I Docenti dell’ISI di Barga per fermare il massacro a Gaza

- 2

BARGA – E’ stata discussa e firmata dalla prepinderante maggioranza dei docenti dell’ISI di Barga una dichiarazione dal titolo “La scuola non è neutrale: si fermi il massacro a Gaza”. In essa i docenti firmatari dichiarano di voler far sentire forte la loro voce affinché si fermi il genocidio in corso, vengano ripristinati i diritti umani e venga data una speranza e una prospettiva di vita buona e realisticamente realizzabile al popolo palestinese.

Nel documento i docenti esprimono anche la volontà di fornire un messaggio educativo e una testimonianza credibile agli studenti e alle studentesse attraverso una presa di posizione chiara e pubblica in favore della pace, della dignità umana e della legalità internazionale.

“Non possiamo tollerare – si legge – che il nostro paese, così come l’Unione Europea, continui a sostenere o giustificare, omettendo le proprie responsabilità̀ o attraverso l’invio di armamenti, un regime di apartheid, un’occupazione militare sistematica, una politica coloniale e una violenza armata indiscriminata che colpisce la popolazione civile”.

La voce di questi docenti dell’ISI di Barga si aggiunge a quella dei tanti altri delle scuole di Italia dalle quali, in questi giorni, si è levato un grido di dolore: la cultura che viene trasmessa ed elaborata a scuola non può infatti restare impermeabile davanti al massacro che si sta perpetrando a Gaza, anche con l’utilizzo di armi italiane.

 

 

DICHIARAZIONE

DOCENTI ISI BARGA

La scuola non è neutrale: si fermi il massacro a Gaza

  

PREMESSA

In qualità̀ di docenti, riteniamo che il nostro lavoro non si esaurisca nella trasmissione di conoscenze, ma includa la responsabilità̀ profonda di formare cittadini e cittadine consapevoli, capaci di osservare criticamente la realtà̀, di riconoscerne le dinamiche, di nominarle per ciò̀ che sono e di assumersi la responsabilità̀ di prendere posizione. Educare è un atto etico e anche politico: implica il coraggio di scegliere da che parte stare, soprattutto nei momenti storici in cui i valori fondanti della convivenza civile vengono messi in discussione.

Non è sufficiente richiamarsi alle competenze chiave europee, come il pensiero critico, la cittadinanza attiva, la consapevolezza sociale, se, come comunità̀ educante, non siamo disposte e disposti a metterle in pratica nei nostri contesti professionali e pubblici. È per questo che è ormai doveroso, come docenti, interrogarci e prendere posizione rispetto a ciò̀ che accade oggi nel mondo, in particolare all’assedio che colpisce il popolo palestinese da decenni e che negli ultimi due anni ha assunto forme e dimensioni che molte voci autorevoli della comunità̀ internazionale non esitano più a definire genocidarie.

A Gaza 660.000 bambini e ragazzi ad oggi sono privati dell’Istruzione per il terzo anno consecutivo (Fonte UNRWA). Per descrivere tutto questo si può usare il termine “educidio” o “scolasticidio” che indica la sistematica demolizione dei centri di educazione in Palestina e che è stato coniato da Karma Nabulsi, Fellow in politics, all’Università di Oxford nel 2009.

Non possiamo tollerare che il nostro paese, così come l’Unione Europea, continui a sostenere o giustificare, omettendo le proprie responsabilità̀ o attraverso l’invio di armamenti, un regime di apartheid, un’occupazione militare sistematica, una politica coloniale e una violenza armata indiscriminata che colpisce la popolazione civile. Non possiamo più̀ permetterci di rimanere in silenzio: la storia che insegniamo ogni giorno nelle nostre classi ci chiede coerenza. Quello che accadde durante l’età delle conquiste coloniali e durante la Seconda guerra mondiale – e che la storiografia ha definito senza esitazioni “genocidi” – sta accadendo oggi sotto i nostri occhi. È nostro dovere denunciare la drammatica situazione palestinese e chiedere a gran voce l’inizio immediato di soluzioni diplomatiche che portino alla fine delle ostilità̀.

Sappiamo che una parte dell’opinione pubblica internazionale, anche grazie alla mobilitazione della società̀ civile, dei sindacati e dei movimenti studenteschi, ha cominciato a prendere posizione, seppure con timidezza e ritardo. Tuttavia, gli eventi incalzano e la guerra, il riarmo, la distruzione del diritto internazionale e il ritorno a logiche autoritarie sembrano accelerare. La ripresa dell’anno scolastico a settembre sta avvenendo in uno scenario ancora più grave: per questo è urgente che il mondo della scuola, e in particolare il corpo docente, faccia sentire ora la propria voce.

