I racconti di Mario Camaiani. La matrigna

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Il bimbo cadde dalla sedia, con grande fracasso. Dalla cucina arrivò di corsa una donna che lo rialzò, rimproverandolo:

“Si può sapere che fai? Vuoi spaccare tutto? Ti sei fatto male?”.

“Niente, sto bene – rispose il bambino piagnucolando -, volevo aprire la vetrina della libreria per dare un bacio al ritratto della mamma prima di andare a letto, ma sono scivolato…”.

“Il ritratto – esclamò seccata la donna -; ma non ne hai uno sul comodino in camera tua? Anche se è più piccolo rappresenta pur sempre lei! Bacia quello!”.

In quell’istante entrò nel salotto un uomo sui quarant’anni, alto e ben portante.

“Che succede?”, chiese, rendendosi subito conto dell’accaduto.

“Vieni, Franco, da tuo padre – e prese il bimbo in braccio carezzandolo  -; il ritratto a colori di mamma verrà rimesso sul tavolo e così potrai baciarlo senza pericolo di cadere. Ed ora vai a letto, ma prima dà un bacio a mamma Olga”.

Il bimbo baciò la donna, senza particolare effusione, e si ritirò nella sua cameretta.

“Olga – disse l’uomo -, bisogna che tu capisca il bambino eppure, prima di sposarmi, mi avevi promesso tante cose al riguardo”.

“Già – rispose risentita la donna -, così io, per qualsiasi cosa che gli rimprovero, sono la cattiva; mentre tu gliele dai tutte vinte! Inoltre, in questo caso, quel quadro così grande sciupa l’estetica del salotto. Ma si farà come vuoi tu: non voglio essere la matrigna perfida!”.

“Non voglio importi niente con la forza – riprese l’uomo, con tono più dolce -: se proprio credi così, lasciamolo pure nella libreria; solo è che ci vuole più comprensione fra noi. Il nostro è un compito duro, ma non dobbiamo far naufragare tutto di fronte alle inevitabili difficoltà che si presentano e,  con la forza dell’amore, con giudizio e con reciproca sincerità, vinceremo sempre!”.

Ed i due coniugi si strinsero teneramente fra loro.

Franco, ora di sette anni, era l’unico figlio di Cesira e Vincenzo Barbini. La loro era un famiglia veramente felice ma, quando il bambino aveva appena quattro anni, durante un bombardamento aereo, la morte era giunta improvvisa nella loro casa portandosi via, fra lo strazio del marito e del figlio,  l’amata Cesira.

Da quel momento Franco era divenuto più taciturno, più buono e venerava addirittura, pur così piccolo, la memoria della cara mamma. Vincenzo, guardiano notturno presso un grande stabilimento nella Valle del Serchio, ricorreva ai suoi genitori e suoceri, tutti in là con gli anni e con vari acciacchi, o a qualche parente, per la compagnia notturna del fanciullo, ma era difficile andare avanti in questo modo. Aveva anche pensato di mettere il figlio in un collegio, ma capiva che in questo caso il bambino, estremamente sensibile, avrebbe sofferto maggiormente. Vincenzo avrebbe voluto rimanere attaccato completamente alla memoria della sua amata Cesira; ma infine, riflettendo su tutte queste cose, decise di riprendere moglie. Ed in Olga, una ragazza di oltre trent’anni, ormai zitella, ravvisò che sarebbe stata una buona seconda madre di suo figlio: la conosceva da parecchi anni e sapeva che era una donna seria e buona.

Olga accettò e, nel breve fidanzamento, si conobbero a fondo e trattarono il problema del bambino, che non voleva saperne di avere un’altra mamma., Ma, poco dopo il matrimonio, cominciarono a sorgere le prime difficoltà ché, fra l’altro, Franco non voleva chiamare Olga con il dolce nome di mamma. La quale Olga fin troppo bene aveva capito come Vincenzo l’avesse sposata quasi solo per necessità, ma che amasse soprattutto la prima moglie ed allora era diventata, se così si può dire, gelosa della povera Cesira. Lei si sapeva una donna a posto che aveva diritto ad avere una parte, nel cuore del marito, almeno pari a quella della di lui prima moglie. E davvero Olga amava il marito e quindi, pur rispettando la memoria di Cesira, cercava di prendere il suo giusto posto nella sua famiglia. Da qui che il grande ritratto che troneggiava sul tavolo di salotto, era finito nella vetrina della libreria.

