Passeggiando tra aspetti pubblici di Barga: arte e memorie collettive. La Fornacetta, la chiesa e Ferruccio Togneri. (sesta parte)

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Usciti dalla chiesa di San Felice, ci sorprende ancora il panorama che alla sinistra si apre, in alto, verso le cime degli Appennini ma abbassando gli occhi ecco apparire uno dei sobborghi più poetici di Barga: la Fornacetta. Il nome, al solo pronunciarlo, ci fa intravedere una piccola fornace che avendone persa la memoria non sappiamo cosa sia stata di preciso, seppur due idee ci vengano incontro. La prima ci porta a ripensare un attimo a ciò che a Barga si conserva di arte delle terrecotte, ecco allora che qualcosa si apre nella mente. La seconda è più semplice e ci porta a una fornace di pentole di terracotta.

Per la prima esiste infatti una leggenda molto intrigante, iniziata a grandi livelli con l’erudito Emanuele Repetti (Carrara 1776 – Firenze 1852) precisamente con quanto narra nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana alla voce Barga, dove riferendosi alle diverse opere robbiane qui presenti come in Valle, soprattutto per quella rimasta allo stato di cotto, eccolo dire: Un argomento plausibile, che questo genere di plastica si lavorasse anche in Barga, ce lo fornisce un quadro incompleto murato in una parete del chiostro del soppresso convento di S. Francesco, il quale non ebbe che una sola cottura, e conseguentemente restò privo della successiva vernice invetriata. (26)

Lo scrivente, su quest’argomento della presunta fornace robbiana a Barga, ne ebbe già a parlare nell’articolo che è su questo sito: “Le terracotte robbiane di Barga” del 25 febbraio 2009. Qui, assai accuratamente, analizzava la storica idea, la presunta genesi della credenza popolare, invitando il lettore a ricercare quell’articolo per leggerlo, specialmente nella parte che segue: Sulla presunta presenza a Barga di fornaci robbiane.  (27)

 

Che in quel poetico sobborgo di Barga che s’inerpica lungo una via fino alla chiesa dell’Assunta, appunto, volgarmente detta della Fornacetta, ancora vaghi una siffatta leggenda e quindi saperlo avvolto in un mistero di simile natura, è come vederlo attraverso un immateriale cofanetto di cristallo che ognora brilla di simile bellezza lì racchiusa come ognuno nel cuore ha il suo sogno più bello.

Diamo ancora un’occhiata al pittoresco sobborgo che nel delizioso aspetto ci carezza l’anima e la mente nel suo poetico mistero “robbiano”. Guardiamolo ancora e facendolo non possiamo sfuggire all’attrazione che ha su di noi quella bella e singolare villa, molto ammiccante all’inizio della via che scende e poi sale la Fornacetta sino alla chiesa.

Dal nome stampato in bella vista al passeggero: Villa Buenos Aires, ecco che ci porta in America meridionale, in Argentina. Prima di questo nome era una grande casa divisa in due prospetti dall’intonaco pitturato di bianco, come due facciate di un solo corpo, uno poco più alto dell’altro. Padroni ne erano quelli della famiglia dell’ingegnere o geometra Giovanni Togneri da cui Ferruccio che emigrò in Argentina e che da costruttore edile ebbe un gran successo, tanto che chi lo ricorda in articoli gli attribuisce il merito di aver bellamente costruito mezza Buenos Aires. Era questa la città della sua fortuna che poi volle scritta lì sulla facciata principale della villa barghigiana, come laggiù possedé la sua villa che chiamò Barga e una barca dedicata al caro poeta Giovanni Pascoli che stava cantando con nuove, particolari e sconosciute parole l’emigrazione italiana, la sua fortunata vicenda e quella che si leggeva solo negli occhi delle centinaia di persone che conobbero i grandi mari e le deserte, all’anima, vie assolate del mondo.

Ferruccio Togneri, figlio dell’ingegnere Giovanni che lavorava per il Comune di Barga, era nato nel 1861. In varie pubblicazioni è ricordato come architetto ed era partito in cerca di fortuna in Argentina dopo che era stato amministratore a Barberino del Mugello della tenuta Il Palagio del marchese Dufour Berte. Esattamente s’imbarcò per quella vastissima regione dell’America meridionale nel 1884, laggiù arrivandoci il 28 febbraio. Aveva ventitré anni e dopo essere stato in società con un ignoto parente nel ramo edilizio ecco che nel 1891, all’età di trent’anni decide di procedere autonomamente e il successo fu straordinario.

