Come si è finito il precedente articolo, oggi siamo ancora a osservare l’arte di Magri e così ne parla ancora Alessandro Parronchi, il grande esegeta del nostro pittore, nel libro “Artisti toscani del primo Novecento” del 1958 (4), infatti, per il suo soggetto del Cantastorie, come ispirazione, vedono a pag. 105, vorrebbe che essa derivasse dalla poesia “Il mendico” di Pascoli:
“La figura del Cantastorie, specie di ironico autoritratto, trovata, non duro fatica ad ammetterlo, di natura non pittorica, e piuttosto moralistico – sentimentale, derivata probabilmente dal Mendico del Pascoli, nella quale tuttavia si rintraccia non poco non poco del sapore segreto di quegli anni, in cui l’uomo viene a trovarsi sopraffatto da forze travolgenti e paurose. Una naturale gentilezza salva questo Cantastorie dalla più tarda retorica, di sapore novecentesco, dei personaggi “sironiani”, e soprattutto, a salvarlo, è il suo gesto, non crudamente stagliato nel quadro, ma, di volta in volta, sempre come atteggiato dolorosamente nella memoria.”.
Quest’osservazione di Parronchi si amplia poco più sotto, quando lo stesso, soffermandosi ancora sulla possibile genesi del Cantastorie, osserva che ci fu pure un altro poeta, soggiunge, dimenticato, che dell’uomo volle dare una sua personale dimensione, come Pascoli ci dice del fanciullino, questi parla della marionetta, che “improvvisa sbuca da dentro e sgambetta”. Non sa dire se Magri abbia mai conosciuto l’autore che fu Guido Pereyra (Firenze 1881- 1968), e se mai abbia saputo di ciò che egli dice in proposito nel VII canto del suo “Libro del Collare”, databile al 1913-14 e noi possiamo solo aggiungere che in quegli anni ci fu un breve ritorno a Firenze di Magri ma qui ci fermiamo. Parronchi ci invita ancora a riflettere che il 1914 è l’anno in cui nasce la marionetta più celebre al mondo: Charlot. Comunque sia non si sottovaluti l’aspetto che si dipinge evidente nei quadri di Magri, ossia, che la sua “marionetta cubista” cerca, tende la mano per un’elemosina, forse vorrebbe comprensione, compassione, come fosse, appunto, “Il mendico” di Pascoli.
Ecco ancora Parronchi che scrive di Magri nel 1972, con un testo molto efficace: “La fatica e la fede” (5), scritto per il catalogo della mostra dello stesso Magri a Prato, presso la Galleria Falsetti. Parronchi termina questo suo intervento critico di venti pagine sull’artista Magri, con una riflessione circa la sua arte che è molto eloquente nell’indicarci il valore poetico delle sue rappresentazioni da vero poeta del figurato, il “cantastorie” di tutti i giorni che sa “esprimere il cristallo del cielo sulle Apuane, la bontà del sudore contadino, lo schiamazzo di un volo di colombi. Qui sta la sua ginnastica, il suo atletismo intellettuale … il suo rimettersi bonariamente sulla strada di una pratica che gli antichi possedevano e che poi è andata perduta.”. L’arte di Magri dice ancora, Parronchi non cita Pascoli, ma non resta difficile considerarlo nell’assimilare le umili giornate di un contadino raffigurate dal pittore, tuffate nel messaggio che da Castelvecchio si levava nei cieli, inneggiante alla sacra fatica degli umili gesti, quelle piccole cose che fanno grande il sentimento.
Tra questo primo Parronchi del 1958 e il secondo del 1972, in Barga procede l’evolversi della diffusione conoscitiva dei grandi pittori appartenenti all’aurea stagione in gran parte ispirata dalla poesia Giovanni Pascoli e di cui stiamo parlando. Ormai, però, ora ridotta ha solo due testimoni viventi, lo stanziale Bruno Cordati cui si aggiunge nelle estati Umberto Vittorini che torna con un particolare trasporto dell’anima da Milano alla terra che lo vide nascere, specialmente dopo che aveva raggiunto la pensione di professore all’Accademia di Brera. Di lui si annuncia sul locale Giornale di Barga, era il settembre 1961, che aveva vinto un premio e dal breve contenuto capiamo che occorse rispolverare la memoria dei lettori circa il suo legame con il luogo, infatti, si annota che si stesse parlando di un artista che qui era nato:
“Recentemente un consistente premio per la pittura è stato attribuito al nostro concittadino Prof. Umberto Vittorini che fu docente dell’Accademia di Brera a Milano, ove attualmente risiede.
