L’ultimo mulattiere

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Tempo fa, ho ricevuto sul cellulare un piccolo filmato, girato a un mio coetaneo e amico, Luigi Guidi, mentre conduce due muli da Montebono verso il Ponte di Catagnana.

Sotto il filmato, era riportato questo commento: “L’ultimo Mulattiere”. Ma come! – ho pensato – Perché chiamarlo mulattiere?. Io da piccola, ne ho visti condurre tanti di muli e ho sempre sentito chiamare coloro che lo facevano, con il termine Vetturini.

Con l’aiuto della TRECCANI, ho verificato che il termine mulattiere, è certamente più appropriato per definire il conducente di muli, mentre con vetturino si indica colui che  guida le carrozze.

Questo mestiere è quasi scomparso ormai! Con l’arrivo della strada rotabile, il trasporto della merce con i muli, non è stato più necessario. Oggi i muli vengono tenuti da coloro che hanno amato questo antico mestiere, come Luigi, perché praticato dal padre. Ora per il trasporto delle legna o di altre merci, da luoghi privi di strada, vengono utilizzati altri mezzi più moderni come canali, teleferiche, ecc.

Ma quante volte, da piccola, ho visto all’opera i muli di Pietro Giovannetti detto il PIETRUZZO o del Pietro Guidi (padre di Luigi) detto il FAINA o il FOBBIA!

Ero poco più di una bambina quando, per preparare la legna per l’inverno, il babbo tagliò un pezzo di bosco, distante da casa, raggiungibile attraverso un piccolo sentiero. Questa località era denominata a “I Fossi”.

Il babbo si dedicava al taglio della legna nel fine settimana o dopo il lavoro, facendosi aiutare dai miei fratelli più grandi e per trasportare via il legname, fu costretto a rivolgersi ai vetturini. Per poter permettere il passaggio dei muli, il babbo trasformò il piccolo viottolo in un’agevole mulattiera, usando picco e pala e tanto lavoro, tornando a casa spesso a buio.

Ricordo che era la settimana di Pasqua quando il Pietruzzo venne a prendere accordi con il mio babbo sul da farsi. Arrivò di sera quando il babbo stava rientrando dal lavoro e io e il mio fratello più piccolo, Emanuele stavamo confrontando le letterine fatte a scuola, ricche di disegni e buoni propositi, da mettere il giorno di Pasqua, sotto il piatto del babbo e della mamma.

Quando il Pietruzzo arrivò nell’aia di casa con il suo mulo, lo guardai incuriosita e ho ancora davanti agli occhi il suo abbigliamento. Aveva un fazzoletto rosso legato al collo, un gilet di lana marrone fatto a mano a trecce grandi, una camicia a quadrettoni colorata e pantaloni turchini. Ai piedi calzava dei grossolani scarponi. Rivolse a noi bimbi un luminoso sorriso carico di simpatia.

Dopo gli accordi presi con il babbo, i vettori iniziarono il lavoro di domenica e per me bambina quella giornata fu davvero memorabile. Ricordo che sopra un poggio, io e mio fratello Emanuele aspettavamo, l’arrivo dei quattro muli carichi di legna che provenivano da “I Fossi”. Il primo mulo procedeva da solo, seguito dal secondo con il Pietruzzo o il Faina che spesso erano attaccati alla sua coda. Iniziavano a scaricare la soma che era posta sopra il basto, tenuta da quattro grandi ferri che servivano a contenere il carico, legato stretto con una fune. La legna veniva scaricata e accatastata in fondo all’aia dai miei fratelli più grandi. Quando il primo vetturino aveva terminato di scaricare i suoi  muli, si riavviava sollecito per un nuovo carico, mentre il secondo vetturino finiva di scaricare gli altri due muli e ripartiva anche lui. Nell’ora del mezzogiorno, quando fu il momento di andare a mangiare, i muli vennero legati ad una staccionata e fu loro messa una specie di museruola fatta a sacchetto con dentro dell’avena. Come mi sembrò strano il loro modo di mangiare!

Ricordo ancora i nomi di alcuni muli: il Moro, il Biondo forse in riferimento al loro manto e il Sincero del Pietruzzo. Per farli procedere più spediti con il carico, venivano spronati con esclamazioni come: “Ihiiiiii Moro! Ihiiiii Biondo!”. E per farli fermare con “Leeeee!”

Tutti questi comandi vocali usati dai vetturini, vennero poi imitati, nei giorni successivi, da me e dal mio fratellino, durante i nostri giochi.

Riguardo al mulo Sincero, ho sentito spesso raccontare una storia accaduta al Pietruzzo. Una domenica, passando da La Mocchia, si era fermato per caricare un sacco di semola da portare a casa. Questo carico senz’altro non era stato legato bene, tanto che giunto a casa, non era più sulla groppa del suo fidato mulo. Allora si dice che il Pietruzzo guardando il suo mulo disse: “Caro Sincero, non sei più sincero!”

In una sua poesia, Romeo Rinaldi, emigrante della Val di Corsonna, ricorda, con nostalgia, tutte le bellezze della sua terra, tra le quali l’audace gridar del vetturino. Ritengo che audace sia proprio il termine giusto per indicare questo mestiere svolto con coraggio e passione.

Guarda quel monte là, tocca le stelle!

Guarda quel cielo tuo, com’è turchino!

Ascolta il canto delle pastorelle

e l’audace gridar del vetturino.

Ascolta queste e quelle cose belle

che ti sa raccontare un contadino.

Ascolta amico e non scordare mai

che fuor di patria ciò non troverai.

(Romeo Rinaldi, Al Passante in Canti della montagna Barghigiana)

 

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