Divise la sua vita tra l’Argentina e la sua cara, amata e sempre sognata Barga. Fu autenticamente un barghigiano, di quelli veri e diremo dei migliori, che fatta una grande fortuna, aiutò economicamente ogni istituzione di Barga. L’Ospedale, l’Asilo Donnini, la Banda, le scuole in genere come la Normale che poi divenne l’Istituto Magistrale. Pure la ricostruzione del Duomo lo vide solerte negli aiuti con l’acquisto di una nuova vetrata policroma e l’orologio da porre sul campanile e che a distanza di quasi cento anni, era il 1930, ancora oggi suona l’ora di Ferruccio, seppur il suo conterraneo del suo sembiante che lo faceva somigliare al Re Umberto I, preso da mille problemi, se non lo ha dimenticato poco ci manchi. Nel 1925 fu nel Comitato Nazionale per le Celebrazioni Nazionali al poeta Giovanni Pascoli e in loco, qui a Barga, fu ricercato il suo aiuto, anche economico, per realizzare un degno ricordo del poeta, giornate che si finirono con un invito per tutti i partecipanti nella sua villa Buenos Aires.

 

Pensando e scrivendo eccoci arrivati a Porta Macchiaia e dall’arco ecco apparire in tutta la sua fascinosa bellezza, la villa di Ferruccio e Maria e pare di sentire uno scalpiccio leggero, come se qualcuno o meglio qualcuna stesse fuggendo al nostro sguardo. I fantasmi sono molto furbi ma lasciano sempre un indizio come nel caso. Infatti, è nell’aria un dolce olezzo che intenso, ora si sia fatto leggerissimo: essenze di albero detto “falso Pepe”, dalle profumate foglie e bacche rosse. Una pianta che prolifera anche in Argentina e allora non è difficile, per chi lo sappia, che quel profumo che sempre torna e ora va disperdendosi dietro a quei leggeri passi di vento sino a svanire nello svolazzare di uno zendado di seta che avvolge quel fantasma che fugge alla vista, sia di una persona vissuta cento anni fa, per noi un ignoto ricordo ma volendo e ricercando anche noto. Chi è? Per quel profumo ora è chiaro; l’aroma è inconfondibile: è la “Ciolita” Elsa Togneri, la figlia dei due anziani signori Togneri che par di vederli affacciati alla finestra a ricercar con gli occhi quell’amato sembiante che, ancor giovane e troppo presto, Dio volle accanto a fargli compagnia. Ebbero altri due figli maschi: Raul e Dino. (28)

 

A proposito di Elsa Togneri così si ricorda nella poesia scritta da certa Laura Gagliardi Gatteschi, forse di Vecchiano (Pi) e pubblicata nel settembre 1950 su Il Giornale di Barga, dal titolo Villa Buenos Ayres. Prima si dicono delle amene bellezze di Barga, di quelle della villa che si scorge nel silenzio rotto solo dal passo del mulo e dall’ora del campanile, mentre che al viandante dà riposo, in fondo ecco lo struggente ricordo della “Ciola”:

…..     …..     …..

Mesta in tanto tripudio di bellezza

Quando la notte più ride di stelle

Si aggira l’ombra di “Ciola” gentile:

cerca la casa

degli avi che l’accolse bella e lieta

ai dì ridenti e di speranze piena

e il mormorio della fresca fontana

copre il suo pianto.

 

Diamo un ultimo guardo da dentro la Porta Macchiaia ed ecco apparir la in fondo la Madonnina dei Ciarpi, su quella casa che la strada che scende la pone di là, sul fianco di villa Buenos Aires. Prima, appunto, era sulla casa dei Ciarpi, che un tempo stava sotto la chiesa di San Felice, dalla parte dove oggi la Misericordia ha il suo parco che porta lo stesso nome, mentre andrebbe dedicato a quella famiglia che lo donò all’istituzione. Vediamo allora che la storia che dovrò dire in realtà ne comprende due: la Madonnina e il parco. Percorriamola un poco e allora torniamo al 1920, a quel forte terremoto che sconquassò tutta la Valle. Anche a Barga fece gravissimi danni e tra questi il diroccamento della casa dei Ciarpi, che i pompieri di Bologna accorsi in aiuto alla popolazione resero sicura da imminenti crolli ma poi fu definitivamente abbattuta.

