ARRIVO A CATAGNANA
Nel maggio 1964 ci stabilimmo definitivamente ai Domenichetti, una località vicino a Catagnana. La nuova casa a me sembrò subito proprio bella, con i suoi pavimenti in vecchio cotto o in granito. Erano un po’ danneggiati dall’uso, ma sempre meglio di quelli dei Battisti, di vecchio legno consumato dal tempo. Al pian terreno una grande cucina con il camino era illuminata da due finestre, c’erano poi un ripostiglio e altre due stanze, una delle quali diventò la camera dei nonni che soffrivano di cuore e non potevano salire le scale troppo spesso. La stanza più ampia era però una sala con un bel pavimento a mosaico, macchiato purtroppo da un cattivo uso.
Nel grande corridoio una lunga scala di granito portava al piano superiore, di fronte ad essa c’era il bagno, una stanzetta con una bella porta, aperta la quale si vedeva solo un muretto di cemento, bucato al centro. Ma qui, almeno, avevamo il pozzo nero e non il “comido” *fuori! Le altre quattro stanze diventarono le camere per genitori e figli. Io dormivo in un lettino di fianco a quello della mamma ma spesso saltavo nel suo!
Il terreno intorno alla casa era pianeggiante, anche se abbandonato forse da più di cent’anni. Erano comunque sopravvissuti molti alberi da frutto che io non conoscevo e che producevano mele ruggine, dolci, renette, giugnine, susine coscia di monaca, pesche noci, fichi e ciliegie di varie qualità e tanti ulivi e castagni secolari, qualche vite qua e là….
*Comido o comodo: il gabinetto prima che fosse inventato il water.
LE PRIME AMICIZIE

Quando io e la mia famiglia arrivammo ai Domenichetti, conobbi subito una bambina più piccola di me di un anno, Claudia e suo fratello Claudio, più grande. Claudia mi ha poi raccontato che lei mi aspettava, perché le avevano detto che sarebbe venuta ad abitare nella casa vicina alla sua una bambina quasi coetanea.
Faticai non poco a farci amicizia perché era molto timida e si nascondeva dietro al fratello, unico suo compagno di giochi. Era un mezzo maschiaccio che rompeva tutti i giocattoli femminili che riceveva in regalo, somigliava molto a Pippi Calzelunghe.
Io la conquistai offrendo a lei ed al fratello saporite merende con il pane casereccio e qualche “ninnoletto” che altrimenti avrei buttato via….
Diventammo inseparabili e spesso svolgevamo anche i compiti insieme; quando morì suo nonno Ferruccio dormimmo nello stesso letto per qualche sera e cominciammo a passare sempre più tempo insieme perché il padre era invalido e la madre faceva i turni alla SMI.
Alla morte del nonno, quindi, si ritrovarono spesso soli in casa e si rifugiavano da me.
La loro mamma, lentamente, insegnò loro a svolgere le faccende più semplici, come dare lo straccio in terra ed era contenta se li aiutavo.
Io, però, ero abituata a pulire dei mattoni ruvidi per i quali bisognava usare uno straccio molto bagnato e così feci sui loro pavimenti di granito, rischiando di allagarli. La loro mamma, dolce e comprensiva, però mi premiò ugualmente con una grossa banana, forse una delle prime in vita mia.
Un giorno Claudia venne a casa mia con un batuffolo di pelo in braccio, le avevano regalato un cagnolino bianco e nero, a cui dette il nome di Pucciolo. Io avevo già un gattino di pochi mesi e i due animaletti fecero presto amicizia perché erano piccoli ma spesso, giocando insieme, agitati com’erano, rompevano vasi di fiori e perfino le barbatelle di vite appena piantate da mio padre…
Un giorno Claudia pensò che forse il suo cane avesse bisogno di un bel bagno, dopo le scorribande con il gatto, così prese un secchio con acqua tiepida e v’immerse la bestiola che gradì molto.
Venne a darmi la notizia di corsa ed io pensai: “Se si è lasciato lavare il cagnolino, farà lo stesso il gatto”.
Preparai acqua tiepida, asciugamano, sapone, ma quando immersi la bestiola nell’acqua cacciò un urlo, tirò fuori le unghie e mi graffiò mani e braccia, salvai il viso quasi per miracolo…. poi andò a nascondersi al calduccio, dentro la stufa economica, strusciandosi nelle pareti nere e polverose. Uscì quando fu asciutto, ma era più sporco di prima….
Non ho più tentato di lavare un gatto, ma la mia amica, ancor oggi, a distanza di quasi sessant’anni, quando mi incontra mi chiede ridendo: “L’hai lavato il gatto?” e poi mi sorride e mi abbraccia.
Un’altra amica che abitava abbastanza vicina a noi era Antonella, una bimba piccolina per la sua età, ma molto sveglia, testarda e un po’ bizzosa. Aveva due sorelle ma erano troppo grandi per giocare con lei ed allora nel pomeriggio veniva da noi.
Finiva che litigavamo perché voleva sempre aver ragione ed allora si formavano due gruppi rivali: del più grande la leader ero io e dell’altro Claudio. La giornata finiva poi con la pace ed il ritorno ai soliti giochi, ma quando Antonella tornava a casa raccontava alla madre le angherie, spesso vere, che aveva subito e lei seria le rispondeva:” Se stavi a casa tua non ti succedeva nulla e spero tanto che i compiti siano fatti, altrimenti le pigli!”
Antonella, a questo punto gridava: “A Mirella hai fatto una sorella più piccola, come a Lorena, a me no, io non so con chi giocare, allora vado ai Domenichetti.
Se la scuola non era ancora finita, io, Claudio, Claudia e a volte Antonella prima svolgevamo i compiti, poi facevamo merenda e solo dopo giocavamo tutti insieme, in certi giorni eravamo piuttosto numerosi perché si univano a noi altri ragazzi del paese: Annamaria, Giorgio, Candida…. di varie età.
Un pomeriggio, mentre lavoravamo, cominciammo ad esprimere giudizi positivi sulla nostra maestra, Maria Mariucci: secondo la maggioranza era buona, tollerante, come una mamma, ma Antonella che la mattina aveva preso zero cominciò a piangere, poi continuò: “Avevo fatto un buco sul quaderno con la gomma che si deve usare pochissimo a scuola e la mamma ha dato ragione a lei!” (commento di una maestra: altri tempi).

