La storia racconta: il Novecento e l’Aurea Stagione della pittura a Barga. (Prima parte)

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L’autore, prima d’iniziare, desidera premettere che a questo suo presente ed ennesimo lavoro di recupero della memoria di Barga, è stato sospinto dall’idea di offrire al lettore una storia che ha come sfondo Barga e di come nacque, la sua novecentesca aspirazione a esser grande nell’arte visiva, la pittura con le sue varie diramazioni. Spera solo sia di stimolo a voler visitare Barga e la mostra dedicata ai suoi grandi artisti.     

Quattro sono i Pittori che hanno lasciato in Barga, “nella loro terra” e la Valle del Serchio, un segno indelebile e ben riconoscibile, non solo da noi ma anche nella pittura nazionale. Una Stagione Aurea che ancora oggi si celebra con la bella iniziativa promossa dal Comune di Barga e soprattutto dalla Fondazione Ricci, quest’ultima già meritoria per avere sempre tenuto desta l’attenzione alle loro vicende artistiche, non da meno lo stesso Comune, così come si vedrà nel prosièguo del presente lavoro, soprattutto incentrato sul recupero memoriale di come evolse e si consolidò in loco l’Aurea Stagione della Pittura. Quei quattro artefici, che poi è la maggiore espressione di ciò che andiamo raccontando, li citiamo in ordine alfabetico per non dare l’idea di una classifica di merito e i loro nomi sono: Balduini Adolfo (1881-1957), Cordati Bruno (1890-1979), Magri Alberto (1880-1939) e Vittorini Umberto (1890-1979). L’odierno tributo ai quattro artisti, nato tra Comune e Fondazione Ricci, s’intitola “Barga Incantata –Visioni del paesaggio dell’anima …”; una mostra aperta a Barga, alle “Stanze della Memoria”, sin dal giorno 11 luglio per terminare con il 14 settembre 2025. Si ricorda che tutti e quattro raggiunsero l’ambito invito per mostrare la loro opera alla biennale di Venezia, la massima occasione italiana per far conoscere al mondo le nuove tendenze dell’arte.

 

“Stagione Aurea” dell’arte di Barga e quest’idea la fece benissimo notare l’onorevole Macarini Carmignani, quando da Lucca salì alla stessa Barga, invitato per inaugurare nel 1929 la Seconda Mostra d’Arte Barghigiana, che si ebbe sabato 24 agosto, dove tenne il discorso ufficiale. Le parole che lui disse, l’intervento che fece, lo stampò integralmente il giornale locale La Corsonna del 1° settembre 1929. Vedremo allora che disse delle cose oltremodo qualificanti lo sforzo barghigiano attuato per dare risalto ai propri artisti, assieme al “quartetto” dei pittori altri due mostrarono i loro lavori ed erano Cecchini e Giuliani. Per l’occasione il campo dell’arte fu ampliato all’artigianato artistico, a quegli abili cesellatori e sbalzatori dei metalli che erano Alfredo Agostini, Aldo Marroni e Vincenzo Gonnella, una manualità artigianale, il cui gesto era pur sempre tuffato nell’arte.

Dall’intervento del lucchese onorevole Macarini Carmignani si stralcia dei passi, quelli che in pieno ci danno l’idea che si vuol trasmettere al lettore, ossia, cosa stava raccontando al mondo dell’arte regionale, con fini anche nazionali, l’esperienza artistica di Barga ed eccolo parlare:

“ … Siamo in una mostra, in questo paese che ha tradizioni d’arte … Tutti gli artisti barghigiani disegnano in modo meraviglioso con tradizione italiana. … Gli artisti di Barga, dicevo disegnano bene per causa del luogo ove son nati; il paese influisce sul sentimento e quindi su l’opera d’arte. Come abbiamo una scuola senese e fiorentina … Ecco che qui abbiamo un fenomeno di scuola barghigiana.

Pochi paesi, poche regioni sono tanto belle come Barga, per la sua posizione, e per le sensazioni che se ne hanno, si ha subito l’idea del disegno e per prima cosa la tentazione a riprodurre quel che vediamo. In questo splendido giro di monti, che la chiude in una conca meravigliosa, dalla Grotta delle Fate, alla catena dell’Uomo Morto, alla Pania dalle due cime nude, voi avete disegnato linee rette, e frastagliamenti e profili, che voi non potete fare a meno di riprodurre … Tutto questo spettacolo, che ci circonda, inducono tutti gli artisti a riprodurre il vero e la gamma dei colori mai vista altrove … Gloriosi artisti siate benedetti perché voi portate un raggio d’eternità …”.

