Dopo l’importantissima mostra dell’estate 1980 di cui si è detto nel precedente articolo, con cui si celebrò il “quartetto” di artisti di Barga, si vedranno altri momenti.
Ora però soffermiamoci ancora un poco su questi artisti, tutti ispirati dalla poesia di Pascoli che loro visivamente conobbero e ne furono attratti per quel suo poetare che finalmente, la sua poesia in genere, stava iniziando a scendere tra la gente più umile. Di loro magnificava ogni gesto, come oggi ci canta Fiorella Mannoia: “Chiamali come vuoi / io li chiamo soltanto eroi / eroi di tutti i giorni … Eroi che non ricordi / senza medaglie e senza trono / che non si arrendono davanti a niente / e sono eroi a modo loro.”.
Infatti, così Pascoli insegnò a sentire e vivere tutta questa nostra gente che traeva la vita, nei giorni “dell’Italietta”, dai campi lavorati, il cui prodotto, per i più, era a mezzo con il padrone; dai prodotti che la natura offriva, dagli animali che allevava, e per noi anche dall’andare in giro per il mondo, cercando e ricercando quella fortuna che qui era negata. Fece capire Pascoli che anche questi “ultimi”, lavoratori ed emigranti, hanno occhi e cuore. Così come tutti quelli che sino allora, man mano più elevati nel rango sociale, trovavano nella poesia i loro pensieri, le attese del bello. Terreno che i vati andavano tenendo sollevati sui loro pensieri, su cime che la massa, apprezzava, ma non parlava di loro o lo erano in lontananze non utili, in altre parole erano gli esclusi. Pascoli, come oggi la Mannoia, già li rese eroi, degne vite dai palpiti autentici, tanto da essere innalzate ad esempio per tutti. Così si espresse Massimo Gorki: “Memoria eterna a Giovanni Pascoli, all’uomo che ha ingrandito il tesoro della poesia e la gloria d’Italia”.
Prima pareva che allora tutto fosse inamovibile e poi venne tra noi d’Italia e nel nostro luogo quel Poeta che cantò della Vecchina dell’Alpe protagonista nel poemetto “La Morte del Papa” che fu Leone XIII (ne abbiamo già parlato). Delle veglie nelle case contadine, allora di Castelvecchio di Barga, in cui, tra un bicchiere e l’altro, si parlava tanto di figli e mariti emigrati là nelle “Meriche”, con tavoli su cui erano dispiegate quelle tovaglie arrivate in un pacco d’oltre oceano con sopra disegnate le aquile americane, che il pensieroso e saggio nonno guardava e sperava non li artigliasse senza ritorno.
Pascoli ascoltava e poi le loro vicissitudini innalzate a grande poesia. Come nel poemetto “Italy”, sacro all’Italia raminga, che parla di Molly, Isabella Caproni figlia di Enrico, la bimba nata in America, che malata, è portata in Italia, dalla nonna nella speranza guarisse e poi muore nel vero della vita, al cimitero di Barga c’è sempre la lapide pascoliana che la celebra, ma il Poeta nella poesia fa morire la nonna. Recita la lapide: “O Isabella / fiore nostro nato sull’Ohio / fragile fiore portato al sole d’Italia / ché ti guarisse / o fanciullina soave / mente di luce e cuore d’amore / così rassegnata al tuo precoce martirio / yes dicevi quando ti allontanasti dai tuoi / sì dicesti quando partisti per sempre / a dodici anni / il 9 gennaio del 1906 / Enrico Caproni pose. – G. Pascoli”. (Vedi immagine)
Tutta una lezione con parole uscite da un cuore che ne cercava altri e ne trovò tantissimi e tra questi chi voleva trasportare su tela e tavola o nelle sculture di legno o con gli inchiostri, tutto quel vissuto. Ed ecco Alberto Magri, il poeta del figurato, che racconta non più come i pittori erano soliti fare, ossia, le magnifiche gesta dell’antichità, il panorama bello in se stesso, le nature morte, le antiche rovine, il personaggio accigliato e serioso, ma torna ai primordi dell’arte moderna, se vogliamo al tocco dell’antichità, di chi ancora era incerto nel segno, oppure, e forse meglio, al tocco dei pregiotteschi. E raffigura, fa vedere, per esempio, in una sorta di verismo, la stesa del bucato in una casa colonica del Piangrande di Barga, (all’inizio dell’articolo ne vediamo un particolare), abitazione posta in fronte alle aguzze Apuane, con il sole che si avvia al tramonto e dal monte che andrà a impattare ci dice che siamo a maggio inoltrato. I bimbi giocano al girotondo al canto della celebre filastrocca, i polli con il gallo in testa, passano tra le margherite del campo e si avviano al pollaio. La giovane sposa ha sulla testa il cesto con dentro la parte del bucato tolto che porterà alla casa, mentre l’altra ritira dai fili un lenzuolo, tessuto dalla canapa. Le due nonne ora ne piegano un altro e aspetteranno che la figlia o nuora torni con il cesto vuoto per riporlo lì dentro. Questa è la cifra artistica e prettamente pascoliana di Magri.
