Sergio e il nuovo proverbio
A Catagnana, confinava con il nostro terreno, quello di un operaio della SMI di Sommocolonia, Sergio, che era stato testimone di nozze dei miei genitori.
Era un tipo esile, scuro di pelle, ma con due occhi vivaci, specialmente quando aveva bevuto un bicchiere in più. Era sempre tranquillo ed ottimista e se fosse stato ubriaco avrebbe dormito.
Tutti i giorni passava dalla stalla che aveva vicino a casa mia perché lì allevava una mucca, così mungeva il latte e a piedi lo portava a Sommocolonia.
Una mattina preparò la colazione, prese lo zaino ed uscì di casa, imboccò la strada lastricata e giunse a Catagnana in poco tempo, sbrigò tutte le faccende nella stalla e poi si mise a sedere per far colazione, ma la colazione non c’era nello zaino, era rimasta sul tavolo a Sommocolonia.
Pensò un po’ e poi prese una decisione: venne a bussare alla nostra porta e un po’ imbarazzato, disse tutto d’un fiato: “Sono senza colazione, è vero che è vergogna chiederla, ma anche rifiutarla”
La mamma si mise a ridere, lo fece entrare e subito gli preparò qualcosa di caldo. Questa frase, in casa mia, è diventata quasi un proverbio.

Un’altra volta fu invitato a pranzo da mio nonno che festeggiava il suo onomastico il 29 giugno (San Pietro).
“Ora che posso, voglio figli, nipoti e amici intorno a me” diceva ogni anno. Ed ogni anno le figlie aiutavano la nonna, che ormai anziana, non ce la faceva più ad occuparsi adeguatamente delle faccende di casa.
Due o tre giorni prima della festa mia madre ed io andavamo a pulire la sala in cui c’erano soltanto un tavolo con le sedie ed una vetrinetta a due piani dove erano conservati i piatti ed i bicchieri “buoni”. Finita la pulizia, la mamma pensò che potessimo pure apparecchiare la tavola perché il nonno e la nonna mangiavano in cucina e non avrebbero risporcato la sala.
Messa la tovaglia, dovevamo prendere giù piatti e bicchieri che si trovavano nella vetrinetta più alta, ma nessuno arrivava fin lassù, allora la mamma avvicinò una sedia, mi aiutò a salirci sopra e mi disse di porgerle i bicchieri.
Non so perché la sedia, però, si mise a dondolare ed io mi aggrappai alla vetrina per non cadere all’indietro. Il mobile mi seguì, io feci in tempo ad evitarlo anche perché la mamma e la nonna intervennero subito e la vetrina si fermò sulle loro spalle, ma i bicchieri si frantumarono tutti sul pavimento.
Io ero disperata, ma il nonno, con la solita ironia, esclamò: “Ma perché piangi? I negozi di Barga vendono ancora i bicchieri e anche volentieri, domattina torno a comprarli!” e così fece.
Intanto però si era diffusa la voce del piccolo incidente e la mattina della festa, Sergio arrivò dal nonno con un grosso boccale da birra. ”Non potevo rischiare di rimanere senza bicchiere” e subito lo riempì, tra le risate degli invitati.