Una scuola barghigiana d’arte non poteva nascere se nell’anima di chi si fece artista, non c’erano speciali slanci, un fuoco che da dentro muovesse la mano a far opere belle e di un senso elevato. Vero che qui sin dall’Ottocento, esattamente dal 1888, avesse preso avvio una scuola di disegno organizzata dalla Fratellanza Artigiana, di cui fu scolaro, iscritto nel 1905, anche Bruno Cordati, finché non decise di diplomarsi all’Istituto d’Arte Passaglia di Lucca. Un segno, la scuola barghigiana della Fratellanza, che ci mostra una Barga elevata nell’ambito del disegno, in ciò anche sospinta da un oggettivo bisogno, la richiesta che viepiù andava crescendo, quella di abili decoratori di quei villini che gli emigranti di ritorno stavano iniziando a costruirsi nella nuova Barga, che si andava costruendo nel piano sottostante all’antico Castello.    

Macarini Carmignani, abbiamo visto che l’anno 1929, descrive Barga come simbolica sede di una scuola d’arte, siamo però in un tempo in cui si è già avviato un processo che ebbe inizio con il 1895, quando tra noi arrivò un Poeta. Questi, già molto noto e conosciuto nel suo parlare sommesso, ma anche forte e avvincente al cuore, iniziò a descrivere con parole di un alto senso simbolico e molto espressivo, ogni cosa che a lui intorno si mostrava di natura e gente. Man mano rivelava e riusciva a dare un valore a ogni cosa, svelando a tutti quale fortuna avessero da vivere, di là da un magro giorno di vita. Quanto fosse ancor più bello il già percepito da occhi da sempre stupiti e persi in un tramonto apuano e non solo avvinto e vinto nel curar la fauna, la flora e la terra della loro sussistenza, così e portati per mano a immergersi nell’immensità del mistero umano. Questo stato che possiamo dire nuovo dell’anima del barghigiano, se pian piano avvinse tutti, specialmente ne trasse linfa creativa chi si stava addentrando nell’arte, specialmente attratti e suggestionati da quelle figure che il Poeta andava esaltando nel loro mondo delle piccole cose ma oltremodo vitali, divenendo per sua mano grandi messaggi d’umanità da raccontare in pitture, sculture, xilografie, disegni, ecc.

Barga 1901 e da sinistra: Cesare Biondi, Giovanni Pascoli, Mariù, il dottor Alfredo Caproni e il cane Gulì.

Queste nostre affermazioni sono di oggi ma già ieri, furono proprie di chi si fece amico del Poeta e gli volle bene. Alludiamo per esempio al Prof. Cesare Biondi, che tra i primi colse la potenza di una tale presenza nella nostra terra. Il Poeta, non occorrerebbe neanche dirlo ma ora lo scriviamo, è Giovanni Pascoli e cosa volle dire per tutta Barga e la Valle, una simile presenza, appunto, ben lo descrive Biondi in una sua lettera che gli inviò quando nel 1907.

 

Questo è l’anno in cui voleva lasciare Castelvecchio per la mancata elezione al Consiglio Comunale di Barga, una storia che aveva inizio con il 1905, quando alle elezioni parziali di quell’anno, il suo nome fu messo nella lista unitaria che comprendeva le due fazioni politiche di Barga: la Crema e il Popolo. Fu eletto per primo con un plebiscito di voti, ma nonostante fosse anche un cittadino onorario di Barga, non poté esercitare il mandato perché qualcuno dimenticò di iscriverlo nelle liste elettorali del comune. Nel 1907 fu ancora in una delle due liste che prima erano unite, quella della cosiddetta Crema, ma questa volta non passò. Pascoli ci rimase malissimo e voleva andarsene da Castelvecchio.

Il nume tutelare della lista del Popolo che era lo stesso Cesare Biondi, assieme ad altre personalità di Barga, prontamente si preoccupò per una tale decisione, non solo firmando una lettera collettiva, espressamente e amorevolmente diretta a farlo recedere dalla decisione, ma scrivendogli anche una lettera personale il cui testo ci dà la misura di cosa volesse dire per tutta la comunità, la presenza di Pascoli a Castelvecchio:

“ Illustre e caro Amico, ho firmato, e dei primi, la lettera, che l’elemento migliore del paese le ha diretto, ma non posso a meno di porgerle, anche direttamente e individualmente, una calda parola di preghiera.