Adolfo Balduini di questa vita cantata dal Maestro, di cui condivide l’idealità nuova che solca l’Italia, è incoraggiato a far vedere come vive la gente di questa terra, anche lui attratto dal semplice quotidiano, come nel quadro il “Ritorno dalla Festa” del 1920, in cui si vede una famiglia, davanti tre donne con un bimbo, che suona la sua agognata conquista alla fiera, la trombetta. Da poco è finita la Grande Guerra, dietro di loro una coppia, uomo e donna, babbo e figlia, cui il padre tiene la mano, lei a testa bassa è triste, forse pensando a quel marito o fidanzato che è rimasto là tra le doline del Carso. Balduini raffigura ancora e meravigliosamente anche i giorni dei nostri montagnoli, presi dal quotidiano lavoro che lui scolpisce nel legno, per esempio nel pannello “I mesi dell’anno” e qui a fianco si vede il quadro raffigurante novembre, tempo di semina dei campi. A ognuno dei mesi si accosta un lavoro, una faccenda di vita che la gente esegue in quel tempo. Sono questi i gesti usuali di chi lavora la terra, chi trae dalle pecore la lana per i propri e altrui vestiari, ecc.
Bruno Cordati trafigge i cuori con la sua dolente raffigurazione dei semplici personaggi che si mostrano nei suoi quadri, spesso bimbi, cui la vita ha sottratto qualcosa e loro lo sentono elemento vivo nei loro sguardi, comunemente di una tristezza infinita e indefinita. Pascoli aveva cantato di “Valentino”, vestito di nuovo cui però mancava quel qualcosa che la mamma non aveva la possibilità di comprargli: le scarpe. Pascoli racconta questa storia che finisce con una nota dolente, quella che Cordati prenderà per sempre come messaggio. Valentino ha ora le penne ma come l’uccello ha i piedi nudi. L’uccello è venuto dal mare, così annunziando la primavera, però, nel suo saltare da un ramo all’altro del ciliegio non sa, se oltre al cantare, amare e quel ricercato pane quotidiano, potesse vivere qualche altra felicità. Ed è quella che Cordati pone come un interrogativo sui volti dei suoi bimbi, che mestamente sembra interroghino se stessi su questo mistero che pare la cosa maggiormente offerta dalla vita vissuta.
Umberto Vittorini è nato a Barga, “ai Sichi”, sul costone del monte che si affaccia sul gorgogliante torrente Corsonna che solca la valle tra Sommocolonia e Renaio. Ancor giovane segue la sua famiglia che il padre ha portato alla sua terra d’origine, che è Pisa, ma anche lì, più forte che tra i suoi monti, si fa vivo quel messaggio di quel grande Poeta di cui in molti parlano e lui vive in maniera speciale, sentendo scorrere nelle vene un fremito che come un’onda gli arriva dalla sua terra.
