La storia racconta: il Novecento e l’Aurea Stagione della pittura a Barga. (Terza parte)

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Si riprende il nostro cammino teso alla riconsiderazione dell’importanza del messaggio pascoliano nell’arte figurativa di Barga e lo facciamo ricordando che Alberto Magri, a un anno dalla morte è celebrato a Milano in un volumetto edito da “all’insegna del Pesce d’Oro” serie illustrata n.2, produzione consistente in duecento esemplari numerati, con numerose riproduzioni di quadri, edizione dedicata “Al figlio Giovannino”. Il volumetto, che riporta la seguente datazione “Milano 25 febbraio 1940 – XVIII”, si pregia di un’efficace autobiografia del pittore datata 1929, dieci anni prima della morte. Uno scritto di suo pugno, che ci piace riportare per far dire da lui stesso, come fosse un autoritratto della sua vita e della sua arte:

“Mio padre fu giudice di Tribunale, non conosco pittori nella mia famiglia –Cominciai facendo caricature personali – nel 1902 e 1903 fui a Parigi, dove lavorai per molti giornali umoristici – ritornai e ripresi gli studi universitari a Pisa – poi fui a Firenze farmacista fino al 1910, in seguito mi ritirai a Barga ove dipinsi il polittico attualmente a Mestre – nel 1914 tornai a Firenze ove dipinsi “la casa in ordine e la casa in disordine” e feci un’esposizione personale al Lyceum – fui poi durante la guerra ufficiale farmacista, in seguito (per due anni) insegnante di Scienze alla Scuola Comunale di Intra – poi ancora farmacista a Barga, attualmente sono agente di Banca – Non ho avuto maestri, non ho frequentato nessuna scuola di pittura, ho sempre frequentato le gallerie, le chiese, ecc, ammirando e studiando di preferenza la pittura e scultura del periodo giottesco e pregiottesco.

Ho sempre lavorato lontano del vero dopo avere studiato minuziosamente e lungamente il vero, cercando sempre un’evidente rassomiglianza. Ho seguito nella concezione dei miei lavori la strada dei pregiotteschi cercando di applicarla alla mia vita e modernizzandola sotto tutti i lati. Non ho mai odoperato modelli. Ho sempre avuto avversione per tutto ciò che è fredda riproduzione”.

 

Questo è l’anno in cui soffiano nel mondo venti di guerra che poi produrranno l’uragano devastatore. Cinque anni che cambieranno ogni visione sociale, specialmente in Europa ma anche in ogni dove. L’arte, poco a poco si ferma ma non muore, seppur resti sfregiata, talvolta irrimediabilmente, con tante distruzioni, di fronte all’immensità delle devastazioni, nel caso minimo anche opere di Magri periscono sotto le macerie, non solo sue, ma anche di altri dei nostri pittori, però per loro vuole la fortuna di una vasta quantità di opere, mentre per lo stesso Magri si fa questione assai vitale avendo egli una produzione importantissima ma molto limitata nei numeri.

Poi arriva l’Italia del dopo guerra, e vediamo che tra le moltissime macerie materiali e morali, senza indugi occorre riprendere il cammino, serve si crei un nuovo futuro alla gente, prima parola d’ordine è ricostruire ma anche rianimare la devastata nazione, e per fare ciò assume importanza anche l’idea che nella rinascita sia considerata e concorra anche la cultura in genere così l’arte e l’artigianato. Questi propositi sono la priorità a Barga del Comitato paesano sorto ad hoc con le dette finalità, composto di eminenti personalità ma anche volenterosi cittadini. Da subito, siamo nell’estate 1945, prende in mano le sorti della società barghigiana, ansiosamente presa tra l’attesa dei figli che rientrino dai vari fronti e prigionie, le meste tavole con lo stretto o insufficiente necessario, però si vuole rinascere e riprendersi pian piano i sogni dei divertimenti e quelli del bello che sempre suscitano anche l’arte. Cifra importante per Barga, che ci fa capire molto dell’interesse che avesse per la cultura, è anche la volontà, l’idea di veder rinascere la biblioteca pubblica stoppata dagli eventi bellici, effettivamente inaugurata l’anno 1949 alla presenza di Anita Mondolfo, direttrice della Biblioteca Nazionale di Firenze, che ebbe parole il cui concetto sarebbe da porre su lapide: La prima pubblica biblioteca rinata in Toscana dopo la guerra.