Egli nacque in località detta ai Campi, oggi chiamata ai Sighi della parrocchia di Sommocolonia. Il Prof. Vittorini viene tutti gli anni in villeggiatura a Barga colla consorte. A lui porgiamo le nostre vive felicitazioni.”.
Si è accennato che in Barga continuasse la suggestione della grande stagione aurea della pittura ispirata da Pascoli e fattasi reale poesia figurata nei nostri quattro grandi e specialmente Il Giornale di Barga di Bruno Sereni, che è un mensile, ne tesse le lodi in piccoli ma importanti accenni in vari articoli, finché non si accorge lo stesso direttore che nel 1964 cadrebbero i venticinque anni dalla morte di Magri. Cosicché nell’ottobre 1963, sul giornale, inizia a pubblicare tutta una serie di articoli che richiamano l’attenzione all’artista descrivendo con la sua penna calda, forbita e sensibile le tappe della vita del Maestro.
Con il primo articolo si lascia intendere che anche l’Amministrazione del Comune di Barga sia intenzionata a celebrarlo e oggi io posso dire, avendolo sentito raccontare a me proprio da Bruno Sereni, che purtroppo non si fece niente. Comunque, Sereni aveva dato il suo importante contributo con ben otto articoli, con la grande soddisfazione di aver reso omaggio a Magri, ma anche con due finali rimpianti: che non si fece niente di celebrativo, salvo che deporre sulla tomba di Magri un mazzo di fiori, e ciò che aveva scritto, volendolo raccogliere in un libro, rimase invece solo sul giornale.
Così iniziava il suo primo articolo intitolato “A Parigi”:
“Il 25 febbraio di quest’altr’anno ricorre il venticinquesimo della morte di Alberto Magri e nel giugno il cinquantesimo della sua prima mostra personale al Lyceum di Firenze. … L’Amm. Comunale, sensibile a rendere omaggio … ha in programma una serie di manifestazioni … A questo doveroso omaggio cittadino il nostro giornale si associa con una serie di articoli … Il Giornale di Barga.”. (6)
Sono articoli che vanno letti e per farlo si può ricorrere alla Biblioteca Comunale Fratelli Rosselli a Barga, dove sono raccolti quei giornali, e qui si deve fare un incitamento al Comune di Barga affinché possa riprendere a dotare del detto giornale l’importante istituzione, cosicché un domani un qualsiasi ricercatore di cose locali possa avere presso la stessa e importante struttura culturale l’occasione di leggere cosa si mosse a Barga in quell’anno o in quell’altro.
Il primo articolo di Bruno Sereni vede il nostro giovane Magri raggiungere Parigi, il sogno per chi avesse voluto percorrere la strada dell’arte. Vi rimase circa due anni collaborando come caricaturista a diversi giornali ma il richiamo della terra degli avi si fece forte. Sentiva il bisogno del ritorno e così fu nei modi che abbiamo già detto. Sereni termina l’articolo con un’emozionante visione dell’artista che tornato a Barga, salito dalla sua casa in via del Pretorio al vicino sagrato del Duomo, ecco che in un tramonto apuano dei più belli, prese la decisione di farsi pittore:
“Tornai in Italia, fui a Barga a rimettermi prima di continuare gli studi all’Università, e la decisione di consacrarmi alla pittura la presi una sera mentre guardavo il sole tramontare dietro le Apuane, dall’Aringo.”.
