La storia racconta: il Novecento e l’Aurea Stagione della pittura a Barga. (Seconda parte)

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Prima di iniziare questa seconda parte del racconto artistico chi scrive deve chiarire un particolare che compare nella precedente parte pubblicata il 7 agosto. Il punto è nell’avere affermato che Bruno Cordati, uno dei quattro artisti di cui stiamo parlando, fece lo stemma che Pascoli avrebbe voluto alla volta dell’ingresso alla villa. Vero è che Cordati fu ricercato da Pascoli verso il 1910, parrebbe per cambiare o affiancare il suo stemma a quello che lì c’era dei vecchi proprietari, i Cardosi Carrara di Barga. Consegnò anche la sua idea al Pittore, un bozzetto con un liocorno, ma ciò non si realizzò. Per una maggiore conoscenza della questione si rimanda il lettore a consultare il libro di Gualtiero Pia “Caro Giovanni …” – Fondazione Ricci 1995, realizzato per celebrare il centenario della venuta a Barga del Poeta, dove a pagina 125 si trova il capitolo: “Pascoli, Cordati e Mariù e uno stemma”. Per finire questo inciso è piacevole riportare la nota che Pia fece al termine del citato capitolo, dove ricorda che il pittore Cordati, con Magri, Balduini e Vittorini, componeva quel quartetto di artisti barghigiani che onorarono la terra di Barga, la cui fama valicò le montagne, i confini regionali e che tutti e quattro raggiunsero l’ambito invito alla Biennale di Venezia, la massima vetrina italiana delle arti. La nota però si chiude con un’affermazione che suffraga e corrobora anche il presente lavoro, la dove si dice che:

“In tante opere dei nostri illustri pittori si rispecchiano personaggi e ambienti del mondo poetico pascoliano.”.

Premesso ciò che doverosamente si doveva alla verità delle cose, riprendiamo il nostro discorso laddove si era interrotto circa il prof. Cesare Biondi (primo articolo) e vediamo cosa disse d’importante per il nostro ragionamento, precisamente nella prolusione del 1° dicembre 1918, dopo il primo conflitto mondiale, alla ripresa degli studi all’Università di Siena dove insegnava. Un lungo intervento che ebbe le stampe a Siena nel 1919, per i tipi Arti Grafiche di Lazzeri. Il testo è tutto un inno all’amore pascoliano, che allora più che mai scaldasse l’umanità dopo tanti orrori. Nel testo Biondi si sofferma a far riflettere gli studenti su quale tipo d’amore si sta alludendo nel suo discorso, certamente non a quello “Prorompente che brucia i cuori e scuote le membra … Giovanni Pascoli, no. Nella sua poesia non manca l’amore; non c’è il suo amore, ma vi si trova invece quello di tutti gli uomini, il più alto, il più santo, il più puro”.  

 

Certamente la parte più interessante per noi del suo lungo intervento che occupò ben trenta pagine di stampa, sta nel finale, nella sua chiusura, quando egli si cita come Professore e Soldato in quella guerra da poco terminata, che “a somiglianza del Centurione Alubra, che narrava del Galileo ai giovani accorrenti intorno a lui, ho voluto rievocare il poeta, che l’amore sentì nel senso più puro e più umano.”.

Continua la sua conclusione rivolgendosi al Rettore Magnifico, lì presente, che era il Prof. Mario Betti di Bagni di Lucca, ordinario di Chimica farmaceutica e tossicologica: “Tu lo sai … che vieni come me, dalle montagne rupestri di Val di Serchio – nella mia terra di Barga lo spirito del Pascoli, che la pia Mariù veglia con accorato e soave dolore, trasvola in ogni cima dei nostri monti, in ogni scroscio delle nostre acque, in ogni fronda dei nostri castagni, in ogni volo, in ogni suono, in ogni profumo. Lo spirito buono è venuto oggi qui tra i giovani nell’Aula santa agli Studi …”.

 Ecco che Biondi, che era il sindaco eletto di Barga, sostituito da un facente funzione, per partecipare come medico volontario alla guerra ma presto tornerà all’incarico, in quest’ultima affermazione ha chiarito, se ancora ce ne fosse bisogno, quale messaggio stesse respirando ognuno dei cittadini di Barga dediti alla pittura, come della Valle del Serchio. Parimenti per tutte le arti similari e così anche in quelle letterarie ma anche socialmente il messaggio del Poeta era viva poesia, un conforto che abbracciava tutti gli umili e i loro figli già sparsi per il mondo in cerca di quella fortuna che qui era impossibile sperare.

 

Il Prof. Cesare Biondi (1867 – 1936)

Quattro anni dopo, era il 1922, ecco Cesare Biondi tenere una conferenza a Siena per gli allievi del corso estivo di lingua e letteratura italiana per stranieri e il titolo è molto eloquente: “Il paesaggio pascoliano”.

