La mia prima vita. Dalla nascita al ‘64

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Sono nata a Barga nel 1958 e sono vissuta ai Battisti fino al 1964, anno in cui ci siamo trasferiti a Catagnana.

I miei ricordi più lontani

Ricordo parecchi fatti di quel periodo di vita trascorso ai Battisti, come la mia prima Befana: avrò avuto 3-4 anni quando, la sera della vigilia dell’ Epifania, si presentarono alla porta una befana vecchia e brutta e il marito , il befanotto, peggiore di lei. Avevano una balla piena di pacchi, ma quando giunse il momento di tirarli fuori, si misero a litigare. Io non ci trovavo niente di speciale, ma tutti si misero a ridere!

A me facevano quasi venire da piangere, ma resistetti…Il primo dono furono i biscotti per la nonna e il tabacco per la pipa del nonno, poi arrivarono gli stivaletti tanto desiderati da mio fratello ed infine qualcosa per me ma non ricordo che; Forse la bambola Peppa, che dormiva nel forno della stufa economica spenta e che forse morì proprio lì dentro alla prima accensione…

Ricordo anche due caprette, Nera e Bianchina, che i miei genitori tenevano per darci sempre il latte fresco.

Nera era dispettosa e non obbediva mai a mia madre, mentre Bianchina era buona,ma voleva essere munta per prima, forse perché le dava fastidio il latte nella mammella, e se mia madre non lo faceva le scioglieva con il muso il nodo del grembiule che aveva nella schiena.

Quando ci trasferimmo, il babbo, anche se a malincuore, dovette venderle perché le capre fra le viti avrebbero creato un disastro…

Ricordo quando trovai il mio primo porcino insieme a mia sorella e quando scambiai due pastiglie della dolce Euchessina per cioccolata e le mangiai… Un giorno fui punta da un grosso calabrone, stuzzicato nel suo alveare, ma io non lo ricordo perché non avevo ancora un anno. So solo che la cura fu bere tanto latte!

Un’altra disavventura fu la puntura di un’ape proprio nel bel mezzo del mio di dietro: mi ci misi a sedere proprio sopra e subito dopo iniziai a strillare, fra le risate dei presenti.

Mentre mio fratello nei pomeriggi di scuola svolgeva i compiti, io fingevo di scrivere con lui e, dai un giorno, dai un altro, imparai a copiare parole in corsivo, di cui non conoscevo assolutamente il significato.

Alla fine, mia sorella e mia madre decisero di farmi copiare a poesia “Lontano lontano” di G. Pascoli, che mio fratello stava imparando a memoria e di mandarla alla sua maestra.

Tornò tutto contento perché l’insegnante mi aveva dato “10 lode”, ma io non ci capii proprio nulla… Che voLeva  dire!?

Nei primi anni ’60 comparve nei negozi il detersivo per i panni, una delle prime confezioni fu quella del Tide, chiuso in una scatola di cartone.

Dentro al detersivo c’era anche una sorpresa per i bambini. Io e mio fratello ce le litigavamo spesso, ma quando la mamma ci mostrò un sacchettino con dentro un centrino da ricamare, munito anche dei fili colorati, mio fratello rinunciò subito, mentre io fui molto contenta e mi feci insegnare il punto erba. Questo centrino è rimasto incompleto per anni, poi alla fine lo terminai.

In quegli anni giunse nella zona anche la prima TV, probabilmente a batteria; la comprò mia zia Assunta che abitava a Merizzacchio. Così il sabato sera e la domenica pomeriggio cominciammo ad andare da lei che ci offriva sempre saporite torte e fette di pane e marmellata.

Ho visto lì i miei primi cartoni animati con Calimero e i primi sceneggiati come Gianburrasca. Aver un televisore, a quel tempo, era un vero lusso anche perché nella Val di Corsonna la luce dell’Enel (allora Valdarno) è arrivata solo nel 1974, prima c’era la “luce della Mocchia” grazie ad una centralina idraulica posta sulla Corsonna, vicino a “La Mocchia”,

“ingegnosamente  pensata da alcuni abitanti della zona, subito dopo la guerra, che ci permetteva di avere la luce un giorno sì e quattro no. Durante il periodo estivo la luce non c’era mai perché la Corsonna era senz’acqua, quindi la sera accendevamo il lume a carburo (acetilene)”

(da “Ecco la luce “ di M.G. Renucci in “Il nostro altrove”).