Con il secondo articolo Sereni ci mostra la Barga estiva dei primi anni del Novecento, quando Magri, con la famiglia, da Pisa ritornava alla loro casa della stessa Barga. Si rivive il tempo in cui la cittadina aveva i suoi grandi arrivi, da Pannunzio, agli Zerboglio, Biondi, Tagliacozzo, ecc, e specialmente la famiglia di Averardo Borsi con il figlio Giosuè, amico di Magri. Con lui viaggiava a piedi sui monti circonvicini e si dice che egli fosse impetuoso e Alberto riflessivo e qui mi piace affiancare all’immagine di Magri taciturno e silenzioso quell’immagine trasognata che Giosuè Borsi vide e poi decantò, di quel pretino secco come un uscio, e che lui, se si fosse fatto prete, avrebbe voluto tanto assomigliargli, cioè, essere come lui con cui si accompagnava per le vie ripide del castello di Barga. Questi era il canonico don Enrico Marcucci, nominato per tradizione familiare “Il Dorme”, che volle vivere riflessivo, pensieroso e sereno nel suo aiuto ai poveri. Ecco che Alberto Magri se noi si guardasse in foto avendo a fianco il Canonico, i due potrebbero sembrare fratelli e, forse, si somigliarono anche nel loro essere stretti nell’amore per il prossimo. In Magri questa propensione dell’anima è visiva nei suoi quadri, per il Canonico era un’attività giornaliera.
Si ricorda anche di quando Magri con il quadro “Piazza Garibaldi”, titolo dell’articolo, vinse a Lucca l’anno 1934 il Premio Caselli e alla vista di quella pittura, quanto di essa chiacchierarono i critici così la gente che la vide. Allora Magri era direttore a Barga della Monte de Paschi di Siena, e dovette portare per qualche giorno il quadro in ufficio, perché, per la grande pubblicità seguita alle discussioni sull’opera, tutti volevano vederla. Volevano vedere quelle case traballanti, le persone senza piedi, i volti senza sguardi, Garibaldi che c’è, ma non si vede, e quel Cantastorie che raccontava cantando al suono della sua chitarra le gesta di quel Generale e tutti lì, grandi e piccini, presi ad ascoltare.
Nel terzo articolo si parla del grande incontro tra Magri e Viani, un sodalizio umano e artistico di prim’ordine, vicendevolmente sentito importantissimo. Poi segue la mostra che tenne al Lyceum a Firenze e il suo espresso concetto “che l’arte deve essere più espressiva del vero”. Così chiude l’articolo Bruno Sereni: “La pittura del Magri, non era descrittiva, né celebrativa, era una pittura intima nata dal travaglio della tecnica con il bisogno dell’anima di esprimere un profondo sentimento di poesia.”.
Nel successivo articolo Sereni indaga le esperienze della mostra alla Famiglia Artistica di Magri a Milano e poi nell’altro eccoci a Torino, con i corvi che girano sulla stazione nel quadro in cui Magri dell’avvenimento ne fece il suo personale ricordo.
Negli ultimi due articoli Sereni affronta la “Solitudine” di Magri e poi “L’ultimo incontro”.

L’impegno di Bruno Sereni fu molto importante per il futuro ricordo di Magri, che ebbe l’effetto di fare da traino circa l’attenzione da prestare agli altri restanti del “quartetto di pittori barghigiani”. Non solo loro ne giovarono ma a tutti quelli che allora e prima si dettero in Barga all’arte della pittura, ecc. Infatti, nel successivo 1965, quando si realizza dopo più di dieci anni la nuova guida di Barga, vediamo che sul frontespizio fu posto un quadro proprio di Magri. Un’opera che fu donata dal pittore al poeta Giovanni Pascoli e si tratta del piazzale dell’antichissimo Fosso, poi intitolato a Vittorio Emanuele II, e l’artistica immagine riproduce un giorno di festa a Barga, però dopo il 28 agosto 1905, anno che fu inaugurato il monumento al patriota barghigiano Antonio Mordini che è alla cima dei degradanti piccoli prati a semicerchio con le sedute per la gente. L’inaugurazione avvenne proprio con un’orazione di Pascoli e il quadro parrebbe un omaggio all’avvenimento che ebbe una bella rilevanza nazionale.
