Per Bruno Cordati

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In occasione dell’apertura della mostra dedicata a Bruno Cordati inaugurata lo scorso sabato alla Fondazione Ricci di Barga, volentieri riportiamo l’interessante contributo del prof. Umberto Sereni e che accompagna il bel catalogo di questa esposizione.

 

Ancora una volta manifesto a Cristiana Ricci un’affettuosa riconoscenza e un caldo apprezzamento per la generosità, l’intelligenza e la sensibilità con le quali guida la Fondazione voluta da suo padre Mario. Negli intendimenti che promossero la sua istituzione, orsono più di trent’anni fa, un ruolo centrale l’occupava la volontà di dare vita ad un organismo che si poneva l’obiettivo di valorizzare la cultura, l’arte del Comune di Barga e della Valle del Serchio. Un obiettivo di grande portata. Quasi una sfida lanciata ad un ambiente tanto ricco di un patrimonio di storia, quanto restio a misurarsi in un impegno costante nella sua valorizzazione.

Come iniziò a fare i primi passi la Fondazione Ricci avviò una ricognizione delle eccellenze artistiche che il territorio aveva maturato: operazione questa che fece emergere con la densità di capitoli cruciali i nomi di Alberto Magri, Adolfo Balduini, Umberto Vittorini, Bruno Cordati, Giovan Battista Santini.

La storia artistica e culturale del Novecento valligiano è stata scritta da questa straordinaria generazione di pittori che, cresciuta nell’insegnamento pascoliano, seppe ricavare dalla rappresentazione del paesaggio solcato dal Serchio il racconto di una vicenda umana che condensava motivi di ben più vasta dimensione. Pittori che seppero trovare nel microcosmo valligiano l’antidoto terapeutico alle illusioni che tormentavano il mondo “grande e terribile”. Seguendo Giovanni Pascoli, che, per averne sperimentato i benefici effetti celebrò la Valle come l’Arcadia Ritrovata: “Cercavo un anno fa un luogo appartato e solitario dove fare certi miei poveri lavori e ribevermi certe mie povere lacrime in pace: Venni a Barga: Vidi che “c’era bello” e sostai. Ora la vostra accoglienza, o cittadini di Barga, mi dice che in questi luoghi “c’è buono”: Dove è la bellezza e la bontà il cuore dell’artista non ha altro da desiderare. Io rimarrò qui”, questi giovani artisti in formazione, che andavano alla maturità agli inizi del Novecento, vivevano una sorta di rivoluzione spirituale che li metteva in condizione di appropriarsi del segreto per scoprire e godere i tesori custoditi dal paesaggio che frequentavano quotidianamente.

Questa acquisizione della vitalità reale della “generazione pascoliana”, che ha fornito una chiave di interpretazione e di lettura così consistente e convincente da obbligare ad una ridefinizione della geografia artistica toscana, è stata in un buona parte l’esito dell’operazione culturale condotta dalla Fondazione Ricci: dalla grande indimenticata mostra dedicata ad Alberto Magri nel 1996, per seguire con le rassegne delle opere di Giovan Battista Santini, di Adolfo Balduini, di Umberto Vittorini, la Fondazione Ricci ha saputo ricostruire questo affascinante  mosaico  pittorico che  per la sua  configurazione identitaria si impone nel panorama regionale.

Fino ad oggi a quella meritoria operazione culturale mancava di un nome, quello di Bruno Cordati, che della “generazione pascoliana” era stato sensibile partecipe fin dai suoi esordi giovanili con i quali illuminava di sincera poesia uomini e cose dell’antico borgo bargeo.

Era tempo dunque che Bruno Cordati venisse recuperato dentro questa meravigliosa storia che ci inorgoglisce tutti.

A questo punto è chiaro da dove provengono l’affettuosa riconoscenza e il caldo apprezzamento che ho voluto manifestare a Cristiana Ricci, degna cittadina onoraria di Barga.

Per significare ancora di più i miei sentimenti ci tengo a rivelare che questa mostra mi coinvolge nel profondo, perché conservo del professor Bruno Cordati un ricordo che gli anni hanno reso ancora più bello.

Era il 1975, ed allora guidavo i comunisti barghigiani in una vivace battaglia amministrativa che mutò radicalmente la fisionomia politica della nostra cittadina. In vista delle elezioni decidemmo di dare un segno della nostra aumentata consistenza con l’inaugurazione della sede della sezione. La intitolammo al nome di Ansano Aurori, un vigoroso contadino di Gragno che non si era mai piegato.