Torna assai spesso dai nonni, dai parenti ed è sempre un contatto con una Barga pervasa dal messaggio pascoliano, dalla sua poesia che ormai ha sacrato ogni cosa nella bellezza delle stagioni, e continua a farlo nel leggere quei poemetti in cui, probabilmente, Vittorini vi s’immerge vivendoli come fossero lettere da casa. Ogni persona, come dicevamo nel passato articolo, ha i suoi maestri ed anche lui l’ha e si vede nei suoi lavori, specialmente i primi della sua lunga carriera. Come disse Alfredo Stefani nel suo giornale locale La Corsonna, in un articolo del 1925, dove presenta a Barga Vittorini, pittore locale di nascita ma perché lontano, ai più è sconosciuto. Lo Stefani lo presenta quasi come un mistico che sa cogliere il bello nelle piccole cose, adesso impegnato in acqueforti dal soggetto pascoliano e soggiunge: “Egli che tanto comprende il Poeta di Castelvecchio, saprà compiere opera di esaltazione di questa terra benedetta dalla natura e amata, fino allo spasimo da artisti, che sanno perpetuare la divina bellezza dei suoi monti e trovano sempre un canto che si esalta in ritmi di colori …”. Dopo oltre cinquant’anni, terminata la sua vita terrena, Vittorini lo vedemmo tornare a voler sognare nell’eterno riposo dalle antiche alture di Sommocolonia. Pisa, Firenze e Milano, ogni luogo mai lo distolse dalla sua terra di Barga.
Gli anni che poi verranno sono all’insegna della celebrazione dei nostri quattro artisti che in vario modo si cerca di ricordare e per l’appunto ora è tempo di tornare al nostro excursus delle loro fortune in loco e non solo. Iniziamo dicendo che alla fine di marzo dell’anno 1981 arriva al Comune di Barga la donazione Umberto Vittorini, composta di una preziosa collezione di trecentoquaranta volumi inerenti alla storia dell’arte, come di due quadri raffiguranti il Maestro e un altro sua moglie Vittorina Mariani, venuta a mancare dopo circa un anno dalla morte del marito. Gli atti della donazione furono svolti dal fratello della moglie di Vittorini, Ernesto Mariani, mentre il nipote Giorgio Bagnoli ne curò l’atto di consegna. Il luogo della conservazione, per l’ovvio godimento al pubblico, fu deciso nella Biblioteca Comunale Fratelli Rosselli, dove ancora oggi è consultabile.
In questo stesso periodo del 1981 si pubblica un numero speciale della “Rivista di Storia Archeologia e Costume”, diretta dal prof. Lera, interamente dedicato al pittore barghigiano Alberto Magri, con circa quaranta immagini dei suoi lavori. La pubblicazione fu preparata dalla Sezione di Barga dell’Istituto Storico Lucchese. Quattro sono gli interventi: la professoressa Ida Cardellini Signorini dell’Università di Pisa, il pittore lucchese Giuseppe Ardinghi, il dott. Umberto Sereni e la dottoressa Giuliana Puccinelli.
Tutto par procedere nel buon segno però ecco che nel solito anno un lettore del Giornale di Barga, il giornalista Giancarlo Marroni, a quella testata fa pervenire una lettera con cui lamenta la dimenticanza in cui è caduto a Barga Adolfo Balduni di cui ricorre il centenario della nascita. Il numero del giornale è di settembre, mese in cui nacque proprio Balduini. Nel successivo numero di ottobre, almeno il giornale celebra la ricorrenza con un articolo in prima pagina, che occupa due delle cinque colonne, a cura di Giordano Francioni, alias Umberto Sereni. Sereni lamenta che neppure un fiore è stato posto sulla sua tomba al cimitero e l’accusato maggiore è ovviamente il Comune di Barga, che non ha fatto affiggere neanche un manifesto di ricordo. La polemica fu efficace perché agli inizi del 1982, sul giornale del febbraio, si fa conoscere che il Comune di Barga aveva realizzato un manifesto con una xilografia di Balduini e a lui dedicato nel centenario dalla nascita.
