Come si spera che sia stato capito con i precedenti articoli, Barga e i suoi pittori sono una vera e bella favola che sul finire degli anni ’50 del Novecento continua ad affascinare chi si è apprestato a leggerla; molti sono coloro che l’hanno fatto, altri ne sono e saranno invogliati.
Degli artisti, tra tutti, chi maggiormente fa parlare la critica è Alberto Magri, perché ha una certa popolarità, anche perché non mancano gli articoli che ne richiamano l’attenzione. Tra le varie firme che si cimentano ad affrontare il personaggio eccoci al singolare Vittorio Vettori (1920-2004) uno dei maggiori intellettuali del dopo guerra italiano. Questi firma su Il Tirreno del 27 aprile 1959 un articolo abbastanza singolare dal titolo “Abbasso Parigi Viva Barga”, che fu il grido che il pittore lasciò su di un muro, di Parigi, al momento del suo rientro a Barga e che ora, nel 1959, Vettori usa per la sua idea “In Garfagnana fra Pascoli e strapaese”, “Fu un giovane artista barghigiano, anticipatore di Maccari e Longanesi, a tracciare su un muro della <Ville Lumière>, il sintetico programma di strapaese”. (1)
L’articolo inizia con l’avviarsi dell’autore da Lucca a Barga, dove lasciando i piani coltivati ora questi poco alla volta lasciano spazio all’immergersi tra i castagni cantati da Pascoli, con l’ovvio rifarsi alle parole che del poeta, giunto alla stessa Barga, aveva letto sulla porta del campanile del Duomo, da lassù ammirando ogni cosa che l’occhio abbraccia nella meravigliosa conca che sta tra gli Appennini e le Apuane. Con Vettori è un amico che egli stesso definisce poeta e di lui cita nome e cognome: Antonio Corsi. Insieme, poi, ora sono entrati in chiesa e vedono una vecchietta che prega e, subito, a entrambi torna alla memoria la nonna pascoliana del poemetto “La morte del Papa”, di cui si è già parlato nella prima parte del presente lavoro. Ora Vettori si sofferma nell’articolo a ripetere un particolare passo del poemetto, “a quel suo memorabile colloquio col nipotino orfano”, che è lì con il nonno, padre del babbo morto. Il ragazzo ha tra le mani, tra frasche di faggio, una ricotta che è per lei ed ecco Vettori che ora fa parlare Pascoli che dà voce alla vecchia nonna, che tutta presa nel suo immaginato ultimo viaggio con il suo gemello, il morente Papa Leone XIII, così risponde al cortese gesto del bimbo, mentre mestava una farinata di castagne:
“ … Ella guardò, mestando. O che gli porti,
Nini, alla nonna? O che tu l’hai saputo
ch’io vado in pace, a ritrovare i morti?
Che glielo faccio a babbo, omo, un saluto?
Che gli dico del bimbo? Eh! gli vuol detto
ch’è savio, che dà retta, ch’è d’aiuto;
ch’ha il grembialino, ch’ha il rastellinetto,
che va colle sue genti alle faccende,
anco alla ruspa dopo fatto appietto;
e ch’abbada alle pecore, e contende
se vanno al danno, e poi che fa in Corsonna
le vetrici e le monda e le rivende.
Va colassù, va colassù, la nonna,
con uno che ci sa; che può, se vuole,
anco portarla avanti alla Madonna. …”.
Vettori non lo dice chiaramente ma quel suo riferirsi a Pascoli, di là dal fatto che siamo a Barga e sia citazione più che ovvia, anche doverosa, però, si percepisce che il poeta ha un ruolo molto importante nello strapaese. Una condizione dello spirito che però non è del tutto calzante circa quello che Vettori intende, perché c’è in Pascoli un richiamare la cultura a osservare quelle radici italiane che sono fatte di duro lavoro ogni giorno, gente che prega, ama e più che altro spera. Nella sua poesia è tutto un canto per loro, li fa attori primi del suo pellegrinaggio del cuore. Dice che quella gente, umile e povera, che vede i figli allontanarsi per il mondo in cerca di fortuna, ha una sua dignità che merita d’essere indicata a tutti, perché come ogni persona sono protagonisti del mondo. Qui è la grande novità della poesia di Pascoli, non più per i soli eletti o superficialmente carezzevole, ma che invece racconti il vero della complessità umana che vive i giorni e li costruisce ed è un tutt’uno riferirsi al nuovo verbo umanitario che ha introdotto tra la gente il nato socialismo. Ecco allora che Magri ha bevuto a larghi sorsi questa lezione di vita pascoliana e quale scoperta emozione l’ha sentita rovistare dentro con la sua umana bellezza, essendo poi scaturito il segno su tavola dipinta con l’emozione di un “fanciullino” che vuole dare visione al suo pensiero d’amore.