Saputo cosa stavo preparando, il professor Cordati mi convocò nella sua casa-studio in via di Mezzo per comunicarmi che aveva deciso di donare alla sezione uno dei suoi quadri. Intendeva quel suo gesto come un omaggio alla bella figura di Ansano Aurori e come un incoraggiamento per il mio impegno.  Sapeva che la mia radicale opera di rinnovamento del Partito aveva sollevato resistenze e critiche e ci teneva a dimostrarmi la sua condivisione e la sua solidarietà.

Il quadro esposto nella vasta sala fu scoperto con una cerimonia alla quale intervenne da Siena il professor Giorgio Giorgetti, illustre docente di quella Università. 

È di un qualche significato che la mostra che la Fondazione Ricci dedica a Bruno Cordati si tenga proprio nella villa che era stata del professor Giorgetti, divenuta un luogo di cultura e arte.

Della mia stima per Bruno Cordati è testimonianza l’articolo che pubblicai nel “Giornale di Barga” del gennaio del 1980, ad un mese dalla sua scomparsa. L‘ho riletto e l’ho trovato così giusto che non saprei aggiungervi nulla.

Una coincidenza che induce a pensare ad un arcano disegno ha voluto che a pochi giorni dalla morte di Umberto Vittorini seguisse la scomparsa di Bruno Cordati. Allora più netta e più forte si è fatta la sensazione della definitiva conclusione di un grande capitolo della storia della civiltà barghigiana.

Di quel capitolo che ripercorreva le tappe di una luminosa ed eccezionale stagione artistica e culturale, avviata nel riverbero della suggestione della poesia pascoliane ed indirizzatasi con i risultati più alti nel campo delle arti figurative.

Non è un caso che nei giorni del commiato a Vittorini e Cordati siano alleggiati i nomi di Alberto Magri e di Adolfo Balduini, che furono i principali protagonisti di quella fioritura che aveva sottratto Barga nel mediocre grigiore del panorama della vita di paese.

Ma il ritorno dei nomi di Magri e Balduini era il preludio ad un più proficuo profondo distacco che avveniva coinvolgendo anche le ultime testimonianze di quel mondo.

Come gli attori di teatro, che, a rappresentazione conclusa si presentano tutti assieme di fronte al pubblico prima di scomparire per sempre dietro le quinte.

Allora si apre il tempo del giudizio, che non può che essere lusinghiero nel considerare l’opera di Bruno Cordati. Già in passato i critici che hanno scritto della sua pittura ne hanno messo in giusto risalto gli elementi fondamentali – notevole padronanza di disegno, possente capacità di introspezione ritrattistica – ed hanno individuato alcune fasi distinte della sua espressione, sottolineando l’importanza del periodo bulgaro.

Tra i suoi quadri più carichi di suggestione vi è il ritratto a Giovanni Pascoli, presente nella sala del Consiglio di Palazzo Pancrazi, che raffigura il poeta in uno stato d’animo pensoso, ben lontano dall’immagine sdolcinata che la tradizione retorica avrebbe voluto imporre.

Un’analoga lezione la si ricava dalle opere dedicate alla rappresentazione del mondo della «vecchia Barga», che hanno fissato la momentanea serenità dei fanciulli intenti al gioco, ed hanno esternato i volti di personaggi emblematici di una condizione di duro cimento quotidiano: «il Chiocca», «il Ferrari», «il Buti».

Davvero compenetrato nello spirito di quel mondo, Bruno Cordati ha saputo trasferirlo nei suoi quadri, che evocano sentimenti cupi e dolenti, sciolti in infinita malinconia quando sulla tela appare lo sguardo trasognato e turbato di una bambina che si affaccia ad una simbolica finestra della vita.

La dura realtà della lotta per l’esistenza, il dramma della vicinanza del baratro della miseria, hanno trovato nella pittura di Bruno Cordati una interpretazione che ha valore di un affresco storico. E ciò è stato possibile solo perché l’artista era partecipe di quelle sofferenze di quelle speranze. Soltanto chi disponeva di una tale sensibilità poteva giungere a far esprimere tutta la potenza del dramma e dell’ascesi dell’emigrazione come fece Cordati per i pannelli decorativi della mostra di Bagni di Lucca del 1934, che impressionarono Eugenio Lazzareschi. Adesso che questo grande è capitolo chiuso, inizia il lavoro del giudizio storico. Anche se attualmente troppa gente si affolla a questo tavolo, prima o poi le cose si riassesteranno ed allora sarà compreso il valore di questa splendida stagione della civiltà barghigiana, alla quale Bruno Cordati ha dato un significativo contributo.

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