Si cresce senza saperlo, come i fili d’erba, i capelli e il muschio sul tronco degli alberi. In silenzio, si compiono piccole metamorfosi, attraverso minimi slittamenti io divento altro da quel che ero ieri o una settimana fa. Resto attenta al mio mondo e per oggi aspetto la pioggia, facce adolescenti stropicciate dalla scuola, l’odore del caffè nel primo pomeriggio.
Stare a casa tutto il giorno; sostare su cose note; annotare sogni di seconda mano; assecondare il ritmo del tempo; temporeggiare e resistere; ricominciare da capo; rinunciare a capirmi; carpire l’attimo; desiderare un’altra latitudine; essere incudine e non più martello: sono queste le cose che faccio nei giorni di pioggia, quando rinuncio alla mia pelle e chiedo un guscio di lumaca per non perdere né la strada né l’anima.
Quando la pioggia penetra la terra e il mio torpore, senza chiedere permesso, m’insegna la paziente attesa del momento adatto alla caduta.
Dopo la pioggia, mi resta sempre addosso l’impressione di un accordo segreto e misterioso tra cielo e terra.
Oggi mi restano negli occhi, oltre le gocce di pioggia, le lacrime limpide di una studentessa, in cerca di appigli per tenersi a galla nel mare immenso della sua età bastarda, lacrime coraggiose e lucide, brina a primavera sul mio cuore già vecchio, eppure ancora in cerca di poesia.
Quando piove
penso a cose
note e lievi,
ai tranelli, agli inganni,
alle favole antiche,
ai baci sulle panchine.Il mio cuore
trova sempre riparo
fra le viole e le rose,
ogni battito
è pioggia e menzogna,
somiglia a una formica
oppure a una farfalla
chiede briciole e luce,
e quando è stanco
morde e succhia
bugie.


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