 

Intanto nell’estate 1946 si rivede una mostra d’arte che ospita una “vecchia” firma come Balduini e accanto a lui due nuove promesse di Barga, Colombo Da Prato e Rinaldo Biagioni, un’esposizione che è sunteggiata sul numero unico La Nuova Corsonna dell’ottobre di quell’anno, come affrettata, cioè, poco curata. Il cronista ci dice che fu presentata dal direttore didattico Giuliano Arcangioli, uno dei membri il Comitato rinascita di Barga, il quale tratteggiò i vari personaggi. L’articolo che non ha firma denuncia tutta l’apprensione del momento che poc’anzi si è detto, uno stato che nelle righe si vive a pieno, con l’unica certezza che la rinascita dell’Italia si avrà solo con il duro lavoro dei suoi cittadini.

 

“La raccolta delle olive”, xilografia di Adolfo Balduini, scolpita l’anno 1947 nel bassorilievo a scultura su legno dedicato ai dodici mesi dell’anno.

 

 

L’anno successivo si ripeterà l’esperienza della mostra allargata nei suoi contenuti espositivi. Sul giornale La Patria, del 31 agosto 1947, di ciò si può leggere un articolo a firma di Emilio Biondi che già dal titolo, “Arte e artigianato nella terra di Pascoli”, ci porta direttamente al nostro discorso incentrato sull’importanza della poesia pascoliana nelle menti dei nostri artisti, infatti, è chiaro che tutto il prodotto artistico e artigianale è ancora frutto dell’ispirazione, appunto, pascoliana, così come vedremo seguire. Qui, oltre a ricordare che si è al terzo ferragosto dopo la liberazione, tempo di ricostruzioni materiali e spirituali di Barga, citata come la “Perla della Valle del Serchio”, che per mantenere il suo primato nella cultura e volendo dare un contributo d’idee alla ricostruzione italiana, ha organizzato la detta mostra nel palazzo delle scuole elementari femminili, oggi dov’è la posta e parte del Comune di Barga. Nel presentarla si distinguono le varie aree in cui la mostra è divisa, passando per le donne impegnate ai telai, ai cesellatori su metalli, ai costruttori di attrezzi agricoli, poi si passa ai pittori, cresciuti nel numero.

 

Bruno Cordati: la cui pittura “ha raggiunto l’aristocratica delicatezza che chiameremo leonardesca. Poi Adolfo Balduini: “Temperamento austero di pittore sociale, che ci presenta la pensosa serietà delle nostre donne, la silenziosa sofferenza degli sfollati per la guerra”. Rinaldo Biagioni: che ha esposto, tra l’altro, una “incisione sul legno che rappresenta con impressionante efficacia la meritoria fatica dell’aratura”. Poi si passa alle opere del giovanissimo Giovanni Magri, che ha posto in mostra anche “La vangatura del piano di Barga” del defunto padre Alberto, sua ultima opera datata 1938, una vera e propria poesia del figurato. Poi seguono Colombo, Carlo e Antonio, tutti e tre Da Prato, il primo definito, un’autentica rivelazione e poi Gastone Benassi di Coreglia con i suoi ritratti e paesaggi. Dopo di loro si parla di Gastone Giannotti abile figurinista che abbandonata l’emigrazione ora produce bellissime madonne di gesso, figurini e qui, al pensiero dell’emigrazione, Emilio Biondi vi associa Pascoli con il suo immortale poemetto “Italy”. Parlando di Pascoli, ecco che Biondi, e questo è importante per noi, così definisce il poeta, ormai morto da trentacinque anni: “Che resta ancora per tutti noi barghigiani, in qualunque ramo, l’ispiratore ed il maestro”. Per noi è veramente efficace la definizione di “maestro”, cioè, chi per la sua esperienza è abilitato all’insegnamento, nel caso, a catturare e far proprie le emozioni, cullarle nel cuore, per poi renderle a tutti in prodotti artistici.

