Un appello dall’inferno afgano

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“Il Giornale di Barga fu il frutto della voglia di Vita Nuova”. Così presentiamo il nostro “Giornale” sul nostro sito internet. Voglia di Vita Nuova che spesso fa rima con emigrazione ed é con questo spirito, con questa voglia di ricominciare e di poter dare un aiuto a chi sta peggio di noi che incontriamo Alì  (nome di fantasia).

Ali ha lasciato la sua terra natia, l’Afghanistan, già da alcuni anni ed attualmente vive e lavora con la sua famiglia in un Paese europeo, dove lo incontriamo per farci raccontare la sua storia.

“Per favore” – esordisce – “non pubblicate il mio nome, dove vivo e neppure che lavoro faccio, i talebani fanno ricerche su internet e Facebook ed io ho ancora parte della mia famiglia (i fratelli ed i genitori ndr) a Kabul”.

La sua è una testimonianza cruda, dura e le storie che ci racconta fanno male ma sono la triste realtà di un Paese che da decenni vive una guerra senza fine, un Paese che da decenni è preso in ostaggio da interessi contrapposti. Si é parlato molto in queste ultime settimane della storia dell’Afghanistan, dell’invasione russa e della scelta da parte degli americani di armare i talebani per contrastarne l’occupazione ai tempi della guerra fredda.

Alì nasce nel 1987, un paio di anni prima del definitivo ritiro dei russi dal Paese avvenuto il 15 febbraio 1989.

“Da quando sono nato ho sempre e solo conosciuto la guerra. Sin da piccolo ho visto il mio Paese distrutto, uccisioni, pestaggi, torniture, tutto ciò’ che di più orribile tu possa immaginare ed anche oltre – ci dice – non riesco a capire perché non ci lasciano vivere in pace. Abbiamo molte ricchezze naturali ed adesso sono i talebani ad avere il controllo. Si parla di un valore di 3 trilioni di dollari, tra oro, petrolio, uranio, bauxite, carbone, ferro, gas naturale, cromo, piombo, zinco, pietre preziose, talco, zolfo, travertino, gesso e marmo. Ed il Litio. Moltissimo Litio, quasi quanto la Bolivia” (il Paese con le maggiori riserve al mondo ndr).

Il suo racconto continua:

“Vogliono prendersi le nostre ricchezze? Che lo facciano, ma che ci permettano di vivere normalmente, chiediamo solo di avere una vita normale. Una volta il mio Paese non era così’, era bellissimo e frequentato da turisti ma negli ultimi decenni ci hanno costantemente distrutti ed utilizzati”

Alì si trovava a Kabul fino a tre giorni prima dell’arrivo dei talebani:

“sono stato costretto a scappare in tutta fretta, loro avevano già molti uomini in città e da giorni sapevamo che sarebbero arrivati, erano già tutti d’accordo. Io, come anche i miei fratelli, ho lavorato per gli americani ed adesso ci verranno a cercare per ucciderci”.

E mentre ripensa alla fuga ed alla sua famiglia ancora a Kabul, la commozione prende il sopravvento:

“Non dormo da due settimane, i miei fratelli ogni sera stanno in un posto diverso. I talebani sono venuti già due volte a casa nostra, non possono più vivere là, è troppo pericoloso. In questi ultimi giorni la situazione si è un po’ calmata perché stanno combattendo nel Panjshir ma la resistenza è ormai allo stremo ed i talebani hanno conquistato praticamente tutto il Paese. Torneranno a cercarli. Hanno già ucciso alcuni amici ed un mio cugino. È così che fanno: chiedono ai vicini chi nella zona abbia lavorato per gli americani, poi vanno a prenderli e li uccidono a sangue freddo”.

Alì, con le lacrime agli occhi ci chiede disperatamente un aiuto.

“Gli americani ci hanno abbandonati, avevano promesso di far uscire dal Paese tutti coloro i quali avevano lavorato per loro ma sono scappati senza rispettare gli accordi. So che gli italiani stanno facendo moltissimo per aiutare la mia gente, stanno aprendo dei corridoi umanitari, conoscete qualcuno che possa aiutare la mia famiglia a fuggire? Tutti i confini sono chiusi. Sono in trappola e non c’è altra soluzione. È solo questione di tempo e prima o poi li troveranno”.

Ed è con questa frase che ci concediamo da Alì, con una disperata richiesta di aiuto che speriamo qualcuno possa raccogliere. Chi fosse in grado di poter aiutare questa famiglia afgana a lasciare il Paese può prendere contatto anche con noi. Lo sappiamo: è una richiesta quasi impossibile ma di fronte a certe tragedie non si può lasciare niente di intentato.

 

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