VALENTINO, il fratello e l’amico
Valentino era il più piccolo di un numero imprecisato di fratelli a cui era morto il papà quando erano ancora piccoli, così i più grandi avevano fatto da genitori ai più piccoli.
In particolare, il maggiore portava Valentino con sé, a far legna e carbone perché lavorava con mio padre.
Certe volte, però il fratello minore beveva e l’altro lo rimproverava, se ci fosse stato bisogno avrebbe minacciato anche di “Conciarlo per le feste”, ma poi, nel giro di qualche giorno, la lite finiva.
Un altro difetto che il fratello non sopportava era che Valentino “Le raccontava grosse”, con tanta naturalezza che chiunque avrebbe abboccato…. Indimenticabile è rimasta la storia delle balle di castagne.
Un lunedì gli operai si ritrovarono, come sempre, per cominciare la settimana lavorativa e a pranzo si raccontavano quello che avevano fatto il giorno prima, gonfiando un po’ i loro meriti.
Valentino, davanti al fratello, disse: “Ieri , io, i miei fratelli e le mogli abbiamo raccolto tante di quelle castagne che quando le ho caricate, ne ho contate otto balle!” E il fratello grande: “Sì , e anche grosse!”
Insieme ad un compagno di sbornie era uno tra ì maggiori giocatori di carte, ubriaconi e racconta – balle della nostra zona. Quando erano tutti e due alticci cominciavano ad abbracciarsi e a dire che si volevano tanto bene, poi spesso si addormentavano con le carte da gioco in mano.
Un sabato sera passò dal bar di Ponte di Catagnana, dove loro andavano sempre, il fratello maggiore che era alla sua ricerca e voleva farlo salire sulla sua auto per riportarlo a casa. Valentino non voleva e cominciò ad urlare: “Io vado a casa in Lambretta con il mio amico, vero ?”. “Certo, lui viene con me! Io guido bene, sai?”
Il fratello provò e riprovò a convincere Valentino, ma poi si spazientì: “Fai come vuoi, la vita è tua, il mal voluto non è mai troppo!” e se ne andò.
Alla chiusura del bar i due salirono alla meglio sulla Lambretta e partirono per raggiungere la casa della sorella di Valentino dove lui di solito dormiva quando era ubriaco, perché era abbastanza vicina al bar ed anche all’abitazione dell’altro che guidò abbastanza bene nonostante una protesi ad un piede, ma all’ultima salita perse il controllo del mezzo e rischiò di farlo cadere in terra.
Fortunatamente riuscì a rialzare la Lambretta ma non si accorse che aveva perso Valentino e quando arrivò dalla sorella guardò indietro e poi si mise a gridare: “Alzati, ho perso tuo fratello!” E lei, abituata a queste scene, rispose: “Disgraziati, se vengo giù vi sistemo io!”, ma poi si spaventò davvero.
“Sono sicuro che fino a cinque minuti fa era seduto dietro di me, ma poi ho frenato….”
I due tornarono indietro lungo la strada percorsa chiamando Valentino a gran voce, finché dal fondo di un burrone pieno di siepi, rovi, acacie si sentì la voce cupa di un uomo che urlava: “Sono quaggiù, venite a salvarmi!”.
Sebbene avesse fatto un bel volo, Valentino aveva solo dei graffi superficiali, così i due furono riaccompagnati a casa e le mogli li tennero agli “arresti” per parecchi giorni.

Il Fiore e il Guidi
A Colle a Pialla avevano il terreno il Fiore e il Guidi, due agricoltori di Sommocolonia. Vicino a loro altre persone acquistarono dei campi e si misero a coltivarli, ma non conoscevano nessuno.
Un giorno venne nei suoi terreni il cognato del Fiore e prestò una zappa ai nuovi arrivati dicendo loro: “La potete tenere anche per domani, ma quando avrete finito non la lasciate qui perché può sparire, portatela su al bar, tanto il Fiore è sicuramente lì”.
I due fecero come era stato chiesto e quando entrarono nel bar chiesero ad un presente, il Guidi, se era il Fiore di Sommocolonia. Lui prontamente rispose: “Bello ero bello da giovane, ma proprio il Fiore no!”
Tutti si misero a ridere, ma non so se poi i due trovarono il padrone della zappa…
Benvenuto, i fichi e il vino
Un altro gran bevitore della zona era Benvenuto, detto “Il Benve”, che, quando era ubriaco spesso si stendeva nella cunetta della strada di Sommocolonia e dormiva lì fino alla mattina; sembrava morto e, negli anni, ha spaventato più di un villeggiante!
In realtà era solo e non teneva né alla sua vita, né al suo aspetto!
Un giorno, mentre mio padre svinava, passò da casa nostra, forse proprio per rimediare qualche bicchiere di vino.
Dopo aver colto dei fichi dalla pianta che era vicino alla porta di cantina, si mise a sedere sotto al tino, un po’ mangiava i fichi e un po’ beveva. Mio padre lo lasciò fare anche perché voleva vedere come andava a finire, visto che esiste un proverbio che dice:
“Se vuoi che Dio ti castighi, metti l’acqua sulle ciliegie e il vino sui fichi”. Almeno un po’ di mal di pancia gli sarebbe dovuto venire…
Ma quando si alzò tutto dondolante esclamò: “Questo sì che è un bel giobbe!” e se ne andò…..




Mariapia
14 Settembre 2025 alle 10:50
Che belle storie le starei ad ascoltare e a leggere per ore