Ad un certo punto mia sorella ricevette in dono un orologio, era un gran regalo a quel  tempo e, siccome ero gelosa, a me ne comprarono uno di plastica. Anche se non conoscevo ancora il suo funzionamento, vedevo che le lancette del mio non si muovevano. Ne volevo uno con le lancette mobili anch’io e, siccome i nonni, mensilmente, quando riscuotevano la pensione ci davano 1000 lire per ognuno, arrivò il giorno in cui avevo le 5000 lire che bastarono quasi per il mio orologio: il mio babbo lo comprò dall’ orefice Lio di Barga al prezzo di 6000 lire.

Questo orologio ha funzionato benino per più di dieci anni; negli ultimi periodi si fermava con il freddo, ma era veramente vecchio!

Quando le prime macchine fotografiche diventarono accessibili a tutti anche mio fratello ne ottenne una e s’improvvisò fotografo di tutto e di tutti;  peccato che curioso com’era, fece prendere luce al rullino e non si salvò neanche una foto… Ottenuta poi una seconda pellicola la macchina funzionò per più di dieci anni .

Nei primi anni ’60 nella Val di Corsonna si usavano ancora i segoni e tanta forza per abbattere gli alberi, che spesso erano secolari. Poi un operaio del luogo portò un attrezzo a motore, molto pesante e dotato di una lama che non sembrava affatto tagliente. Mio padre lo provò e ne rimase stupefatto!

Il negozio che glielo vendette gli assicurò anche un breve corso pratico per imparare a usarlo correttamente e, soprattutto, per apprendere ad arrotare il nastro della lama.

Insieme alla motosega, quindi, arrivò ai Battisti anche un taglialegna di Chiozza che già l’aveva ed insegnò a mio padre il suo funzionamento e la sua manutenzione giornaliera.

Soprattutto era difficile arrotare il nastro che girava sulla lama perché non sembrava tagliente, formato com’era da tanti dentini, che secondo mio nonno non segavano un bel niente!

Questa persona rimase con noi per due giorni ed io la guardavo da lontano: avevo paura soprattutto quando la motosega era accesa perché faceva un rumore assordante. Anche se pesava 13 kg, con la sua lama di un metro mio padre tagliò gli ultimi faggi secolari di suo nonno Nisio.

Ora questa motosega, di marca Still, ancora funzionante, riposa in cantina, a Catagnana.

La domenica mattina a volte mio padre andava a Barga presto perché i negozi erano aperti e tornava in tempo per portare lo spezzatino o le fettine da cucinare per il pranzo. Altre volte andavamo noi con lui perché anche l’ambulatorio medico era aperto e il babbo ci faceva visitare per alcune lineette di febbre che ci venivano periodicamente. Il dottor Lucignani diceva che non era nulla ed alla fine esasperato disse a mio padre di buttar via il termometro.

In una di queste domeniche mi comprarono il primo triciclo rosso!

Merizzacchio (primi anni ’60)

Il negozio ne aveva tre modelli: uno più semplice ed economico, il secondo più bello ed infine il terzo superaccessoriato.

Mio padre voleva convincermi a scegliere il primo e mio fratello il terzo, io, per fare tutti pari, scelsi il secondo…

Quando la domenica mattina scendevamo a piedi alla chiesa di Montebono incontravo sempre due bambine della mia età, Clara e Graziella, e spesso ci sbottonavamo il cappotto per confrontare il nostro abbigliamento.

In una di quelle domeniche estive io pestai con i miei sandali bucherellati, un aspide che stava attraversando il sentiero! La paura fu tanta e così mio padre dovette portarmi a casa in braccio ancora una volta.