Sulla nostra povera Barga imperversa una bufera di immoralità politica, di cui specialmente noi che viviamo fuori e che siamo abituati a concepire in altro modo la vita pubblica, sentiamo tutta l’offesa. E comprendiamo bene come possa averla sentita più di tutti Lei, che ha l’animo così grande e aperto solo al bene, e che ha circondato la nostra terra di un fulgore di gloria. Noi, me lo lasci dire – i migliori, sentiamo tutti così e non vorremmo essere abbandonati da Lei. A Lei, alla Bicocca di Caprona, donde iniziarono i canti, che ci rivelarono la bellezza dei nostri monti, l’animo nostro corre in quest’ora grigia come ad un rifugio.

Non ci Abbandoni!

Spero di vederla presto; mi ricordi alla Signorina Maria e si abbia affettuosissimi e oggi, più di sempre gli ossequi dal, devotissimo Cesare Biondi”. 

Ecco che nella lettera si fa chiaro che la presenza di Pascoli a Castelvecchio abbia il grandissimo merito di avere resa maggiormente nobile la terra di Barga, poi si aggiunge la qualità, il valore e la virtù dell’affermazione, cioè, di aver rivelato a tutti ciò che di bello li circonda, cosicché nell’ora grigia del paese, fiduciosi, pieni di speranza e d’amore, solo a lui potendo ricorrere per aver l’agognato sollievo.

Questa era la Barga in cui si respirava, specialmente negli ambienti culturali, la forza del messaggio pascoliano e i quattro pittori certamente, in tempi diversi, lo sentivano e rimanendone presi davano colori alle emozioni che esso suscitava. Più che altro Alberto Magri e Adolfo Balduini, ma ne rimasero colti pure Bruno Cordati ed anche Umberto Vittorini e un po’ tutti quelli che all’arte dell’immagine davano le loro pennellate, con la sgorbia tracciavano linee sicure, rendendo ammaliante ogni segno sul legno o con le dita e spatole plasmavano il gesso e altro o sapientemente battevano il martello sul metallo.

Rimanendo sull’orma pascoliana, per esempio ecco cosa scrisse nel 2015 Raffaella Bonzano di Magri nella pubblicazione di Artype, “Aspetti del Primitivismo in Italia – Aperture al contemporaneo”, il primitivismo era l’idea di pittura propria dell’artista barghigiano: “Magri era cresciuto e diventato adulto anche all’ombra della forte presenza pascoliana nella sua terra natia”. Per il vero non era nato a Barga ma seppur i suoi natali fossero avvenuti altrove, casualmente a Fauglia (Pi), dove il padre aveva condotto la famiglia per il suo lavoro di Pretore, orgogliosamente e certamente si ritenesse pur sempre un barghigiano e la stessa Barga, la sua “terra” della vita. Durante la gioventù aveva avuto una breve esperienza artistica a Parigi (caricaturista), ma dopo circa due anni, capì che il vero del suo sentire lo avrebbe trovato nelle piccole cose dei suoi luoghi, anche qui siamo nel pieno della poetica pascoliana, e così, su di un muro di Parigi scrisse “Abbasso Parigi Viva Barga” e qui tornò a rimirar le creste apuane, a scrutare le mosse del contadino, a leggere e pitturare quanto la sua vita gli mormorava.

Nel 1913 s’interessa alla sua opera lo scultore Leonardo Bistolfi, che aveva conosciuto Magri tramite Alfredo Caselli, il mecenate lucchese amico dell’ormai defunto Pascoli. Lo scultore aveva apprezzato l’opera di Alberto Magri, allora sconosciuto alla critica, e rimastone impressionato, avrebbe voluto vedere il pittore all’Esposizione di Venezia del 1914. La cosa non riuscì, anche perché il pittore barghigiano era quasi ignoto alla critica, ma questo la dice già lunga circa il valore raggiunto dall’artista Magri. Prima di questo interessamento, come accennato, Magri non aveva ancora mostrato al pubblico le sue opere e questo, appunto, fu il discrimine per la mancata partecipazione all’importante appuntamento nazionale di Venezia. Comunque, seppur non fosse stato scelto per l’Esposizione di Venezia, Magri fu consigliato da Bistolfi, ma non accettò, di sottoporre la sua opera al giudizio della giuria, così come aveva fatto Viani uscendone bene.

