Bianca aveva visto il forno della nonna acceso per l’ultima volta alla fine degli anni ’60, quando aveva circa nove anni; poi era stato abbandonato.
Ricorda che quella mattina tutta la famiglia si era alzata presto perché la nonna, ormai vecchia e tribolata, non era capace di impastare e cuocere il pane da sola, così la ragazza e sua madre andarono ad aiutarla; alle prime luci dell’alba perché il pane doveva essere pronto per il pranzo di mezzogiorno. La mattina trascorse tranquilla e verso mezzogiorno il pane era cotto e sprigionava un delizioso profumo
Il forno della nonna era diverso dagli altri presenti nelle varie cascine: era stato costruito sotto una terrazza e non aveva una vera e propria canna fumaria, ma un semplice buco da cui usciva il fumo che andava dove voleva, anche in casa. Non scaldava bene da tutte le parti, la zona più lontana rimaneva sempre più fredda, così la mamma lasciava lì qualche brace accesa. Sotto il forno c’era anche uno stanzino, dove viveva al calduccio una famiglia di conigli.
Purtroppo nel giro di pochi anni il nonno si era ammalato e nessuno aveva più voluto fare il pane casereccio Sopra il terrazzo che faceva da tetto fu costruita la stanza del bagno, ma il forno non venne toccato. Dopo quasi 60 anni di disuso era diventato un vero e proprio magazzino.
Fu poi notato da un giovane appassionato di cucina, così Bianca lo mostrò ad un bravo muratore, che la rassicurò: il forno era utilizzabile, bastava pulirlo e fargli qualche ritocco, come montare la canna fumaria.
Quando il ragazzo riuscì ad aprire lo sportello sotto, trovò vecchie scarpe e cassette di legno, così tirò fuori tutto questo materiale e riempì lo stanzino di legna per il forno.
Di nuovo ora quel forno, pensò Bianca, si sentiva importante, con davanti anche una bella pietra di marmo pulita e farinosa.
Tutta la casa sembrava felice: se torna il pane casereccio, ritorna anche la vita; anche in un posto fino a poco tempo fa abbandonato.
Bianca non ha più assaggiato un pane buono come quello della nonna e vorrebbe imparare a farlo da sé, visto che il forno funziona, ma sarebbe necessario conoscere una persona anziana che conosce questa vera e propria arte.
Domandando qua e là è riuscita a sapere che serve il lievito madre, cioè quel lievito che le massaie fanno personalmente in casa e conservano per anni ravvivandolo ogni 2 o3 giorni.
L’ingrediente principale del pane è la farina, un po’ bianca e un po’ di grano a cui si aggiungono acqua tiepida salata, lievito e patate lessate e schiacciate con il passaverdure. Il lievito va preparato la sera precedente, come le patate e lasciato nella madia a riposare.
Il mattino seguente, ricorda Bianca, la nonna impastava insieme tutti questi ingredienti, con molta attenzione per non creare grumi e quando diventavano un unico corpo liscio e morbido, divideva questa pasta in pezzi di circa un chilo ciascuno.
Per i bambini faceva dei mini panini legati all’età: il nipote più piccolo riceveva il pane più piccino ed il fratello di Bianca era soddisfatto perché il suo era più grande di quello della sorella!
I pani poi andavano ancora impastati, infarinati e posti sul tarvello, su cui era stata stesa una tovaglia. Su ogni pane veniva anche tracciata una croce, forse anche per benedizione….
Quando il tarvello era pieno di pani si copriva con coperte pesanti o si disponeva davanti al camino, altrimenti, soprattutto d’inverno, il pane non lievitava. Quando non aveva ancora il camino la nonna metteva il tarvello a ponte, su due sedie e sotto poneva lo scaldino pieno di braci accese.
Di solito preparava anche una torta di mele da infornare con il pane e poi accendeva il forno a legna ed attendeva che fosse caldo al punto giusto perché cuocessero bene da tutte le parti. Si accorgeva di questo guardando il colore dei mattoni interni che dovevano diventare quasi bianchi; se non accadeva lasciava lì qualche brace accesa. L’esperienza le aveva insegnato a calcolare, solo guardandolo, quanto tempo impiegava il suo forno a diventare caldo e sapeva pure stabilire quando il pane era lievitato al punto giusto per essere infornato perché se la lievitazione fosse stata insufficiente il pane cotto sarebbe risultato poi duro; se invece era troppo lievitato era buonissimo ma era difficile infornarlo perché scappava fuori dalla pala panaia. Una mattina la nonna di Bianca, dalla rabbia per questa “fuga”, si mise a piangere, ma i nipoti furono ben contenti di mangiarlo quel pane e quella volta non durò come sempre una settimana ….
La nonna puliva il forno con lo” spattosoron”, una scopa realizzata con rametti di bosso, le cui foglie difficilmente prendono fuoco e poi metteva tutti i pani, uno alla volta, sulla pala panaia e poi dentro al forno; quindi chiudeva subito la sua bocca con l’apposito sportello ed anche con carta, per evitare eventuali perdite di calore e non apriva più il forno per un’ora passata.
Ad un certo punto andava a controllare che nulla fosse bruciato ed eventualmente girava i pani perché cuocessero bene da tutte le parti. Al momento giusto avvicinava ogni pane alla bocca del forno con un attrezzo simile ad un rastrello di legno senza denti e poi toglieva la cenere con uno straccio: ora il pane era pronto e lei lo disponeva nella madia, senza coprirlo perché doveva freddare.
A questo punto forse era arrivato pure il momento di assaggiare la torta di mele e Bianca non se lo faceva dire due volte….


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