Quando nel ’64 venni ad abitare a Catagnana mi sembrava di essere giunta in un centro importante perché ai Battisti la casa era isolata, i vicini vivevano in realtà ad un chilometro da noi. Qui invece nei pressi della nostra abitazione c’erano altre sei o sette famiglie con bambini e ragazzi.
Il paese, comunque, come oggi era piccolo; al centro c’era la chiesa ed intorno vecchie costruzioni in pietra. Molte case erano sparse qua e là nella campagna coltivata e ben curata. Era però ancora un paese vivo, con il falegname che lavorava nel suo piccolo laboratorio o veniva a riparare finestre e porte a casa, la sarta, anziana e un po’ bisbetica che invece di accorciare i nostri vestiti, li avrebbe volentieri allungati, il piccolo agricoltore che tutte le mattine raggiungeva Barga in bicicletta per servire con prodotti unici e freschi un noto negozio di frutta e verdura…
Nella stagione della raccolta delle olive gestiva un piccolo frantoio, dove tutti i contadini portavano a frangere le olive caricandosi a volte anche i sacchi sulle spalle perché era raggiungibile solo da un sentiero o da un’antica teleferica.
Un po’ fuori dal centro lavorava un vecchio barbiere, incubo dei ragazzi capelloni dei primi anni ’70, perché, se per caso un giovane finiva sotto al suo rasoio, di capelli in testa ne rimanevano pochi!
In cima alla salita che dalla Fontana porta alla chiesa viveva un vetturino esperto nel suo lavoro, ma gran bevitore, che la sera riusciva a riportare i muli nella stalla perché conoscevano la strada da soli.

Giù, alla Fontana, sotto la frana dormiente che ancora minaccia alcune case dopo ben più di cinquant’anni, un ciabattino riparava scarpe e scarponi che dovevano durare il più possibile…
In una piazzetta secondaria una coppia senza figli, tornata dall’Inghilterra, gestiva un piccolo bar, aperto negli ultimi tempi solo nel mese di maggio, perché nel pomeriggio il parroco radunava la maggior parte dei ragazzi anche dei dintorni per la funzione alla Madonna di Montenero, presente nella chiesa.

Ricordo che mia madre mi dava 100 lire e dopo il rito potevo andare a bere un’aranciata San Pellegrino a questo bar. Ero ancora piccola quando chiuse; ne rimaneva solo uno, ma giù al Ponte di Catagnana, gestito da un personaggio originale. Anche a quel tempo erano poche le persone che vi entravano perché, specialmente la mattina, lui non aveva voglia nemmeno di accendere la macchina del caffè.
“Siete stati a Barga, perché non l’avete bevuto là?” mugugnava spesso ai pochi clienti.
Per un certo periodo, nella sala vicino al bar aprì anche un negozietto di alimentari e la gente lo frequentava abbastanza.
Una mattina mia cugina doveva andare a Barga a piedi, così lasciò al barista la lista della spesa da prepararle per il suo ritorno, verso mezzogiorno, ma non si accorse che sul retro del foglietto c’era scritto il nome della cantante Patty Pravo.
Quando mia cugina tornò pagò la spesa e fece l’atto di uscire, il barista la fermò e le disse sconsolato: “Ti ho dato tutto, ma questa Patty Pravo non ce l’ho proprio…”
Mia cugina ringraziò, uscì e rise fino all’arrivo a casa.
Vicino a questo bar un tipico negozio di montagna vendeva di tutto, dai quaderni ai prodotti per la casa, ma rimase aperto solo fino ai primi anni ’70.
Vicino a casa mia viveva una donna di mezza età, straordinaria cercatrice di funghi che, durante tutto l’anno, si lamentava di sentirsi male perché, come diceva lei, soffriva di dolori, ma quando, dai suoi sopralluoghi periodici nel bosco, capiva che la stagione dei funghi era vicina, la si poteva incontrare anche alle cinque del mattino mentre correva come una lepre.
Suo marito faceva il vetturino ed aveva alcuni operai, portava legna e carbone dall’ Appennino a Barga , soprattutto nei giorni di bel tempo, ma a casa aveva anche un vigneto da curare e spesso faceva i salti mortali per riuscire a conciliare i due lavori che non poteva lasciare perché aveva anche una famiglia numerosa. Era già una ventina di giorni che doveva ramare le viti, ma la macchina si era sciupata perché vecchia e in quel momento non aveva il denaro sufficiente per comprarne un’altra.
Una mattina si recò quindi dal suo vicino di casa e gli chiese se potesse prestargli per qualche ora la sua , però l’uomo, sempre gentile, ma avaro e bigotto, gli rispose: “La macchina da ramare e la moglie non si prestano mai!”
Perplesso di fronte a quest’affermazione, l’uomo ringraziò e continuò la sua ricerca. Poco più avanti incontrò un amico con la sua bombola del rame alle spalle che gli chiese: “Con questo sole non sei sull’Appennino?”
“Eh no, dovevo ramare ma non ho trovato qualcuno che mi presti la sua macchina, la mia è rotta”
L’altro, con un passato da migrante ed ora stufo di lavorare, anche perché non ne aveva più bisogno, gli allungò la sua macchina e gli disse: “Usala tu, io ramo la prossima settimana” e poi urlò alla moglie: “Anita, butta la pasta, ho lavorato assai, adesso basta!” … ma erano le dieci del mattino.
Tutte queste persone più o meno particolari, con il passare degli anni, avevano perso anche l’abitudine di recarsi a veglia da una casa all’altra, perciò i luoghi affollati del paese rimanevano la chiesa nei giorni di festa e la scuola, con una pluriclasse dalla prima alla quarta che prima degli anni ’60 era collocata in una casa così vicina alla chiesa che i bambini, se necessario , andavano nel bagno presente nell’edificio religioso. Poi fu costruita la scuola nuova e nel ’64 io andai lì, ma era poco che era aperta .

Gli anziani del paese presto sono morti, molti giovani se ne sono andati, la chiesa è spesso chiusa, la scuola è stata venduta, molte case sono state acquistate da stranieri ed il paese non ha più un’identità propria.
In questo ultimo anno, comunque, io sono tornata a vivere quassù con mia figlia, nel silenzio della natura e sono stata ben accolta dalle poche persone che ancora ci vivono.
Pensando al mio paese ho quindi scritto questi pochi versi:
Paesello
Pochi tetti dal tempo segnati,
intorno prati verdi a sé stessi lasciati,
una fontana che dà il nome alla piazza,
una chiesa bianca che nel cielo scorrazza.
Poco più in là la scuoletta accogliente
in cui spesso si riuniva la gente.
La scuola è chiusa, non c’è più il chiasso dei bimbi,
solo vecchi stanchi e affannati,
ricordano tutti i tempi passati,
quando si diceva che un verde serpente
da un grosso pericolo avesse difeso la gente!
Quale pericolo non ricordano ma
se poi ci credi, male non f .
Da quel tempo il vecchio serpente sul campanile in mostra lui sta,
sarà san Regolo? Forse, chissà!
Il serpente del campanile


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