Aveva fatto da mamma a mio padre perché era più grande di lui di sette anni e a quel tempo spesso i figli maggiori curavano i più piccoli. Anche da adulti erano molto legati ed avevano due caratteri simili: sempre ottimisti, fiduciosi, capaci di vedere il bicchiere mezzo pieno anche nei momenti più difficili.
La famiglia di Assunta fu la prima della zona ad avere un televisore a batteria e la domenica io e i miei fratelli scendevamo giù dai Battisti per vedere i cartoni animati di Calimero che mi facevano piangere perché finiva sempre nei guai. Quando non ne potevo più mi raggomitolavo in braccio alla zia che mi consolava con una bella fetta di pane e marmellata o di torta fatta da lei, che merenda!
Amavo tanto la sua cucina, che appena arrivavo da lei le sussurravo in un orecchio: “Zia, ho fame!”
Se c’era la mia mamma si arrabbiava e brontolava: “Ma se hai mangiato prima di partire!….
E la zia: “Lasciala fare, non lo sai che il mangiare è più buono a casa d’altri? Sono ragazzi!”.
A Merizzacchio ho seguito anche le prime puntate di Gianburrasca, con Rita Pavone, le altre le ho viste a Catagnana, da un’amica.
Quando i miei genitori dovevano andare via mi lasciavano sempre dalla zia Assunta, un giorno ci portai perfino il triciclo nuovo perché lei aveva un bel piazzale davanti a casa e io potevo girare tranquilla, senza pericoli. Ai Battisti, invece, ogni tanto volavo perché l’aia era tutta sconnessa.
Purtroppo, con il passare del tempo il figlio minore della zia si ammalò e si chiuse sempre più in casa, non voleva vedere nessuno, tranne la madre che se ne fece quasi una malattia e sperava che morisse prima di lei, per non lasciare tale peso al fratello che aveva una famiglia sua.
Quando nel 1993, inaspettatamente, morì mio padre, la prima frase della zia fu: “Era meglio se era morto Mario!” Questo successe pochi anni dopo e in quell’occasione lei disse: “L’ho sistemato, ora posso morire in pace!” e lo fece nel 2003 a Barga, in casa del figlio all’età di quasi novant’anni.

Assunta, al centro con la borsa in mano

Lo zio Pietro
Lo zio Pietro, fratello di mio padre, era nato nel 1925, quindi, durante la guerra era poco più di un ragazzo.
Una domenica di primavera dei primi anni ’40 andò a Barga e vide seduta su un’altalena Giannina, una ragazza carina, elegante e spigliata. I due cominciarono a parlare, a frequentarsi e dopo pochi mesi erano già fidanzati. Cominciarono ben presto a parlare di matrimonio, ma i genitori erano abbastanza contrari perché erano troppo giovani ed il futuro, con la guerra, era molto incerto. Intervenne anche mio padre, che si era sposato poco prima, ma almeno lui aveva vent’anni, loro neanche diciotto!…
“Pietro, non sarà troppo presto? C’è la guerra, sei piccolo, lo farai fra qualche anno, Giannina saprà aspettare!” lo consigliò, ma Pietro arrabbiato rispose:” Tu parli bene perché ce l’hai (una moglie)”.
Questa frase è passata di bocca in bocca in tutta la Val di Corsonna ed è diventata quasi proverbiale!
A diciotto anni i due riuscirono a sposarsi, ma la miseria era tanta e passarono anche momenti brutti, perché i soldi erano sempre meno ed il lavoro scarseggiava. Ben presto arrivarono anche i figli: il maschio nel ’45 e la femmina nel ’47.
Aiutati dai genitori riuscirono poi a migliorare la loro situazione economica ed alla fine si comprarono anche la casa a Barga.
Quello di Pietro è stato un matrimonio povero ma felice, durato ben 76 anni, alla faccia di chi non voleva che si sposassero!
Quando ero piccola, negli anni ’60, lui veniva spesso a casa mia ai Battisti a far visita ai genitori, ma mi faceva sempre arrabbiare perché portava molte caramelle, ma me le faceva sudare: entrava in cucina, distribuiva chicchi ai fratelli e poi dopo avermi fatto patire parecchio, mi consegnava l’intero sacchetto. Un giorno, stanca delle sue trovate, mi nascosi sotto il tavolo di cucina!

 

Pietro e Giannina

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