 

In questi primi anni post bellici si riportano all’attualità di Barga quei personaggi della pittura, della “Stagione Aurea”, che ancora sono operanti senza defezioni, si pensi a Balduini che nonostante l’arrivo della guerra, nel 1942 aveva mostrato alla Bottega dei Vageri a Viareggio venti quadri, senza riportarne uno a casa, tutti venduti, in mostra anche opere di A. Magri. Nel 1943 mostra ancora a Lucca con vendite e nel 1946 a Genova in occasione del cinquantesimo dalla nascita del Partito Socialista Italiano. Ora, siamo nel 1947, è invitato d’onore a una mostra a San Paolo del Brasile, poi è presente a Cannes e vince ancora il “Premio Città di Reggio Emilia”, attribuitogli durante una mostra di disegno e incisione. Poi è a Milano alla Galleria Salvetti, e altre mostre tra Barga e Lucca. Su invito della sorella di Pascoli, Maria, dipinge la lunetta in alto nella Cappella ove riposa il Poeta nella sua casa, parrebbe scolpisse in questi anni anche i due inginocchiatoi di legno lì presenti.

 

L’anno 1947, su La Nuova Corsonna, si parla di Alberto Magri tramite la penna di Felice Del Beccaro che lo definisce mirabilmente con delle brevi parole poste sotto la sua immagine: “Il poeta del colore. Il disegnatore dell’animo umano”, inutile evidenziare che sarebbero anche queste parole da lapide, perché penso che di più non si possa dire di un uomo fattosi artista e andando avanti a leggere così scolpisce Magri con le sue parole: “Fu un pomeriggio, ricordo. Entrando in una sala affollata di quadri, appoggiati alla rinfusa, scorsi un uomo vestito di nocciola, di quella stoffa che si tesse con la lana caprina nei telari di montagna. Ne osservai la testa rapata ed il volto dai tratti risentiti, quale toscano, dipinto mettiamo, da Andrea Del Castagno. Dalla espressione del volto pensoso si indovinava però una gentilezza di modi del tutto intima, come in certa gente delle nostre campagne. Mi dissero che era Magri, un farmacista che faceva il pittore.”. Chiude il ricordo di Magri il barghigiano Corrado Carradini facendo riflettere tutti su quanto studio metteva in un quadro, che doveva essere mai banale “ E strappò l’anima alla Fonte di Castelvecchio, al polveroso Piangrande, alle zolle nere tagliate dal vomero, ai bigonci stracolmi, e, ultima fatica, al castello di Barga. Un barghigiano che vede l’ultimo quadro di Alberto, non può non sentire l’aerea anima di Barga oltre il campo, oltre il filare delle viti, su su nel degradare prospettico delle nostre case vecchie e dolci, su su fino al Duomo.”.

