I miei  nonni

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Ho avuto la fortuna di conoscere tutti e quattro i miei nonni: Annina, Giovanni, Assunta e Pietro

I nonni paterni: Annina e Giovanni

I miei nonni paterni erano sempre vissuti con mio padre e quando cominciarono a percepire ognuno la propria pensione, non volendo lui denaro da loro, ogni mese davano 1000 lire ad ognuno di noi nipoti di casa. La nonna, inoltre, sapendo che il marito forse avrebbe speso tutta la pensione in secchi ed attrezzi per la terra, a metà mese di solito gli diceva che aveva finito i soldi e lui subito le dava parte dei suoi, senza brontolare, così riuscì a farsi un piccolo gruzzoletto che il nonno, trovandolo nell’armadio dopo la sua morte, consegnò a mio padre per le spese funerarie.

Un giorno, visto che il nonno andava a Barga, Annina gli chiese di comprare due paia di lenzuoli matrimoniali perché li aveva quasi finiti ed il nonno tornò con due confezioni di biancheria ricamata a mano, la nonna si arrabbiò: “Ma che ci facciamo noi con questi lenzuoli, non so neanche come lavarli, sei sempre il solito esagerato!”. E il nonno: “Lo sapevo sai?! anche dopo cinquant’anni di convivenza non vuoi rallegrare un po’ il nostro letto, i vecchi non possono godere delle “cose belle”, visto che ora ce le possiamo permettere ?”

La discussione durò qualche giorno, poi, come sempre, vinse la nonna, che passò i lenzuoli a mia sorella e li ricomprò più semplici per loro.

 

La nonna Annina

Erano pochi mesi che abitavamo a Catagnana e molti parenti cominciarono a venire a far visita a mia nonna Annina perché non stava tanto bene di salute.

In realtà si chiamava Marianna Gonnella, era nata nel 1882 ed era la penultima di 11 figli, dei quali la maggioranza si era trasferita da tempo in Inghilterra e lei non li conosceva proprio!

Ogni tanto però , soprattutto ai Battisti, d’estate arrivavano giovani inglesi, figli o nipoti dei suoi fratelli, che portavano bottiglie di Fernet o altri liquori. Nessuno capiva chiaramente quel che dicevano ma probabilmente la nonna li capiva con il cuore….

Verso i tre – quattro anni imparai dove teneva le caramelle, nell’armadio, così tutti i giorni m’intrufolavo in camera sua e prendevo a calci un’anta per riuscire ad aprirla.

La nonna arrivava brontolando e, ridendo sotto i baffi, mi diceva: “Tu sei troppo furba!”, poi mi prendeva in braccio ed io la stringevo.

Ma quanto mi arrabbiavo quando i miei cugini ormai adulti salutavano la mia adorata nonna, dicendo: “Ciao, nonna, come state ?” Questo non lo sopportavo proprio! La nonna era solo mia e dei miei fratelli e, siccome non sopportavo l’altra nonna di Catagnana, mezzo generale, io esclamavo tra le lacrime: “Lascia  stare la mia nonna, va’ a prendere quella di Catagnana!” E la nonna mi dava ragione…

Un giorno arrivò un parente con un sacchetto pieno di mele renette, molto invitanti e la sera la nonna volle farne una cotta sotto la cenere del focolare, così mi disse: “Vai a prendere una mela nella comodina che la cuocio.

Io obbedii ma mentre andavo in camera sentii ciò che avrei voluto sentire dalla nonna: “Prendine una anche per te”. La nonna in realtà non aveva detto niente e si mise a ridere, ma poi ne cosse una anche per me, da dividere con i fratelli che cominciarono a prendermi in giro… Io mi misi a piangere: quella frase l’avevo sentita proprio ed ancor oggi mi chiedo come sia successo… Forse per me era una novità anche una mela renetta!

A dicembre la nonna morì e io commossi tutti con un testo in cui dicevo che le volevo ancora bene, anche se non c’era più. Era lei che ripeteva sempre a mio padre, quando lui fingeva di arrabbiarsi con me: “Lascia stare la bimba, sta’ attento che t’ho fatto , ma ti risfaccio!”. Lui si arrendeva: “C’è d’aver paura della nonna”, e se ne andava sorridendo. Io, allora mi stringevo forte forte al suo collo…

se ne andò una mattina di fine anno dopo due ictus e quando i miei genitori si accorsero che stava morendo mi allontanarono da casa e mi mandarono con mia sorella da mio zio Pietro in Santa Maria .

La notte sentii tornare gli zii che, sottovoce, dettero il triste annuncio alle due nipoti.

