Amos Paoli, una Medaglia d’oro “barghigiana”

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La storia di Amos Paoli, partigiano Medaglia d’oro al valor militare, è una vicenda assai nota nel territorio seravezzino dove visse, ma ancora poco conosciuta a Barga, suo luogo di nascita. Grazie alla segnalazione dei familiari all’Istituto Storico Lucchese, si è cercato brevemente di ricostruirne il legame al nostro territorio.

All’anagrafe di Barga risulta che Amos Paoli nacque in località Menchi (Filecchio) il 7 settembre 1917, primogenito di Adone, originario di Seravezza, e di Luisa Tomei di Vagli di Sotto. I due genitori non erano sposati e si trovavano momentaneamente a Barga per ragioni di lavoro. Amos fu battezzato, come risulta dall’archivio parrocchiale di Loppia, presso quella pieve il 1° ottobre 1917 (l’atto di battesimo segnala l’8 settembre come data di nascita, in quanto Amos risulta nato alle ore 24 tra il 7 e l’8); madrina al fonte battesimale fu Maria Berrena nei Berti. Queste sono le uniche informazioni che possediamo sul domicilio barghigiano dei Paoli, in quanto la famiglia conservò come residenza l’indirizzo materno a Vagli; ciò fino al definitivo ritorno a Seravezza.
Dall’anagrafe di quel comune risulta che Adone Paoli e Luisa Tomei spostarono la residenza dal Comune di Vagli di Sotto a Seravezza in località Riomagno (Via Ponticello 24) in data 2 luglio 1922; a Seravezza si sposarono poi il 13 maggio dell’anno successivo. La coppia ebbe altri tre figli: Lino, Solitario e Solidea. Negli archivi del comune di Vagli non si sono invece trovate ulteriori informazioni.
In conclusione a ciò aggiungiamo che anche il giornale barghigiano “La Corsonna”, nella rubrica dedicata alle nascite sul territorio comunale, indica la famiglia Paoli come proveniente da Vagli.

Amos Paoli da bambino contrasse la poliomelite che lo segnò nel fisico provocandogli per il resto della vita la paralisi degli arti inferiori. L’handicap, che lo costringeva a muoversi tramite l’utilizzo di stampelle o di un carrozzino, non ne minò lo spirito tanto che, dopo gli studi, iniziò ad esercitare il mestiere di calzolaio in una bottega di Pietrasanta, impiego che conservò per tutta la vita ad eccezione di una breve parentesi in cui tentò di gestire in proprio una segheria di marmo.

I Paoli avevano sempre vissuto una forte tradizione antifascista; fu quindi naturale l’adesione dei membri della famiglia al movimento partigiano, a seguito dell’8 settembre 1943. Amos divenne staffetta incaricata di mantenere i contatti tra i membri del CLN e delle formazioni partigiane operanti in Versilia e i loro familiari; credendo di non destare sospetti per via della sua malattia, si occupava del trasporto di viveri, messaggi e armi che nascondeva in un doppio fondo della sua carrozzina.

La sera del 24 giugno 1944 Amos, di ritorno da una festa con gli amici Lorenzo Tarabella e Luigi Novani, si fermò a dormire a casa; qui durante la notte fecero irruzione le SS, probabilmente in seguito a una delazione. In casa Paoli trovarono, nascosti sotto un materasso, uno sten con caricatore, tre bombe a mano e una pistola. I tre furono condotti nella sede del comando tedesco nella vicina Corvaia e sottoposti ad interrogatorio; non avendo ottenuto risposta, le SS li ricondussero il giorno dopo a Riomagno con la promessa di rilasciarli se avessero fatto il nome dei partigiani. Al loro rifiuto li portarono al comando tedesco di Compignano (Massarosa) dove vennero torturati fino all’alba del 27 giugno quando Amos Paoli, trascinato per le gambe fuori dall’edificio, fu finito a colpi di pistola. I suoi compagni, portati in Garfagnana per lavorare alle fortificazioni della Linea Gotica, sopravvissero fino all’arrivo degli Alleati.

Con d.P.R. 22 maggio 1978 ad Amos Paoli fu conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: “Paoli Amos, nato il 7 Settembre 1917 a Barga (Lucca) – Partigiano operante nella formazione «Bandelloni» , pur gravemente menomato agli arti inferiori fin dall’infanzia, si adoperava con grande dedizione come staffetta per il collegamento fra formazioni partigiane operanti in Versilia. Su delazione fascista veniva sorpreso nella sua abitazione dove venivano rinvenuti notevoli quantitativi di armi e munizioni. Assumendosi personalmente ogni responsabilità scagionava gli altri compagni di lotta che riuscivano così ad avere salva la vita. Sottoposto ad atroci torture, nulla rivelava della formazione di appartenenza, per cui veniva trucidato facendo olocausto della sua giovane vita che concludeva al grido di: Viva la libertà, viva l’ Italia . Fulgido esempio di cosciente valore, di altruismo e di piena dedizione alla causa della libertà. – Seravezza Massarosa (Lucca ), 25 – 27 giugno 1944”.

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