Una dimensione di Magri che sempre si collega a Pascoli, che lui conobbe in vita e poi, quasi facendolo capire, rende omaggio al “maestro” in uno degli ultimi quadri “La fonte di Castelvecchio” del 1936, dove quel mescere del trasparente liquido non par sia acqua ma ispirazione per il “cantastorie”, che poi è lui, Alberto Magri che ha pennellato sospinto ancor di più da quel sentimento di gratitudine verso il suo poeta. Va detto che questo concetto di Pascoli ispiratore i pennelli di Barga non sempre è osservato, seppur i nostri artisti si siano e più volte impegnati nel raffigurare lui o la sua casa avvolta in una luce particolare che sa molto di poesia. L’articolo di Vettori poi si sofferma a indicare chi sono i pittori che accanto a Magri si sono con lui distinti o si stanno ponendo in evidenza, a tutti loro concedendo il plauso di aver donato all’Italia la loro arte “sobria e autentica: Adolfo Balduini, Bruno Cordati, Colombo Da Prato, Rinaldo Biagioni.”.

Tornando un poco su Pascoli poeta ispiratore, si può dire che questa dimensione dello spirito di Magri, questa sua particolare dedizione o affinità poetica, la mostrò anche il pittore Bruno Cordati. L’occasione fu qualche anno prima dell’articolo di Vettori, era il 1951, tempo in cui di Magri, morto da dodici anni, si esposero molte opere a Palazzo Strozzi, cui dette il suo contributo, lo storico dell’arte Alessandro Parronchi (Firenze 1914 – 2007), figura di critico essenziale per le future fortune della pittura “magriana”. Per quest’occasione della retrospettiva fiorentina per Magri, Cordati pubblicò sulla rivista “Il Ponte” di Firenze un articolo che così inizia: “La mostra delle opere di Alberto Magri, ordinata a Firenze, in Palazzo Strozzi, mi fa sorgere il desiderio, anzi il bisogno, di dire brevemente sull’arte di questo pittore barghigiano.”.
Inizia Cordati rilevando che solo Alessandro Parronchi sino a ora è entrato nel merito della pittura di Magri. Mentre più avanti: “Si può dire, senza esitazione, che il Magri si è formato a Barga ed a Barga è avvenuto il suo svolgimento spirituale, anche se per brevi periodi abbia vissuto altrove. Girovagando irrequieto e mai contento, ha studiato tutti gli aspetti del paesaggio barghigiano, imbevendosi del suo limpido colore e della poesia che emana dalla vita e dal lavoro.”.
Dopo aver analizzato la pittura di Magri, i suoi processi dagli inizi, passando al cubismo del pensante e triste Cantastorie, che poi è sol che lui, ormai adattatosi al suo destino, comunque questi trova una scossa. Continuando Cordati per farsi capire cita Camus, la sua idea di una dovuta ribellione, una scossa di fronte all’angoscia che genera l’idea dell’assurdità della vita: “Il ya un au delà de l’angoisse hors de l’éternité, c’est la révolte”, e da questa riflessione vede la rinascenza dell’opera di Magri, sempre nel metodo cubista Cordati vede nello stesso pittore uno spirito molto rasserenato. Qui Cordati cita il quadro “La fonte di Castelvecchio”, uno degli ultimi quadri del “Diario” di Magri.
“La fonte di Castelvecchio è uno degli ultimi quadri del Diario. Il Cantastorie, completamente fuori dal suo avvilimento, attinge nuove forze alla sorgente della poesia pascoliana … pittura vibrante questa, con tocchi larghi rudi e commossi, che concorrono vigili ad una descrizione in sintesi di motivi nati da un temperamento lirico, privo di tenere dolcezze, ma pieno d’amore; pittura che, per vie proprie, raggiunge il cielo puro dell’arte.”.
