Le patate della SMI di Fornaci

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Dopo appena un anno di guerra, che doveva essere una guerra-lampo e che invece si prospettava come lunghissima, la situazione alimentare volgeva al peggio: tutti i generi di prima necessità erano razionati, in quantità insufficienti ed in qualità scadentissime.

Si era nel 1941 e nella mia città, Livorno, quando la gente s’incontrava con amici, con conoscenti, spesso si udivano frasi come questa: “Ma come sei dimagrito, quasi non ti riconoscevo…”.

Mio padre lavorava alla SMI ed una sera, rincasando dal lavoro, tutto contento, ci disse: “Dalla SMI di Fornaci di Barga, in lucchesia, che dispone di una grande colonia agricola, ci hanno inviato un quantitativo di patate, a disposizione per tutto il nostro personale: domani potete andare a prenderle alla ‘dispensa’.  Notizia meravigliosa che a noi di famiglia fece rialzare il morale!

Fino ad allora poco o punto avevo sentito parlare di Fornaci di Barga; ma la sera stessa ne chiesi informazioni dettagliate a mio padre e ne cercai sulla carta geografica l’ubicazione. E nella mia immaginazione mi figurai la ‘colonia’ come un’immensa distesa di coltivazioni, come si vedevano nei film americani (che poi ridimensionai quando, pochi anni dopo, ebbi modo di vederla dal vero!).

L’indomani mamma ed io, muniti di robuste borse, ci recammo alla ‘dispensa della metallurgica’, che era come un grandissimo negozio di generi commestibili, un precursore degli attuali supermercati, gestito dall’azienda, per ricevere le patate che ci spettavano. Quel giorno c’erano tanti più clienti del solito, sempre per la faccenda delle patate; e qualcuno, di famiglia numerosa, a cui ne spettavano di più, si era recato a fare detta spesa con carretti o con tricicli muniti di portabagagli. Da notare che in detta ‘dispensa‘ mamma ed io ogni settimana andavamo a fare la spesa grossa, ed il pagamento avveniva per trattenuta sulla paga di babbo, con la possibilità di dilazionare detta trattenuta. Lì appresso, in apposito locale, detto ‘pannine’ , c’era la vendita di generi di stoffa, con le stesse modalità di quelle dei viveri (anche allo stabilimento SMI di Fornaci funzionavano  gli stessi servizi). Ciò era una delle tante agevolazioni sociali per il popolo, in uso a quei tempi.

Dunque, tornando alle patate di Fornaci, quando giungemmo a casa, stanchi per la fatica, le sistemammo in un cassettone di legno e mamma e nonna ne iniziarono a cucinare una certa quantità: quella sera se ne fece una scorpacciata! Ma ecco, poco dopo, giungere mio zio Giannino, fratello maggiore di mio padre che, senza tanti preamboli, avendo saputo delle patate che avevamo avuto, ne chiese un po’ per la sua famiglia; fu accontentato e ringraziò tanto, quasi con commozione. Era un po’ di tempo che babbo e zio non si vedevano e, grazie alle patate di Fornaci, sorseggiando un bicchiere di vino assieme, trascorsero un’oretta conversando fraternamente dei loro ricordi, della loro famiglia originaria, della loro sorella, sposata ad Arezzo.

E, nei giorni seguenti, c’era chi ci esternava una certa benevola invidia, dicendoci: “Buon per voi che avete uno di famiglia al lavoro alla SMI, che vi ha permesso , in questo contesto di penuria di cibo, di ottenere un sacco di patate!”.

 

(P. S. : Circa due anni dopo, sul finire del 1943, mio padre, con altro personale della SMI di Livorno, distrutta dai bombardamenti aerei, fu trasferito o, meglio dire, sfollato, al confratello stabilimento SMI di Fornaci di Barga dove, poco dopo, giunsi anch’io insieme a mia madre).

 

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