Intanto nel dicembre 1981, su L’Ora di Barga, lo scrittore Gualtiero Pia, a coronamento dei due recenti centenari, prima quello di Magri nel 1980 e ora di Balduini in questo stesso anno, pensa e pubblica su quella testata una sua idea celebrativa, consistente nel proporre all’Amministrazione Comunale la realizzazione di due lapidi da porre sulle rispettive case dei pittori, affinché se ne perpetui il loro ricordo. Rispetto agli originali, i testi che seguono, sono l’ultima stesura e va detto ancora che purtroppo, dopo venticinque anni, si è realizzata nel 2006 solo la lapide di Magri la quale recita:
In questa casa visse e morì il pittore
Alberto Magri 1880 – 1939
Fra i massimi artisti del primo Novecento
Guardò con anima solitaria
Nel profondo della natura dell’uomo
Sublimando uomini paesaggi e cieli di Barga
G. Pia – Barga 15 ottobre 2006
Mentre di quella pensata per Balduini ci resta solo il testo che mai incontrò la pietra:
Nell’eremo di Sommocolonia
E in questa casa Adolfo Balduini 1881 – 1957
Pittore – xilografo – scultore
Fra i massimi artisti del Novecento
Ricreò con anima solitaria
E sublime armonia di forme
Le opere e i sentimenti degli umili.
I testi delle due lapidi si possono leggere nella breve pubblicazione dello scrivente “Omaggio a Gualtiero Pia”, realizzata dalla Fondazione Ricci e Istituto Storico Lucchese, entrambi di Barga, per l’incontro del 13 maggio 2017, un pomeriggio dedicato, appunto, a Gualtiero Pia (1928 – 2013), amico e collaboratore di chi ora scrive.
Da quel testo mi piace rileggere quanto segue, che è strettamente legato al nostro racconto circa l’ispirazione pascoliana nei pittori di Barga:
“Le motivazioni di entrambe le lapidi, parrà strano, sono da ricondursi al grande amore di Pia per Giovanni Pascoli e lo accorgersi che entrambi i pittori erano stati profondamente ispirati dal messaggio del Poeta, questo di là dal grande merito artistico, di cui era ben consapevole. In pratica, come disse il prof. Cesare Biondi, Giovanni Pascoli con la sua poesia ha elevato spiritualmente e rivelato ogni bellezza che ci circonda, e secondo Gualtiero Pia, chi si era accostato con tanta forza espressiva al Poeta, amandolo e ispirandosi alla sua fonte, era penetrato nell’anima di Barga, tanto da meritarsi simili attenzioni.”.
Detto ciò, come visto, ogni tanto si riparla dei nostri quattro pittori, definiti espressione della nostra “Civiltà del Novecento”, che ora nell’arte hanno diversi discendenti, che ogni tanto abbiamo incontrato nei precedenti articoli, come ora possiamo dire di Romeo Ruggi e Alba Calamari e altri che vedremo prossimamente, grazie a un’iniziativa molto indicativa che nacque a Barga grazie a Gualtiero Pia.
Intanto si arriva al 1982, anno in cui cade il 25° dalla morte di Adolfo Balduini e il sottoscritto pubblica su L’Ora di Barga un articolo che ne ricorda la figura, ovviamente nel suo spessore umano e artistico. Nel finale ecco riapparire l’idea di qualche anno prima, quando dallo scrivente furono celebrati in morte Vittorini e Cordati, ossia, di poter realizzare a Barga una pinacoteca che celebrasse i quattro artisti, magari, unendo a loro anche altri della stupenda stagione novecentesca della pittura a Barga (10), ma ne parleremo con il prossimo articolo. (fine ottava parte-continua)
******************************
10) Pier Giuliano Cecchi: “Adolfo Balduini nel 25° della scomparsa”, L’Ora di Barga, febbraio 1982, n. 47.


Lascia un commento