  

Cesare Biondi è tra chi maggiormente capì quanta e quale grandezza d’animo instillò ai nostri artisti la poesia di Pascoli, che lui, instancabilmente ricordava ogni qualvolta gli se ne presentava l’occasione. Così fece anche nella presentazione della prima “Mostra d’arte Barghigiana” dell’agosto 1925, laddove parlando degli artisti nostri nei secoli passati, cui si faceva prorompente la bellezza che il luogo in ogni tempo infondeva, eccolo arrivare al suo presente, a quel Poeta che anche lui, ma con spirito nuovo, aveva sentito e disse del nostro cielo che ha riflessi marini, delle nostre selve, le acque,  della gagliarda opera della gente in patria e di là da quel mare: “ I nostri artisti, quelli di un tempo e quelli di oggi, traducono nella forma lo spirito aleggiante nella nostra valle, cantato dal Pascoli e sentito da tutti noi. Il Magri ritrova splendidamente, attraverso la linea ed i colori vivaci e tenui dei primitivi, tutta la poesia delle nostre opere agricole e la forte serena severità delle genti dei campi, Bruno Cordati, pittore e scultore come i maestri fiorentini del cinquecento … ci dà saggi di forte plasticità piena di sentimento e di pensiero come nel bassorilievo del Pascoli. Il Balduini nelle sue xilografie segna … dolcezza e il dolore delle affettuosità familiari … suggestioni dei tramonti dorati … nei suoi intagli pittorici i simboli e la realtà delle opere domestiche montanare … Il Cecchini risente nelle sue terrecotte invetriate  la luminosità ed i sorrisi che i Robbia lasciarono nelle nostre chiese. Il Vittorini ha la serenità e la forza di chi guarda dall’alto di Sommocolonia il gorgogliare precipitoso della Corsonna … Renato Barsotti architetto e pittore come Lippo Menni, modernizza originalmente le linee più classiche … Il Giuliani scolpisce con grazia e sicurezza.”.

 Cesare Biondi lo ritroviamo ancora su Il Telegrafo del 6 aprile 1932, in un articolo pubblicato nel giorno esatto dei venti anni dalla morte di Pascoli, uno scritto molto indicativo del suo sentire il poeta e non solo lui. Il titolo è Rievocazioni pascoliane 1912-1932: “Stamani nella cappella di casa Pascoli, dove riposa la spoglia mortale di del poeta, si celebrerà per la prima volta una Messa. Maria ha voluto che su di un altare scolpito sulla pietra dei nostri monti da un artista barghigiano – Adolfo Balduini – celebrasse uno scolopio dotto e buono: il padre Mosetti.”. Anche qui si capisce che, in qualche misura, c’è un qualcosa, l’opera di Balduini (pare autore del solo disegno dell’altare), che richiama l’idea che l’arte locale si sia fatta vicina nell’occasione. Come se a un aver dato corrispondesse il dovuto rendere, e così esser presente nel celebrare il poeta ispiratore. Interessante la notizia che il 1932 sia l’anno della prima Messa alla cappella Pascoli.

 

Poco prima Balduini, circa nel febbraio di questo 1932, aveva esposto le sue opere alla “Bottega d’Arte” di Livorno e nell’articolo che apparve sul giornale La Corsonna di Barga, ecco che torna come un mantra, l’idea che lo stesso Balduini, prima di accingersi a un’opera abbia prima imbevuto la sua anima nell’arte del poeta di Castelvecchio. Questo riferimento è molto chiaro e fatto ad hoc per condurre il lettore a meditare sulla genesi poetica dell’opera di Balduini.

Sono questi gli anni in cui si è affermata non solo a livello regionale ma anche locale l’idea della stagione aurea della pittura barghigiana, soprattutto perché Balduini, Cordati, Magri e Vittorini hanno tutti e quattro raggiunto l’ideale e noi pensiamo, massimo obiettivo per ogni pittore, esporre alla Biennale di Venezia. Su quest’argomento ci pare molto interessante una tesi discussa all’Università Ca’ Foscari  di Venezia, Anno Accademico 2021-22, dalla laureanda Irene Parentini. Si tratta di un Corso di Laurea Magistrale in Storia delle Arti, ecc. e di quanto stiamo parlando è possibile prenderne visione online e il titolo per noi è quanto mai affascinante “Artisti Lucchesi alla Biennale di Venezia – 1895 – 1950” e vediamo che lì sono censiti i nostri del “Quartetto di Barga”.