 

In questi anni, si è già accennato, compaiono nel locale mondo dell’arte nuovi personaggi che ben si tratteggiano in un articolo La Nuova Corsonna del maggio 1947, titolo “Note d’arte”. Qui vediamo si parla di Rinaldo Biagioni, definito scultore e pittore e nell’articolo è pubblicato un suo disegno che raffigura il collega d’arte e di esposizione, Colombo Da Prato, anch’esso assai nuovo nel panorama artistico di Barga, un “pittore fine e di molta sensibilità.”. Con quest’articolo si annuncia che per il ferragosto sarà organizzata “una grande esposizione d’arte a Barga. Il nostro paese è forse uno dei pochi privilegiati paesi d’Italia che abbia avuto l’alto onore di annoverare tre grandi artisti di fama internazionale: Magri, Cordati, Balduini.”. Non è citato Vittorini, solo perché vive lontano, a Milano, seppur qui torni ogni anno d’estate a respirare l’aria di casa e quella pascoliana di cui tanto sente il desiderio e qui, ogni volta apre il suo cavalletto da strada e pittura con raro trasporto dell’anima ogni cosa che gli parli con poesia. Nel 1948 e 1950, torna a essere presente alle biennali di Venezia, ma anche ad altre importanti esposizioni. (Vedi: “Umberto Vittorini visto da Barga”, Pier Giuliano Cecchi, Giornale di Barga e della Valle del Serchio, articoli del 15 e 23 luglio 2016.)                            

 

Sono molti gli anni da cui è scomparso Giovanni Pascoli, ma c’è ancora chi sente e vede in Barga, nel suo cielo, correre e ancora diffondersi la sua poesia. Uno di questi e Franco Monaco (Spezzano della Sila 1915 – Roma 2021), che lavora presso l’Ente Nazionale del Turismo, già vincitore l’anno 1951 del Premio giornalistico Barga, che alla nostra cittadina dedica nel successivo 1952 un denso e bell’articolo dal titolo molto eloquente “Barga, museo vivo dell’arte e dell’armonia”. Quell’articolo fu pubblicato sulla testata romana de’ Il Giornale del Turismo del 17 aprile 1952, dove ci sono degli spunti interessantissimi circa il mondo della pittura a Barga, preceduti da una riflessione su ciò che volle dire per Pascoli la sua permanenza in questa terra. Soggiunse poi che in questi luoghi benedetti per la magnificenza della natura, è semplice farsi artisti, dalle montagne ai piani, presi in visioni georgiche che invitano alla contemplazione esteriore e interiore. Qui Monaco ha un passaggio molto affascinante circa il nostro ripercorrere la presenza del Poeta e l’influsso meditativo che sprigionò nelle menti più sensibili all’arte, nel caso, di chi si dedicò a quella visiva della pittura. Allora, passati settantatré anni, sentiamolo raccontare del nostro mondo:

“Appena fuori dalla cinta cittadina, boscaglie ombrose e fiorite e ruscelli e cascatelle, quegli stessi fra i quali Giovanni Pascoli crebbe poeta ascoltando la voce delle cose a lui più care, le cose semplici, le piccole grandi cose del creato, l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo, le nuvole che vanno, e per le quali poi disse: Barga è la patria di tutta l’opera mia.”.

Monaco a quest’affermazione si rifà a ciò che di queste terre già aveva osservato prima di Pascoli, lo scrittore Giuseppe Giusti (Monsummano Terme 1809 – Firenze 1850), ossia, che questi sono luoghi che incantano pittori e non solo loro, basta che uno abbia occhi e sentimento per guardare. Ecco allora che Monaco si è servito di questa citazione per dire al lettore che l’arte a Barga ne ha giovato moltissimo, infatti, qui c’è “un mazzetto di pennelli da fare invidia a una Accademia: Alberto Magri, scomparso purtroppo alcuni anni or sono. Bruno Cordati, Adolfo Balduini e altri ancora. Gente che, diciamolo subito, ha ricevuto già da molto tempo il crisma ufficiale e più di un riconoscimento nei maggiori convegni d’arte, dalla Biennale di Venezia alle mostre fiorentine …”, di loro facendone notare il penetrante sentimento imbevuto non di “astruserie” ma di sentimento poetico che alzano al puro cielo dell’arte: “Le case loro sono altrettante gallerie della città, aperte cordialmente a tutti …”. Una città in cui domina l’armonia artistica tanto da veder nascere opere da abili cesellatori di metalli da quegli strumenti di morte che sono i bossoli sparati dai cannoni nell’ultima guerra, che qui si fermò per sette lunghi mesi con la Linea Gotica.