I fratelli Assunta e Pompeo

Il nonno Giovanni
Il nonno, figlio del Nisio, era nato agli Antonelli nel 1888; quando la nonna morì diventò sempre più schivo e taciturno, erano insieme dal lontano 1908 e non avevano mai litigato seriamente…. e la nonna di motivi ne avrebbe avuti perché era un uomo che amava la libertà, non sopportava che qualcuno lo guidasse, così spesso perdeva il lavoro.
Durante il ventennio fascista lo avevano assunto come operaio forestale, visto che aveva sei figli, ma quando ci furono le elezioni politiche, lui non andò a votare perché immaginava che fossero truccate: si poteva dare il voto solo ai fascisti e lui non lo sopportava, anche se non lo diceva.
Due mesi dopo le elezioni fu licenziato dalla Forestale e tornò a fare la “bragia”, cioè la carbonella nei suoi boschi, ma il guadagno era poco, anche se la nonna lo aiutava. Così, quando mio padre pagò con i suoi guadagni del carbone, tutti i debiti accumulati, lui gli lasciò l’amministrazione familiare e se ne andò nelle sue selve a costruire muretti a secco e far carbonella, mentre cantava o faceva il bagno in qualche fosso… Era, infatti, molto pulito per quei tempi e si portava sempre dietro saponetta e asciugamano.
Non era un tipo da coccolare i bambini, ma li ricompensava volentieri con monetine se facevano qualcosa per lui.
Morta la nonna si costruì una baracca nel mezzo della selva, a Catagnana; al mattino andava lì e vi trascorreva tutta la giornata, ma prima di partire diceva a mia madre: “Se non puoi mandarmi il desinare è la stessa , io son vecchio, non soffro, pensa ai ragazzi che han sempre fame”.
Io e mio fratello, naturalmente, gli portavamo il pranzo e ci fermavamo ad aiutarlo in qualche lavoretto. Se era la stagione giusta, arrostiva le castagne e le mangiavamo insieme…
Dopo un’estate tribolata il nonno volle andare all’ospedale, visto che vi era ricoverato anche il suo migliore amico, Ferruccio. Una domenica andammo a fargli visita e lui mi chiamò vicino al letto e mi raccomandò di essere sempre una bimba brava poi iniziò a sparlare… Dopo due giorni morì, era il 16 gennaio 1967 e io compivo nove anni…

I nonni materni: Assunta e Pietro
Quando noi ci trasferimmo a Catagnana, i miei nonni materni vivevano già lì dal 1961. Io li conoscevo poco perché erano sempre vissuti lontano da me.

La nonna Assunta
La nonna, Assunta Dele Eletta Renucci era quasi un uomo, un mezzo generale, forte, decisa ma poco amante dei bambini e non conquistò mai le mie simpatie.
Era nata nel 1887 ai Chiozzi, sopra la chiesa di Montebono, era una delle figlie più grandi della famiglia Renucci, composta da almeno otto fra fratelli e sorelle (io credo dodici) che hanno cosparso la zona di numerosi discendenti.
Fu allevata dalla zia Teresa, sorella del padre perché la madre era spesso malata ed in fin di vita chiamò tanto il suo nome.
Da giovane era stata fidanzata per oltre otto anni con un ragazzo emigrato in America, ma la famiglia era contraria perché lui era protestante e così fu costretta a lasciarlo e a sposare il cugino Pietro ex fidanzato della sorella Angela, morta dalla spagnola.
Ebbe da lui quattro figli, un maschio e tre femmine, ma ben presto Pietro si ammalò e lei dovette improvvisarsi capo famiglia, ruolo che ha svolto fino alla sua morte, nel 1975.
Era brava a svolgere lavori maschili, meno in casa e quindi le figlie dovettero poi imparare da sole a gestire l’ambiente familiare. La secondogenita morì nel 1932 a dieci anni dalla gastroenterite, o, come diceva lei, la castenterite.
Lavorava a maglia e all’uncinetto,ma curava poco le sue creazioni, era una gran pettegola e soprattutto sapeva tutto di tutte le coppie di fidanzati che conosceva e s’intrometteva se erano parenti.
Parlava in un dialetto garfagnino – barghigiano – personale: il latte pronto nella bottiglia era “ammannito”, lei si “ammascava” un fatto , non l’immaginava…
Pregava in latino e a noi ragazzi veniva da ridere quando a metà Ave Maria, esclamava: “Truvenci struiesus”(benedetto il frutto del seno tuo , Gesù). E lei infuriata: “Zitte e pregate!”

Il nonno Pietro
Il nonno, Pietro Moscardini, più giovane di lei di dodici anni era tutto il contrario della nonna: socievole, gioviale, sempre allegro e ottimista, amante dei bambini, che portava sempre con sé.
Era nato ai Ghiaccetti, vicino a Lama, nel 1899, era cresciuto lì ed aveva solo un fratello.
Per un periodo la sua famiglia, dal Comune di Fosciandora, si trasferì a coltivare a mezzadria il podere di Rampica, quando lui era molto piccolo, agli inizi del 1900. Il destino poi volle che nel 1961 diventasse il padrone di questa casa, nel frattempo ampliata e ristrutturata.
Il nonno era un giocherellone , prendeva in giro la nonna quando lei si arrabbiava e non seguiva mai i pettegolezzi.
Noi ci divertivamo ad abbracciarlo davanti a lei dicendo: “Ecco il nonnino” e la nonna arrabbiata: “Il mi’ pinchino! Andate a far qualcosa”; il nonno concludeva: “E’ tutta gelosia” e ci abbracciava.
Era lui che mi aiutava quando dovevo portare a pascolare le mucche e quando combinavo qualche guaio.
Mi ricomprò anche i sandali una volta in cui uno di quelli che avevo ai piedi, nuovo di zecca, finì nel pozzo nero perché non li avevo allacciati. La mamma s’infuriò ma lui, il giorno seguente, tornò da Barga con un paio ancora più bello.
Purtroppo, negli ultimi anni della sua vita non mi conosceva più, il medico di allora diceva che soffriva di arteriosclerosi.. E se ne andò in silenzio dopo un anno di malattia, nel 1972.

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