Si inizia con Umberto Vittorini nel capitolo “I Lucchesi alla Biennale del 1924 e del 1926”, dove, ragionando nel capitolo dei vari pittori lucchesi e i luoghi del loro operare, ecco che l’Autrice della tesi fa una riflessione di questo tipo:

“Chi ritiene invece più stimolante la tranquillità di un paesino tra le montagne della Garfagnana è l’artista Umberto Vittorini, tra i lucchesi a esporre per la prima volta alla Biennale di quell’anno.”.

Si sta parlando del 1924 e del pittore si rileva che era nato nel 1890, che si era formato alla scuola d’arte di Lucca e a quella di Pisa. Si rileva che aveva fatto viaggi a Parigi dal fratello e lì che avesse conosciuto l’arte di “Picasso, Braque, Brancusi, ma non ne rimane colpito … portandosi dietro, piuttosto, echi dell’impressionismo di Cézanne e Sisley”. A queste citazioni Irene Parentini rimanda tutti al bellissimo catalogo che il critico d’arte Dino Carlesi, stampò nel 1988, con tanto di stemma di Barga, anno in cui nella cittadina, al Museo archeologico alla loggetta dei Podestà, si tenne un’espressiva retrospettiva del pittore, mostra certamente figlia di quella, detta antologica, che si era tenuta nel 1984 all’Arsenale Mediceo a Pisa.

 

Andando avanti nel leggere quel testo universitario della Parentini, ecco arrivare il capitolo “Artisti lucchesi alla Biennale del 1928”, dove si deve ammettere che si ha una bella idea di cosa stesse producendo Barga nel campo della pittura. Infatti, si dice che due sono i lucchesi ammessi in questo 1928 alla Biennale, rilevando che non sono due artisti legati direttamente a Lucca, ma sono di Barga: Bruno Cordati con “Bambino” e Alberto Magri con “La sementa nella Valle del Serchio”, entrambi nuovi, due neofiti che parteciperanno solo a questa esposizione. Si continua con un’evidenza importante, ricordiamo che il testo della Parentini è del 2021-22, che il luogo Barga è un’oasi ricercata ancora oggi dagli artisti lucchesi e certamente rientra a tutto tondo nel nostro discorso l’emanazione luminosa, il fascino che ancora sprigiona nei suoi panorami la bellezza del luogo ma anche la potente poesia pascoliana che l’ha sacralizzato. Andando avanti si dicono alcune cose biografiche circa i due artisti, cioè che Magri è più grande di Cordati di dieci anni, essendo nato il primo nel 1880, mentre il secondo nel 1890 come Vittorini. Questi ultimi due avranno una vicenda simile sia nella nascita come nella morte avvenuta l’anno 1979, come vedremo a suo tempo.

Di Magri, come tutti sappiamo, si rilevano gli studi farmaceutici, che lo presentano quale amante della pittura, un autodidatta, cioè, avvicinatosi all’arte non per una precisa scelta di studi. Nella famiglia Magri l’estro artistico però non difettava, solo pensando al fratello di Alberto, Giuseppe (1877 – 1926), che fu un chimico che si dilettava di fotografia con grande bravura, in pratica due anime d’artisti che dentro sentivano in maniera travolgente la natura e al cuore gli parlava l’umile gesto contadino cantato da Pascoli.

Si ricorda ancora, lo abbiamo già detto, come nel 1913, lo scultore Bistolfi ma anche Augusto Bianchi, Trentacoste e Ojetti, avrebbe voluto Magri alla Biennale del successivo 1914 ma allora, seppur formidabile nei suoi dipinti (vedi immagine che è sopra), non avesse dietro esposizioni e una critica al suo lavoro e come sconosciuto non fu ammesso. Poi racconta la Parentini della sua amicizia con Lorenzo Viani, un sodalizio molto significativo.

Si passa poi a Bruno Cordati nei modi già descritti per Magri, di cui si dice che prediligesse l’ambiente familiare e i bambini che si dipingono in uno status di forte malinconia. Si dice ancora che mostri con assai frequenza le sue opere e che con esse riesca a viverci ma che la critica, in qualche misura non lo considera molto, una condizione diametralmente opposta a quella di Magri che ha una straordinaria critica, ma non realizzi guadagni con le sue opere.

Circa i nostri pittori più espressivi della scuola cosiddetta di Barga, ci siamo basati essenzialmente sulla partecipazione alla Biennale di Venezia e per ora abbiamo visto che già Vittorini e poi Magri e Cordati vi furono invitati, così come si è detto, però per rendere maggiormente comprensivo il concetto dell’importanza di una simile presenza a quella mostra, andiamo a rileggere un cronista straordinario delle cose di Barga, quelle che appartengono al cuore. Questi è il sen. Adolfo Zerboglio, che seppur nato ad Alessandria, poi abitante a Pisa, volesse essere e si considerò un cittadino anche di Barga, un barghigiano d’adozione, dove saltuariamente vi abitava, tantoché nell’Italia Repubblicana, nominato senatore di diritto, lasciò a Roma i suoi due indirizzi: Pisa e Barga, in pratica o qui o là lo avrebbero sempre trovato. Non a caso tutta la famiglia Zerboglio è sepolta al cimitero di Barga.