Due anni erano trascorsi da quel giorno e la famiglia Barbini era stata allietata dalla nascita di un altro bimbo: Adolfo. I rapporti tra Franco e la matrigna erano sempre freddi e, dopo la nascita di Adolfo, Franco si sentiva più trascurato. Ricorreva spesso ai suoi cari nonni e dal suo babbo, per sentirsi circondato di affetto. Questo situazione rattristava profondamente Vincenzo che, nonostante la sua buona volontà, non riusciva a migliorarla.

Quella sera, prima di recarsi al suo lavoro notturno, Vincenzo si avvicinò alla culla del piccolo, gli misurò la temperatura e:

“La febbre gli è calata – disse, rivolgendosi alla moglie -, quindi al momento non occorre chiamare il medico”, e salutando andò via con la sua motocicletta.

Nella notte, però la febbre ritornò violenta al piccino, che non respirava quasi più, mentre un uragano, con pioggia torrenziale, colpiva la zona.  Olga, disperata, non sapeva più che fare: la loro era una casa piuttosto isolata, alla periferia della cittadina: andare a chiamare il dottore, che abitava al circa quattrocento metri da loro?  Sì, forse era la cosa migliore da fare, ma lasciare Adolfo quasi solo per parecchi minuti? Se fosse stato più grande Franco…e la donna guardò implorante il ragazzo che, attaccato alla culla del piccolo, intuì la grave situazione e si propose:

“Vado io a chiamare il dottore!”.

“Tu? – disse Olga – Ma come farai a camminare per mezzo chilometro al buio, sotto il diluvio? Ti accadrebbe qualcosa di male: tu resta qui e tieni alzato il capo del piccino, che possa respirare meglio. Vado io!”.

Ma Franco si era già messo l’impermeabile e corse  fuori. Olga pregava, mentre il ragazzo, vincendo l’istintiva paura del temporale e di trovarsi solo di notte, riuscì a raggiungere l’abitazione del dottore, una villetta; e questi telefonò allo stabilimento, avvisando il padre del bimbo  che tornasse subito a casa e, insieme a Franco, con la sua macchina si diresse verso la casa del piccolo ammalato.

“E’ una broncopolmonite, sentenziò il medico, dopo aver visitato il piccino. Bisogna iniziare subito una forte cura. E consegnò a Olga la ricetta. In quel momento giunse Vincenzo, il quale corse subito alla farmacia, svegliando il farmacista. La notte trascorreva così, insonne per tutti; e Olga, affacciatasi alla camera di Franco vide che esso, in ginocchio, pregava dinanzi all’immagine della Madonna e a quella di sua madre.

La donna trattenne le lacrime e gli disse:  “Credevo che tu fossi a letto. Perché preghi?”.

“Prego –  le rispose il bimbo – la madonnina e la mamma, ché facciano guarire Adolfo: sai, è già tanto che sono qui  – e il suo viso s’illuminò – , e sento che sono stato esaudito”.

Olga, commossa, accarezzò Franco, mormorando: “Figlio caro!”.

Ed egli l’abbracciò e la chiamò: “Mamma!”.

Il bimbo guarì, ma quella non fu la sola guarigione in casa Barbini: adesso l’armonia e la felicità erano finalmente dominanti in quella famiglia: Olga e Franco si volevano bene come madre e figlio!

Un giorno Olga andò a parlare con la maestra di Franco, che frequentava la quarta elementare, per informarsi riguardo agli studi del ragazzo.

“Ah, lei è la seconda madre di Franco – le disse la maestra -, sono felice di conoscerla, anche perché lei smentisce la brutta fama che in genere hanno le matrigne: senta cosa scrive il ragazzo di lei”, e la maestra tolse un foglio dal cassetto e lo porse a Olga.

Era un compito fatto in classe da Franco ed era il tema: “Parlate della vostra famiglia”.  La donna lo lesse e c’era un punto che la riguardava. Diceva: “La mia cara mamma, che dal Cielo dove si trova mi segue da vicino, non ha voluto che restassi completamente senza di lei e mi ha fatto avere un’altra mamma; ed essa è buona e cara come quella vera”.

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