Le vaccinazioni in Europa. La testimonianza: “Il primo giorno di lavoro al centro di vaccinazioni di Ronquières, Belgio”

-

BELGIO – Se il marzo 2020 è stato l’anno della paura, con le drammatiche immagini di Bergamo delle bare trasportate dall’esercito, l’anno dei lockdown, l’anno in cui tutto il mondo ha scoperto quanto fragile sia la società che ci siamo costruiti, il 2021 deve essere l’anno della speranza. Più volte si è paragonato questa emergenza ad una guerra e dopo mesi e mesi passati in trincea è venuta l’ora del contrattacco: con l’inizio della campagna vaccinale abbiamo avuto il nostro D-day ed ora dobbiamo proseguire spediti e senza esitazioni per “arrivare a Berlino” il prima possibile, sconfiggere questo maledetto virus e riprenderci nostri affetti, i nostri contatti, le nostre attività, i nostri posti di lavoro, le nostre vite.

Dobbiamo ringraziare la Scienza e tutte quelle persone che, lontane dalla ribalta dei salotti televisivi, senza tante chiacchiere e con grande applicazione hanno lavorato in silenzio per permetterci di poter guardare al futuro con una ritrovata speranza. A tempo record è arrivato il vaccino, anzi: i vaccini. Pfizer, Moderna, Astrazeneca, per iniziare, ma altri ne sono in arrivo, altre cartucce da mettere nei nostri fucili. La parola l’ordine in ogni Paese è una sola: vaccinare. E va fatto in fretta, dicono gli esperti, prima che il virus trovi il modo di mutare ancora e renderli inefficaci. La sfida è ambiziosa ed importante e servirà la collaborazione di ognuno di noi, con gesti più o meno grandi, per arrivare all’unico risultato possibile. La vittoria.

Il 10 marzo 2021, complice anche la profonda crisi che attanaglia il settore del mio lavoro, ho deciso di rispondere “presente” ed accettare una proposta di lavoro per il centro di vaccinazione di Ronquières in Wallonie, gestito dalla Croce Rossa del Belgio. Il 15 marzo, ore 7, prendo servizio e non appena arrivato percepisco in prima persona che il paragone con la guerra non è affatto sbagliato. Ero abituato alle magnificenze che, in momenti di reale difficoltà, siamo capaci di fare in Italia ma devo ammettere che anche in Belgio non scherzano ed a tempo record è stato attrezzato un campo con tende e container capace di vaccinare già alla prima settimana tra le 1500 e le 1800 persone ogni giorno con l’obiettivo ambizioso, una volta a regime, di arrivare a 6-7000.

 

Quello di Ronquières fa parte di uno dei nove “centri maggiori” organizzati dal Governo Regionale della Wallonie, con dieci linee di vaccinazione a regime, a cui ne vanno aggiunti altri 30 sparsi in maniera più capillare sul territorio, cosiddetti “di prossimità”, con due linee di vaccinazione. Il meccanismo con cui si procede alla vaccinazione è abbastanza semplice: l’Aviq, che potremmo paragonare alla nostra Asl, spedisce tramite la posta una convocazione contenente un codice da inserire sul proprio sito internet (www.jemevaccine.be) tramite il quale sarà possibile prendere un appuntamento nel centro più vicino. Mentre si forma una fila ordinata di persone che sfidano la pioggia ed il vento freddo, arriva la notizia: “il Governo della Wallonie ha deciso che il nostro centro sarà riferimento per la polizia: a partire da mezzogiorno, ed entro venerdì, dovremo aver vaccinato tutto il personale”. Resto colpito, lo ammetto. Non per la notizia in sé, ma per la reazione generale: nessuno che sbuffa o si lamenta. Il lavoro che ci attende è mostruoso ma, immediatamente, si cercano altri pc portatili, si installano altre antenne per ampliare il wi-fi e si creano nuove postazioni di fortuna, con collegamenti elettrici non proprio da manuale, da dedicare alla registrazione dei poliziotti che da lì a poche ore inizieranno ad arrivare. Penso all’Italia ed ai luoghi comuni secondo i quali “all’estero funziona tutto meglio”. In realtà “tutto il mondo è paese” ed anche in Belgio la burocrazia ti distrugge. Se vuoi far andare bene le cose, spesso, devi rivolgerti o ai militari o a chi è abituato a gestire le emergenze ed in questo l’Italia non ha da imparare da nessuno. Bisogna lavorare presto e bene perché c’è una guerra da vincere, e va fatto in fretta.

Ed è così che, in un clima surreale, con la pioggia ed il vento, mentre un viavai di persone sono intente a continuare i lavori, o a dare un supporto a chi viene a farsi vaccinare, arriva la notizia: Germania, Italia, Spagna e Francia hanno sospeso la somministrazione di Astrazeneca. Chi tra i presenti, in coda per il proprio vaccino riceve la notizia tramite la notifica push sul proprio telefonino resta spiazzato. Ed informa gli altri. Qualcuno rinuncia, qualcuno chiede un ulteriore consulto al medico di guardia che li rassicura: “il rischio più grande che potete correre è di prendervi il virus, non quello di farvi vaccinare“. Per fortuna l’incertezza dura non più di mezz’ora poiché il Ministro Federale della Salute Frank Vandenbroucke, rilascia un comunicato nel quale si ribadisce che non esistono, al momento, fondati motivi per sospendere la somministrazione di Astrazeneca e che una tale provvedimento sarebbe un colpo fatale alla campagna di vaccinazione appena lanciata. Si aspetterà la decisione dell’Ema prevista per giovedì 18 marzo. Fino ad allora si continua spediti: c’è una guerra da vincere.

Siamo ormai al tardo pomeriggio, il mio turno è quasi finito e vengo chiamato dal medico di turno: a seguito di alcune rinunce sono disponibili delle dosi di Astrazeneca da utilizzare assolutamente entro la serata. Non ci penso due volte e in pochi minuti ricevo la mia bella dose di virus indebolito di scimpanzé che mi provocherà una notte quasi insonne con febbre a 38.5, dolori ovunque e brividi di freddo neppure fossi al polo nord.

Questa è la cronaca della mia prima giornata di lavoro “al fronte” nella guerra contro il Covid. Se ne sono susseguite, e se ne susseguiranno, altre, fatte di persone in fila, di ore ed ore al pc, e di frasi ripetute sempre uguali. Nel frattempo il virus prova a sua volta un contrattacco con oltre 5000 nuovi casi al giorno, oltre 2800 persone in ospedale di cui 650 in terapia intensiva ed una media di oltre 200 ricoveri ospedalieri ogni giorno, valori che quassù non si vedevano da fine ottobre ed una tendenza, purtroppo, al peggioramento ed un nuovo lockdown previsto in concomitanza delle vacanze di Pasqua.

La guerra è ancora lunga e durerà ancora diversi mesi, altri, purtroppo, moriranno ma ognuno di noi può contribuire con gesti più o meno grandi alla vittoria finale. Indossiamo la mascherina, laviamoci le mani, rispettiamo le distanze, ma soprattutto: vacciniamoci! La coda di persone fuori dal centro vaccinale in cerca di una delle dosi che, alcune volte, restano disponibili a fine giornata, fa ben sperare ed è sempre una grande tristezza dover scegliere a chi attribuire il vaccino (solitamente si fa su base anagrafica od a seguito di certificazione medica) e rimandare gli altri a casa. Adesso spetta ai Governi dei vari Paesi garantire ad ogni cittadino una dose di vaccino: il prima possibile e senza indugi. C’è una guerra da vincere.

D.S.

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.