Un giorno d’estate giunse ai Battisti una famiglia romana in vacanza a Barga: madre vedova con i genitori e tre figlie più grandi di me. Volevano visitare il podere dei Carli, confinante con le nostre terre, per un eventuale acquisto.

Ricordo che giocai per la prima volta ai “quattro cantoni” con queste ragazze e poi mostrai loro uno dei miei giochi inventati in cui non capirono niente ma si divertirono ugualmente!

Questi signori ci invitarono poi a pranzo a casa loro, a Barga e in quell’occasione la mamma mi mise il tovagliolo al collo, ma io protestai esclamando : “Non lo voglio, mi sembro un maiale!” L’occhiataccia di mia madre mi fece gelare il sangue nelle vene e non riuscii più a giocare tranquillamente per tutto il giorno perché aspettavo la sfuriata, ma non ricordo se ci fu.

Quando io e i miei fratelli eravamo piccoli, i divertimenti erano pochi e quindi bisognava arrangiarsi con tanta fantasia! Spesso mi portavano con loro e mi costringevano a recitare la parte dell’indiana che, stesa in terra, stava per essere uccisa da un valoroso cowboy con un bastone – fucile mentre mia  sorella scattava una foto con la tanto desiderata macchina fotografica…

Altre volte mio fratello costruiva gli “zancari” (trampoli) per tutti e tre. Questi non erano altro che degli uncini di legno rovesciati su cui si mettevano i piedi e con cui si camminava rialzati da terra.

Io mi arrabbiavo sempre perché i miei erano più bassi e di solito andava a finire che mia sorella, che era la più grande, mi  portava in braccio mentre camminava e a volte volavamo giù tutte e due .

A quel punto interveniva mia  madre che interrompeva il gioco e i miei fratelli se la prendevano con me  “Ecco, Piangerotto di san Fico, sciupi sempre tutto!” ma poi, quando cominciavano un altro gioco mi chiamavano subito perché giocare in tre è più divertente che in due e poi ridevano a vedermi arrabbiata. Ma adirata come quando ricevetti l’uovo di Pasqua intorno ai quattro anni, non mi avevano mai vista neanche lor… : la mamma, alcuni giorni prima delle vacanze pasquali, incaricò mia sorella, che frequentava le medie a Barga, di  comprare due uova per me e mio fratello. Lei scelse una confezione in cui l’uovo aveva vicino un cavallo per mio fratello ed un’altra con tanti fiori colorati, per me. Quando mi accorsi che il cavallo non era per me, mi  misi a strillare e a far bizze tanto da rischiare di affogare perché mi  mancava il respiro! A questo punto intervenne la nonna che comprò un altro uovo con cavallo per me…  però la cioccolata fu di mio fratello… Infatti anche lui si era messo  protestare: “Ah, basta piangere per ottenere un uovo in più? Allora lo faccio anch’io !”

Insomma, alla fine  “i fratelli cane e gatto” , come ci chiamavano in famiglia, si calmarono, ma solo fino alla volta successiva….

 

Personaggi particolari

Un personaggio che spesso veniva ai Battisti era Celestino, detto Ciali, un vecchio pastore che abitava a Merizzacchio, ma aveva orto e capanna vicino a casa nostra.

Siccome Celestino non pronunciava la lettera r, quando parlava era buffo e ricordo che verso i primi d’agosto diceva sempre  a mia sorella: “Na…a , che ti metti pe… Anda… e a san …..occo? La pelle a ….ovescio?” (Nara , che ti metti per andare a san Rocco? La pelle a rovescio ?)

Spesso portava nei suoi campi le pecore a pascolare ma, aperta la porta della capanna, veniva a scaldarsi al camino, chiuso nel suo cappotto militare e, prima o poi, visto che masticava tabacco, riempiva di sputi  tutto il focolare… La mia nonna si arrabbiava molto, anche se in silenzio, ma poi lo raccontava inviperita!

Il mio nonno burlone spesso, quando la sera tornava dal bosco, le chiedeva, strizzandoci l’occhio: “Annina, è venuto oggi il tuo fidanzato?”