Abbiamo, infatti, il dovere, come educatori e educatrici, di fornire una testimonianza credibile ai nostri studenti e studentesse, mostrando loro che davanti alle ingiustizie e violazioni dei diritti umani non si può rimanere neutrali o tolleranti, poiché questo rischierebbe di collocarsi sul piano di coloro che hanno scelto la via dell’indifferentismo.

 

 

TUTTO CIO’ PREMESSO, COME DOCENTI DELL’ISI DI BARGA

  • esprimiamo una ferma condanna di ogni forma di occupazione, apartheid, colonialismo e genocidio, con particolare riferimento alla situazione in Palestina;
  • ci impegniamo, come educatori e educatrici, nel promuovere la consapevolezza storica e il senso critico nelle nostre classi, anche rispetto all’attualità̀ e al contesto geopolitico;
  • ci impegniamo, fin dall’inizio dell’anno scolastico, a proporre momenti di riflessione pubblica, anche in collaborazione con gli studenti, le famiglie e il territorio, sui temi della pace, dei diritti umani e del diritto internazionale;
  • trasmetteremo questa dichiarazione ai media e ai giornali locali e nazionali, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica;
  • ribadiamo con forza che la scuola non può̀ essere neutrale di fronte alla disumanità̀ e all’ingiustizia, e che il nostro ruolo educativo implica una presa di posizione chiara e pubblica a favore della pace, della dignità̀ umana e della legalità̀ internazionale.

 

Sottoscritto da 110 docenti dell’ISI di Barga

 

Commenti

2


  1. La scuola deve essere neutrale e lasciare agli studenti la facolta’ Di pensarla come vogliono. Portruppo il pensiero unico dominante Di molti docenti (Di sinistra) e’ quello di cercare per forza Di inculcare nella testa degli studenti un pensiero a senso unico. Ora questi insegnanti hanno affrontato il tema dell attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre dove molti giovani innocenti persero la vita? Hanno mai detto nulla agli studenti Che ci sono ostaggi israeliani tutt ora nelle mani di Hamas? Hanno detto qualcosa a riguardo delle ripercussioni e violenze Che molti ebrei in tutto il mondo stanno subendo tra questi l attacco alla sinagoga Di Manchester Di qualche giorno fa. Le manifestazioni Pro Pal incoraggiono violenza contro il popolo ebreo e sono manifestazioni del tutto non pacifiche. Io spero il provveditore agli studi prenda provvedimenti verso questi insegnanti Che perdono tempo a scrivere esposti invece di insegnare. Poi quando si fa Una cosa del genere metteteci i nomi dei firmatari anche se mi posso imaginare a chi e’ venuta l idea Di fare tale cosa.


  2. Il comunicato dei docenti dell’ISI Barga non è un semplice appello alla pace: è un testo dichiaratamente ideologico, costruito su presupposti che trasformano la scuola in un luogo di militanza politica.

    Fin dalle prime righe si legge la formula “la scuola non è neutrale” — espressione che ha radici gramsciane e che trasforma l’atto educativo in “atto politico”. Invece di proporre strumenti critici, il testo rivendica il dovere di “schierarsi”, identificando l’insegnante con il militante e lo studente con il destinatario di una “coscienza nuova”.

    La cornice morale è totalizzante: si parla di “responsabilità profonda” e di “coraggio di scegliere da che parte stare”, con un lessico moralistico (“massacro”, “genocidio”, “disumanità”) che sostituisce la complessità dei fatti con un pathos unilaterale. Israele è presentato come sistema coloniale e genocidario; la guerra a Gaza diventa simbolo universale dell’oppressione, in una retorica tipica del pensiero postcoloniale e della teologia della liberazione.

    Le analogie storiche (Shoah, genocidi del Novecento) vengono usate per colpevolizzare il lettore, e per imporre l’idea che chi tace “è complice”. Ma questa è una distorsione morale: la neutralità in ambito educativo non è indifferenza, è garanzia di libertà intellettuale.

    La scuola, in quanto istituzione pubblica, non può farsi portavoce di un manifesto politico mascherato da “educazione alla pace”. “Educare” non significa imporre categorie ideologiche — significa fornire strumenti di discernimento, aprire alla complessità, far comprendere tutte le parti in causa, anche quelle scomode.

    In questo comunicato, invece, si confonde la compassione con l’attivismo e l’etica con la propaganda. Dietro la parola “pace” si nasconde un’agenda precisa: quella di una pedagogia moralista e postcoloniale, che vede nell’Occidente e in Israele il male sistemico.

    La scuola non deve “scegliere da che parte stare”: deve insegnare a comprendere come si formano le parti. Ogni volta che l’insegnante si trasforma in tribuno morale, la libertà dello studente — e la dignità della scuola — si riducono.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.