Il ricorso a Zerboglio che attuiamo è in pratica al suo libro “Barga – Memorie e note vagabonde, con xilografie di Adolfo Balduini” pubblicato l’anno 1929 dalla locale tipografia Sighieri & Gasperetti. Qui si definisce con pochi e luminosi tratti cosa volle dire la presenza del Poeta a Barga, un brano che nell’indice è presentato con queste parole: “Giovanni Pascoli nel cielo di Barga”.

“Il melanconico e forte <romagnolo>, che al colle di Caprona pose la tenda della sua pace e del suo lavoro, fabbro insonne di poesia, ha troppo diffuso di sé in questa Barga, associata al suo nome, perché Egli non vi accompagni costantemente e non vi illumini.”.

È quella luce nuova che videro tutti, ma la vissero magnificamente per poi riprodurla in tanti lavori i nostri quattro artisti e nel libro si parla anche e ampiamente di tre di loro, non di Vittorini, certamente lontano fisicamente da Barga non con il cuore ma tant’è. Nota Zerboglio, come elemento qualificante il loro operare, che Magri e Cordati, erano stati invitati alla Biennale di Venezia del 1928. A Cordati pose in nota queste parole: “Cordati ha esposto con successo e con vendite alla biennale di Venezia. Notevole che dei pochi toscani che hanno partecipato a questa esposizione, due siano di Barga.”, l’altro era Magri.

 

Il libro di Zerboglio di cui si parla è del 1929, se fosse stato completato un anno dopo certamente lo stesso Zerboglio avrebbe dovuto scrivere con sommo gaudio che anche Balduini, era stato invitato a quell’importante mostra, nel settore “scultura”, con l’opera “Seminatore” (legno). Comunque nel libro è già ben delineata la sua opera.

 

Questa evidenza ci riporta direttamente alla tesi della Parentini “Artisti Lucchesi alla Biennale di Venezia – 1895 – 1950”, esattamente al capitoloNuovi artisti lucchesi alla Biennale (1930 – 1932), dove si parla della presenza Adolfo Balduini, citato con l’altro scultore lucchese nativo di La Spezia, Niccolò Codino, ma fu presente anche Umberto Vittorini. La Parentini accomuna l’arte di Balduini a quella di Lorenzo Viani, entrambi presi “da un linguaggio che rimanda all’arte dei Primitivi toscani del Quattrocento, fatta di un’essenzialità efficace che si adatta perfettamente all’intaglio del legno.”.

Il Viatico – Scultura su legno di Adolfo Balduini

 

Passano pochi anni e nel 1936 viene a mancare il grande Lorenzo Viani, amico di Magri e di Balduini. Nel 1939 è la volta di Alberto Magri e s’intuisce che parte di un mondo sta avviandosi a essere celebrato nelle memorie di ciò che è stato prodotto da quegli affascinanti artefici che hanno preso il cuore di un mare di gente.

 

Il necrologio di Magri apparve sul n. 3 del giornale locale La Corsonna, a firma dello scultore Mario Carlesi, che ha inizio, appunto, con il ricordo delle recenti perdite nel mondo dell’arte, come quella di Viani e ora anche lui, suo amico, “nella pienezza delle sue possibilità artistiche.”. Carlesi tratteggia con efficacia il personaggio “una di quelle anime dotate di una sensibilità tutta particolare che non ammettono deviamenti al proprio indirizzo, capaci di sacrificare sempre la conveniente popolarità all’intimo convincimento delle proprie idee.”. “Tempra d’artista nato, mente colta e sottile nella indagine … E tante volte riusciva incompreso; ma la sua fede lo conduceva sempre verso le sue alte, sognate mete … opere che degnamente figurano nelle maggiori manifestazioni internazionali come la Biennale Veneziana e nelle mostre nazionale e regionali … Anche nelle mostre provinciali … i suoi quadri che formavano sempre un centro di attenzione e di discussione … fra gli artisti espositori e il pubblico ansiosi di penetrare nei segreti della sua anima di pittore e di poeta … Alberto Magri era un pittore, sì, ma era anche un poeta che dai motivi più umili traeva elementi di profonda poesia.”.

 Credo che in queste parole ci sia tutto il senso di ciò che noi vogliamo far capire, cioè, che questo pittore, ma anche gli altri tre, hanno fatto suo quel messaggio che Pascoli, come disse Zerboglio, aveva lasciato nel cielo di Barga. E qui fermiamo ancora la penna e ci risentiremo con il prossimo articolo. (Fine seconda parte –continua).  

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