“Falla finita, guarda quanto ho dovuto ripulire!”

Spesso le pecore incustodite finivano a mangiare la verdura dell’orto e lui,  che non aveva voglia di uscire dal cantuccio del camino diceva a chi lo avvertiva: “Lasciale fare, lavoran bene!”

Un giorno addirittura le chiuse in capanna a mangiare il fieno rimesso per l’inverno.

Alla fine il figlio decise di venderle.

Dai Battisti passava la mulattiera per Riboscioli e da lì scendevano i muli con le loro some di legna o carbone, spesso diretti dai “Diavoli”, a Ponte di Catagnana.

Spesso vedevo padre e figlio, Pietruzzo e Giuliano con tre muli e un giorno mi fecero salire su quello del ragazzo. Io soprannominai Giuliano il Bimbin dai muli e tale è rimasto anche da grande!

Un altro nostro ospite periodico era un venditore ambulante, detto Vergemoli perché era originario di quel paese, che raggiungeva la nostra casa a piedi, con una valigia sulle spalle, piena di indumenti di vario genere. Era gentile e spesso pranzava con noi.

A primavera la mamma comprava da lui magliette e pantaloncini corti per tutti noi, che servivano per ricambiarsi; per tutti i giorni invece accorciava i pantaloni dall’inverno.

A quel tempo i bambini più piccoli ereditavano dai fratelli, cugini, amici più grandi quasi tutto il vestiario perché non c’erano i soldi per nuovi acquisti. Io ho avuto il primo cappotto nuovo verso i dieci anni e, a dir la verità, era proprio brutto!

 

Incontro con le autorità

Quando io ero piccola spesso in casa mia arrivava la Forestale che, avendo ripiantato tante talee in zone aride o franose della Val di Corsonna, controllava poi la loro crescita. Nemiche di queste piantine erano le capre lasciate libere, perciò il maresciallo del Corpo Forestale veniva a controllare se le nostre erano in capanna e poi finiva per accettare qualcosa di caldo o di fresco, a seconda della stagione. Ricordo ancora il maresciallo Botti, taciturno e schivo e, soprattutto, il Casamenti, amante dei bambini; molto cordiale e socievole. Io avevo paura, però, di tutti e due perché avevano la pistola dentro al fodero!

 

I balli del sabato sera

Le migliori serate, ai Battisti, erano quelle del sabato, quando le varie famiglie della zona organizzavano feste casalinghe, con dolci e balli, al suono della fisarmonica di Enrico, un ragazzotto ricciolo e ben piazzato, amico di mio fratello.

Noi bambini ci divertivamo finché non sopraggiungeva il sonno e allora ci mettevano a dormire tutti in un unico letto, così gli adulti potevano ballare anche fino alla mattina.

Una volta il fisarmonicista venne alla messa della domenica con la fisarmonica, perché non era tornato a casa a dormire. L’ appuntamento in chiesa infatti non si poteva saltare: la sera il piacere, la mattina dopo il dovere!

Come ho già accennato Enrico era amico di mio fratello e spesso il pomeriggio veniva a casa nostra. Io dicevo che era bello e, soprattutto che era il mio fidanzato! Un giorno mio fratello mi rivelò che aveva già una ragazza ed io andai a chiedere la conferma direttamente a lui. Gli altri ridevano ma io ci rimasi veramente male.

Un sabato dei tanti in cui andammo a ballare nella Piaggia si unì al nostro gruppo Sergio, cugino di mia madre ed operaio di mio padre. Veniva da Lama e per scacciare la paura del buio aveva portato con sé un’armonica a bocca che suonava mentre camminava.

L’oggetto attirò l’attenzione di mio fratello, che riuscì ad acquistarla per 500 lire.

 

Trasloco

Del trasloco dai Battisti a Catagnana ricordo solo l’ultimo giorno: era il maggio 1964e tutti si caricarono oggetti più o meno pesanti sulle spalle perché la strada era lontana e bisognava trasportarli a piedi, almeno fino a Merizzacchio o a Gemina . A me dettero un ballino con dentro il mio gatto.

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