Ecco che qui Cordati ancora ci presta la sua potente voce alla nostra idea dell’importanza del messaggio pascoliano, nel caso per Magri ma ciò vale per tutti quelli che hanno voluto pitturare i nostri paesaggi e in essi, l’umanità che vive, lavora e soffre. Il correlativo più prossimo a quest’ultima affermazione è proprio Adolfo Balduini, che anche lui dette luce d’immagini pittoriche, xilografiche o scolpite nel legno, di ciò che Pascoli aveva reso sacro con le sue parole di alta, nuova e immensa poesia per tutti.
Termina Cordati il suo articolo con una citazione dal Purgatorio di Dante: A voce più ch’al ver drizzan li volti, e così ferman sua opinione, prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. Con ciò intese far riflettere tutti sul pensiero artistico di Magri, alla sua arte allora tutta ancora da studiare e che non si badasse alla superficialità delle facili critiche.
Anche in Cordati degli anni in cui si dedicò alla ritrattistica, mi si perdoni l’espressione se non fosse ortodossa, è stato colto dall’idea pascoliana, ossia, che la vita di ognuno, non solo di una parte della società, è una vicenda che dovrebbe far riflettere, infatti, nei suoi quadri, esce proprio e con forza il momento di riflessione che ognuno compie sulla verità di ciò che sta vivendo o cui andrà incontro. Si pensi per Barga e tutta la Valle del Serchio e oltre, cosa rappresentasse l’emigrazione, il distacco, la fortuna e … l’ignota fine!
In ogni suo quadro si vive nei volti pitturati un grande tormento, nella nostra terra, dovuto anche all’emigrazione, che in Pascoli si esemplifica magnificamente in tante poesie e per esempio in “Lavandare”, dove si canta il patimento dell’attesa per chi andò e ora di lui si aspetta almeno una notizia, con l’animo che spera e si contorce e si vede segnato sui volti delle figure di Cordati, che vive nella terra di Barga che tanto, tantissimo ha dato, appunto, all’emigrazione:
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Nei quadri di Cordati che raffigurano personaggi, bimbi, donne e altro, nella quasi totale mancanza di un sorriso, in ogni pittura, sui volti pensierosi si disegna una vicenda vissuta o che incombe, storie che mai sapremo quali siano, però ci sono e traspaiono negli atteggiamenti raccolti e taciturni. Per esempio nella tela “Ragazza con la scopa”, questa ha sotto braccio lo strumento della pulizia e par che potrebbe essere passato il postino e gli abbia consegnato una lettera, che lei ora attentamente legge sperando chissà cosa. Forse è quel suo lui di là dall’oceano che ora la carezza con parole d’amore e lei al tempo stesso, un poco muore e poi spera.
Magri, Balduini, Cordati, e i nuovi che si sono aggiunti, Colombo Da Prato, Rinaldo Biagioni, ma anche altri e quelli che verranno, tutti hanno sentito e vivono ancora nel messaggio umanitario di Pascoli e già Alessandro Parronchi (3), parlando di Alberto Magri nel 1950, seppur non lo dica espressamente lo lascia intuire nel finale del suo saggio che occupa otto pagine, quando arriva a parlare dell’ultima opera del maestro, “La Vangatura” 1938:

“L’esperienza di Magri doveva chiudersi … nell’ampia veduta di Barga che … sembra consumarsi nella purezza cristallina dell’aria che investe l’alto borgo dominato dalla cattedrale … è commovente che la chiusura di un ciclo così fermo – quasi un ricollegarsi dell’uomo ormai stanco con gli albori della giovinezza – sia dovuta avvenire col tremore di un’emozione di fanciullo.”.
Mi piace credere che con quel “fanciullo” Parronchi voglia portarci alla poetica di Pascoli e non sia stato posto lì a caso, perché poteva usare anche altri termini. (fine quarta parte – continua)
==================================
1) –Strapaese è un filone letterario e culturale del tutto italiano che nasce alla metà degli anni venti del Novecento, tendente, partendo dai paesi, alla difesa di tutto ciò che era tradizione italiana e questo per rinsaldare le radici patriottiche contro ogni esterofilia. Vittorio Vettori nell’articolo di cui stiamo parlando volle indicare quale anticipatore dell’idea strapaese anche Magri quando a Parigi scrisse “Abbasso Parigi Viva Barga”.
2) –“Il Ponte”. Firenze, VII, gennaio 1951. Bruno Cordati: la mostra delle opere di Alberto Magri. Palazzo Strozzi.
3) –Parronchi Alessandro: “Alberto Magri (1880-1939) ”, Letteratura Arte Contemporanea; Firenze – 1950 – n.° 5.


Lascia un commento