 

L’anno 1953 sul giornale “Avvenire d’Italia” del 1° settembre, il giornalista Piero Biffi, parlando del Duomo di Barga, così intitola un suo articolo “Campavano di castagne ma costruirono il Duomo”. Singolare quanto ancora dirà Biffi, ma dopo un simile titolo era quasi ovvio iniziasse quel suo scritto con “Barga Pascoli”. Già questo è molto eloquente circa il contenuto, ma a noi interessa come finisce il suo bellissimo articolo, ossia, con l’inevitabile presenza tra i barghigiani della memoria culturale di Pascoli. Infatti, ecco l’Autore, dopo gli indugi religiosi che il Duomo di Barga gli ha suggerito, terminare il suo scritto con: “Nel campo dei vanti profani … diffusa e radicata nell’anima dei componenti la Comunità di Barga l’affettuosa e cara memoria di Giovanni Pascoli … che conservano integro il sentimento di tenera gratitudine al celebre Cantore dei loro semplici costumi di vita e delle lor cose più belle compiute – in onore della dolce patria”.

Negli anni cinquanta del Novecento ai nostri quattro pittori più “grandi”, oltre a quelli affacciatisi al mondo della pittura e arte barghigiana avanti guerra, abbiamo detto che ora se ne sono aggiunti altri e tutti insieme sentono l’eterna poesia del luogo, da qualche tempo, da quando venne tra noi, maggiormente benedetto ed esaltato dai versi immortali di Pascoli, definito nella prima guida turistica della cittadina del 1952 “Il Poeta di Barga”. Percepiscono quei pittori e artisti o artigiani, ma non solo essi, come un’onda che viene dal cielo di Castelvecchio, dal colle sacro alla cultura nazionale, che aleggia su tutto e loro, ne sono abbracciati e così scende nell’anima. Entra nei loro pensieri e spontaneo e grato nasce un desiderio, quello di rendergli omaggio e cosa migliore non vedono che di quando in quando porre su tela quella casa da cui si levarono i canti “in questa cerchia di monti, sul colle, ove l’argentea cetra del Poeta grande suonò dolcissimo canto immortale.”

 Quasi ogni pittore avrà nella sua produzione e più volte, la Casa Pascoli di Castelvecchio, inevitabile nel paesaggio agreste di Barga ma anche con esplicita dedica alla memoria bella.

Sul finire di questi anni cinquanta, esattamente nel 1957, ecco che anche un altro di quel memorabile quartetto di pittori che ha innalzato Barga a momento della pittura nazionale, ci lascia. Questi è Adolfo Balduini, che il 15 novembre, dopo una decadenza fisica, lascia questo mondo. Su Il Giornale di Barga n. 105, del dicembre 1957, lo ricorda e celebra lo storico e soprattutto poeta, prof. Angelo Duilio Arrighi di Barga, già preside delle allora Magistrali della stessa Barga:

“Come silenzioso visse e operò, silenzioso scomparve Adolfo Balduini … Xilografo, scultore in legno, pittore: in ogni attività segnò l’impronta della sua tempra pensierosa di Artista alieno dal comune e volgare, tutto inteso a cogliere l’intima vita delle cose con chiara acutezza di intuizione.”.

Con la morte prima di Magri e ora di Balduini si riduce a due, Cordati e Vittorini, la testimonianza diretta dell’Aurea stagione della pittura a Barga, ma la memoria dei primi due non morrà con loro e, come vedremo, rimarrà sempre viva tra noi l’arte e il messaggio che essi espressero, sempre compreso emotivamente nel celebrato quartetto d’artisti. Con il prossimo e ultimo articolo vedremo come procederà la nostra storia. (Fine terza parte – Continua)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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