Gli anni proseguono e alla mostra alla Famiglia Artistica di Milano del 1916, un noto pittore rimasto ignoto, così si espresse nei confronti del collega Magri: “noi altri sappiamo dipingere ma non sappiamo dire, con la nostra abilità, di artisti consumati, quello che riesce a dire, coi suoi mezzi quasi infantili, questo giovane asceta di Barga.” Umberto Boccioni, pur dichiarando di essere agli antipodi della pittura di Magri, rileva che essendo il suo “primitivismo”  antiaccademico, anticlassico, antifotografico e profondamente italiano, dunque per molti aspetti notevole.” (note da Raffaella Bonzano, opera citata)

Adolfo Balduini, nato ad Altopascio (Lu) nel 1881, fece il suo ingresso a Barga l’anno 1909 del matrimonio con la barghigana Amalia Salvi, appartenente a un’antica famiglia barghigiana. Essendo stato in Barga e poi, dal 1922, abitante nella frazione di Sommocolonia, in tutto per quasi mezzo secolo, lo possiamo definire tranquillamente un componente di questa società che lasciò con la morte che avvenne l’anno 1957. Da Ragazzo era stato emigrante con la famiglia in Argentina, e a Buenos Aires frequentò una scuola d’arte. Balduini, anche perché la famiglia d’origine era rimasta in Argentina, solcherà  quel mare ben dieci volte. (Pier Giuliano Cecchi: “Adolfo Balduini nel 25° dalla morte”- L’Ora di Barga, febbraio 1982, n. 17)

Fu un ottimo scultore del legno, pittore e xilografo, di quest’ultima attività sono molte le sue opere che corredano diverse pubblicazioni locali. In tutta la sua arte, soprattutto nella scultura del legno, specialmente nel pannello “I mesi dell’anno” o nel “Viatico”, si fa prepotente il messaggio pascoliano che anche lui aveva assorbito, vivendo a Barga. Nella xilografia ne sono esempio l’immagine di Pascoli o “La Vecchina dell’Alpe”, poemetto pascoliano a cui Balduini dette l’immagine. La vecchina era nata nel solito giorno di Papa Leone XIII, il 2 marzo 1810, quando seppe dal mulattiere che passò davanti al suo uscio che era morente, lei chiamò i suoi per l’ultimo saluto e poi si mise sul letto aspettando che il suo Papa, nel volare in cielo, passasse di lì e la prendesse per fare insieme quel cammino ma nella gloria di Dio. Nell’ultimo respiro lo vide, era felice il “gemello”: da lì passò con la sua mitria d’oro.

Degli altri due di questa straordinaria stagione dell’arte di Barga, Bruno Cordati e Umberto Vittorini, nati circa dieci anni dopo i primi due, nel 1890, restano a testimoniare dell’influenza pascoliana alcune delle loro pitture, con Cordati che gli fu commissionato dal Comune di Barga un quadro che raffigurasse il Poeta, così da poterlo far vedere effigiato nella sala del Consiglio Comunale, ma dello stesso Poeta fece anche un bel bassorilievo in gesso che ancora si conserva presso la Fondazione Ricci a Barga, come lo stemma della famiglia Pascoli che sta sotto la loggia entrando nella sua casa a Castelvecchio. Anche Vittorini ha le sue opere ispirate da Pascoli, specialmente laddove raffigura la vita dei pastori della sua montagna della Val di Corsonna o nei personaggi e paesaggi rustici che aveva reso idealmente nobili la penna del Poeta.

Ora però è tempo di tornare ancora al Prof. Cesare Biondi, uno dei nostri maggiori esegeti di Pascoli, il quale, incaricato dall’Università di Siena ove insegnava di aprire solennemente l’anno di studi dopo il conflitto mondiale 1915-18, esattamente il primo dicembre, magistralmente lo fece nell’Aula Magna con una prolusione dal titolo molto eloquente circa il nuovo percorso che l’Italia avrebbe dovuto percorrere dopo tanti dolori fisici e morali: “L’amore nella poesia del Pascoli”, dove ancora si parla di quanto fu importante la presenza Pascoli a Castelvecchio. Poi venendo alla presentazione della prima rassegna d’arte a Barga del 1925, alle sue note che ancora ci parlano dell’importanza del Poeta negli artisti. Lo diremo, però, dandoci appuntamento al prossimo articolo.

(fine della prima parte)     

 

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