Nello stesso anno della guida di Barga ecco che si pubblica un libro molto interessante, si potrebbe dire che sia un testo che rimane come una pietra miliare per le molte notizie storiche che in esso si contengono e per noi, specialmente sui nostri pittori ma anche altri di loro, anch’essi di non comune spessore artistico. Unico neo, che non si dice niente di Umberto Vittorini, rimasto inosservato, forse perché lontano da Barga. (7)
Invece si parla assai di Alberto Magri e per farlo ci si appoggia alle efficaci parole del Sen. Adolfo Zerboglio, dal suo libro “Barga memorie e note vagabonde”, del 1929, che ben esemplifica la sua arte “Barga dipinta da Magri anche in loco ha sempre una sua voce che supera la realtà nuda, in quanto nel quadro rimbalza il –quid- materialmente inafferrabile … è facile intuire che, uscendo dallo studio di Alberto Magri si sente di essere stati da … qualcuno.” Dopo Magri ecco subito Adolfo Balduini, di cui si traccia l’iter della sua vita, dicendo che dieci volte traversò il mare per l’Argentina, dove i suoi con lui erano emigrati. Si sposò a Barga e qui rimase, più a lungo nella frazione, il castello di Sommocolonia, poi a Barga. Pittore, xilografo e scultore di legno, si danno cenni sui vari rami della sua arte. Infine Bruno Cordati, che con l’assente Vittorini, sono il duo che ancora vive e possono dare ancora delle importanti testimonianze.
Infine si elencano, si fa per dire, i “nuovi” artisti che sono Rinaldo Biagioni, del quale si dice che avesse conseguito la maturità artistica e il diploma in scultura all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Insegnante, “esercita la libera professione di pittore e scultore.”.
Barga e i pittori Da Prato
Poi ecco ancora nel solito libro il ricordo di Colombo Da prato capostipite di una genealogia di pittori, tutti ormai deceduti, imparentati con lui: il figlio Giovanni, che al tempo del libro era già morto avendo lasciato quadri di una vera sensibilità d’artista. Poi il nipote Carlo Da Prato, diplomato al Passaglia di Lucca, mentre per i tempi successivi rispetto al libro della Iacopucci, possiamo dire di suo fratello Persio, oggigiorno del vivente nipote Fabrizio Da Prato. Da ultimo citiamo un altro Da Prato, anch’egli ormai da qualche tempo morto, che di loro non pare fosse parente, e si chiamava Antonio detto Tonino, il quale era pittore che aveva frequentato la scuola di disegno della Fratellanza Artigiana Barga, poi emigrato negli Stati Uniti dove morì. Fu un ottimo restauratore di quadri e altari e fu anche un bravissimo decoratore, di quest’ultima espressione artistica un suo importantissimo lavoro è la pittura del bel soffitto al Teatro dei Differenti a Barga. (fine quinta parte – continua)
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4) Alessandro Parronchi: “Artisti Toscani del Primo Novecento”. Sansoni Firenze – Stampato da S.P.A. Poligrafici “Il Resto del Carlino”, Bologna 1958.
Per Alberto Magri vedi a pagg. 92-116, con ventisei tavole in sequenza di quadri fuori testo, poste in appendice tra esempi pittorici di altri artisti.
5) A cura di Alessandro Parronchi: “Novecento inedito – Alberto Magri”. Galleria d’Arte Moderna Falsetti, Prato. Esposizione dall’8 al 30 aprile 1972. Testo stampato in 1000 esemplari dalla Galleria che sopra, per i tipi delle Produzioni Grafiche Moderne Giovacchini in Firenze, marzo 1972.
6) Bruno Sereni: sul suo Giornale di Barga pubblica otto articoli tra la fine del 1963 e gli inizi del 1964, tutti sotto il titolo complessivo di “Alberto Magri, pittore barghigiano, (1880-1939) ”. 1° articolo “Parigi”, ottobre 1963 – 2° “Piazza Garibaldi”, novembre 1963 – 3° “Alberto Magri e Lorenzo Viani”, dicembre 1963 – 4° “Magri al Lyceum di Firenze”, gennaio 1964 – 5° “Alberto Magri espone a Milano”, febbraio 1964 – 6° “Ritorno a Barga”, marzo 1964 – 7° “Solitudine”, aprile 1964 – 8° “L’ultimo incontro”, maggio 1964.
7) Pina Iacopucci Marroni: “Barga e i suoi castelli – Fornaci”. Gasperetti 1965 Barga.


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