 

Lì, su di un muro, c’era la Madonnina che per la sua bellezza e la fede in essa non poteva essere anch’essa distrutta con la casa e, allora con un sistema tutto particolare, dalla ditta edile barghigiana di Vittorio Pellicci, fu “scollata e rincollata” su quel muro alla Fornacetta. La casa dei Ciarpi, come detto, non fu più rifatta, anzi, fu del tutto rasa al suolo e siccome chi aveva avuto in Barga Vecchia un’abitazione distrutta dal terremoto, fu concessa la facoltà di poter trasferire il bene con ogni diritto di edificazione in altri luoghi fuori dal Castello. Ecco allora che il Dottor Ciarpi che abitava ed esercitava la sua condotta medica a Livorno, portò quei suoi diritti sulla casa distrutta, in un luogo in cima al viale Cesare Biondi, in Canteo, e l’anno 1933, si fece costruire quel bel villino, l’ultimo a destra salendo, che ancora mostra il suo particolare fascino. In Barga Vecchia il terreno rimase lì come morto, cioè, non potendo essere neppure venduto o usabile per altre costruzioni, nel dopo guerra 1940-45 al Dottor Ciarpi venne l’idea di farne dono all’Arciconfraternita di Misericordia.

Dette queste cose, ora, alzando gli occhi al monte ecco che lassù in alto, al sommo della salita della Fornacetta vediamo apparire tra il palazzo Baldi e altre case la chiesa dell’Assunta con la sua bella cupola ottagonale. La storia vuole che quella chiesa in antico, tempo a noi ignoto, perché posta alla confluenza di due vie montanine, una per Tiglio e l’altra per l’Alpe di Barga, è popolare credenza che qui ci fosse allocato una sorta di piccolo ospitale che poi fu trasformato con il tempo in un oratorio e poi nella chiesa che all’epoca delle Riforme Leopoldine che investirono la religione del Granducato di Toscana, fu soppressa con la sua omonima compagnia. Tale soppressione poi fu risolta, dopo un periodo di privatizzazione, con il ritorno ufficiale del culto l’anno 1797 nel giorno 15 agosto, festa dell’Assunta, che da allora e ogni anno richiama il barghigiano a ferragosto.

Il primo fu il prof. Giuseppe Bonaccorsi (Barga 1780 – 1858), di cui ora non ne parlerò, però invitando i lettori a ricercarne la sua storia qui sul sito. L’altra è quella del prof. don Renzo Lucchesi (Barga 1936-1998), che alla morte fece un lascito alla parrocchia che ha consentito un altro restauro. (29)

Lasciamo questa visione che al cuore fa molto bene e lo distende, per volgere indietro il passo e così fare una capatina all’antica casa, meglio il bel palazzo, che nell’Ottocento fu dell’intagliatore falegname Tommaso Guidi, oggi ospita l’attività affittacamere “Casa Fontana”. Il palazzo dista da noi circa cinquanta metri ed è importante per la storia di Barga perché qui vi nacque l’anno 1862 la Fratellanza Artigiana di Barga. Cosa racchiude in sé questo nome cui diamo questa storica importanza?

Ci eravamo lasciati con il precedente articolo con l’idea di parlare della Fratellanza Artigiana cui abbiamo appena accennato ma lo faremo sicuramente con il prossimo e settimo articolo.

 

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26) Repetti Emanuele: Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana. Volume Quinto. Firenze, 1845.
27) Su questo Sito. Pier Giuliano Cecchi: Le Terracotte robbiane di Barga. 25 febbraio 2009. Precisamente nella parte dell’articolo intitolato: Sulla presunta presenza a Barga di fornaci robbiane. 
28) Per altre notizie su Elsa Togneri vedi: Moscardini Sara, Memoria di Donna. Pagg. 80-85: Irrequitezza. Elsa “Chola” Togneri (1906 – 1933). Lettere da casa. Cento Lumi.
29) Su questo sito in Storia: Pier Giuliano Cecchi – L’enigma storico dell’organo della Fornacetta di Giuseppe Bonaccorsi (prima parte) – 27 novembre 2014. (seconda e ultima parte) – 1° dicembre 2014.
Pier Giuliano Cecchi – Giuseppe Bonaccorsi e l’organo della Fornacetta. Giornale di Barga, N ° 816, settembre 2018.

 

 

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