Anche con la maestra di quinta, qualche anno dopo, non ebbe maggior fortuna perché Sofia Casci era buona ma severa e quando la interrogò a storia successe il finimondo: era vicina la fine del secondo trimestre e la maestra spiegò e dette da studiare sul sussidiario il personaggio di Pier Capponi per il voto sulla pagella. Ma quando interrogò Antonella, lei non sapeva nulla ed alla fine confessò che aveva studiato la pagina successiva, su Masaniello, perché l’altra non le piaceva!
La maestra si alzò, diventò tutta rossa e sbottò:” Questa volta il 5 a storia non te lo toglie nessuno!” e così fu. Antonella raccontò in famiglia, piangendo, quel che le era successo ed ancora una volta, però, la madre appoggiò pienamente l’insegnante.

IO E I FUNGHI…
Durante la stagione dei funghi io imparai ben presto a cercarli e a riconoscerli. D’altronde a Catagnana le selve erano tanto vicine e pulite che a volte io partivo in ciabatte. Ormai conoscevo tutti i poggi in cui nascevano ed a volte li cercavo anche la sera, con la torcia!!! Un anno nacquero anche nel recinto delle galline….
Ma io sarei voluta andare con mio padre nella Val di Corsonna, dove lui era cresciuto e dove conosceva bene i posti da funghi. Lui però diceva che era troppo pericoloso, era meglio che li cercassi vicino a casa, tanto li avrei trovati ugualmente. In questo modo però questi posti in cui ne trovava a quintali sono rimasti un mistero per me.

LA MIA PRIMA COMUNIONE
Il primo di settembre, ogni anno, a Catagnana si festeggia il santo patrono, san Regolo, e in quell’occasione, una volta i bambini ricevevano la prima Comunione. Nel 1965 eravamo in tre: io, la mia compagna di banco, Candida e Claudio, figlio del nostro vicino di casa.
A quel tempo non usava indossare tuniche uguali, ma la mia mamma e quella di Candida si trovarono d’accordo e fecero cucire due abiti bianchi, lunghi, di pizzo, con il velo, al negozio “La città di Firenze” di Fornaci. Costarono ognuno 18000 lire, ma erano proprio belli!!!
Il mio è poi servito per vestire principesse, regine, angioletti nelle varie recite scolastiche mie e delle mie nipoti. Ora da qualche anno si riposa, pulito e stirato, in un ampio sacco celeste, nell’armadio, accanto a quello da sposa.
Il primo settembre era anche il giorno in cui i miei genitori invitavano parenti e amici a pranzo perché il santo patrono era una festa molto sentita.
Quando i vari invitati seppero della mia Comunione mi regalarono parecchi soldi!
LA BEFANA
Il 1965 fu anche l’anno in cui scoprii che la befana non esisteva.
Mio fratello, alla fine di novembre, costruì come al solito la capannina per il miccio della Befana, provvista di acqua e fieno per questo animale. Durante la notte la vecchia lasciava mandarini, noci, nocciole per ringraziare dell’ospitalità. Qualche giorno prima di Natale andai a rovistare nella madia in cui stava il pane e trovai un sacchetto colmo di mandarini, di cui ignoravo l’esistenza, così incalzai tanto mia madre che fu costretta a confessare! Nei giorni seguenti brontolavo perché non avrei ricevuto alcun regalo e questa volta si mosse a compassione mia sorella, che, scoperto il mio desiderio di avere una chitarra di plastica, me la comprò a Barga, dal Turri, che aveva un negozio di giocattoli. La chitarra visse a lungo ed è stata poi rotta dalle sue figlie piccole a cui l’avevo ceduta!
A quel tempo usava anche andare a cantare la “Befana”, la vigilia dell’Epifania. Noi ragazzi ci travestivamo da befane e befanotti e giravamo nel paese bussando alle porte, mentre intonavamo canti dedicati alla vecchina. Le persone aprivano e ci davano in dono biscotti, noci, mandarini, caramelle, …. Poi noi ringraziavamo con un altro canto e passavamo alla casa successiva. La sera, al ritorno le mamme ci dividevano i piccoli doni ricevuti.
(continua la prossima domenica).


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