“Anything anywhere more beautiful”. Barga nei ricordi di Joseph Pennell

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Lo scritto con cui l’autrice inglese Vernon Lee riportava le sue impressioni su una visita a Barga nel settembre 1882 (vedi articolo precedente) consegnava un’immagine assai negativa e grezza della cittadina. Tutta un’altra impressione ebbe invece l’artista americano Joseph Pennell che vi si recò pochi mesi dopo proprio per disegnare alcune illustrazioni che sarebbero andate a corredo dell’articolo della Lee.
Il ricordo della propria visita a Barga Pennell lo tratteggiò in maniera vivida molti anni dopo, quando nel 1925 – un anno prima di morire – pubblicò la sua autobiografia dal titolo “The adventures of an illustrator”. Uno dei capitoli del volume è dedicato proprio al viaggio nella Valle del Serchio avvenuto nel maggio 1883, in occasione della festa del Corpus Domini. Il ricordo che Pennell ne ha più di quarant’anni dopo è molto vivido e intriso di nostalgia e umanità, al contrario della raffigurazione cruda e di fosco romanticismo fatta dalla Lee.
Proponiamo qui la traduzione del succitato testo di Pennell dedicato a Barga (1) [1].

Più tardi in primavera feci un secondo breve viaggio, questa volta da solo, e per illustrare un altro articolo scritto da Vernon Lee. Affittai una carrozza (non riuscii a trovare bicicletta) e dopo una deviazione per vedere il Ponte del Diavolo, arrivai la sera a Bagni (di Lucca) e mi fermai in un piccolo albergo sul fiume. Fuori gli usignoli cantavano e, al loro silenzio, il fiume continuò a mormorare fino alla mattina.

All’alba, mi avviai a piedi verso Barga. Era il Corpus Domini, anche se io non lo sapevo: l’articolo di Vernon Lee non aveva niente a che vedere con quella festa. Dopo chilometri e chilometri percorsi in bici e in auto, la strada saliva attraverso le scure ombre dei castagneti, per aprirsi poi sulla campagna aperta. Stanco di vagabondare, salii alla prima città di collina che vidi dal basso, bellissima col suo campanile (2). Nelle sue strette stradine tutto era triste, tutto era povertà e squallore, sebbene non fosse quello sporco che l’italiano produce quando arriva in America (ma in America diventa un diverso tipo di italiano, e non viene più da Barga). Era un posto piuttosto grande e, dato che era festa, tutti si trovavano in giro. Non c’erano alberghi, solo case con cespugli sopra la porta. Non c’era vino, niente Chianti, anche se questa sembrava quasi la sua campagna. Niente carne, anche se c’erano molte capre; nessun uovo, anche se c’era pieno di galline; niente se non pane scuro e raffermo, vecchio formaggio e vino aspro. Ma dopo una camminata di cinque miglia all’alba e a stomaco vuoto, ogni cosa è buona. Cosa mangiano queste persone? Riescono a imparare, come qualcuno mi ha detto, a vivere senza mangiare? Così dovremmo vivere anche noi, perché costa molto mangiare, e coi nostri divieti non possiamo mangiare decentemente (3). La maggior parte dei nuovi americani non ha mai mangiato né fatto niente decentemente. Questa gente di collina era truce e silenziosa. La locanda mi ricordava un pub inglese di campagna, il più povero del mondo (almeno fino a quando l’America si è ridotta a vivere di solo cereali, cibi freddi e conservati, chewingum e caramelle: i nuovi cibi americani – il nuovo mondo americano). Me ne andai non appena possibile. La gente era onestamente povera: mi fecero pagare ogni cosa il minimo, e mi offrirono le castagne dell’ultimo anno. Mi mostrarono una strada che tagliava le colline e si ricongiungeva con la via principale per Barga; e qualcuno mi seguì finché riuscii a vedere la strada brillare nella luce. Notai che ogni conversazione verteva sull’America e sul fatto che ci volevano andare; ma mentre noi abbiamo il proibizionismo, ho sentito che gli italiani hanno tutto il vino che vogliono in questo secco deserto.

Una volta sulla strada principale, la trovai piena di una folla gaia e colorata; e alla fine ci incamminammo verso la parte alta di Barga, affollata di persone. La messa era cominciata nel Duomo, in cima ad una lunga gradinata, e in breve una processione uscì dalla chiesa al suonar delle campane e della musica della banda. Prima c’erano le bambine che portavano larghe ceste di rose e camminando ne spargevano e riempivano le strade; altre rose venivano gettate dai balconi affollati e dalle finestre adornate di arazzi. Poi arrivarono le autorità cittadine: il sindaco, magnifico con la fascia e il cappello, poi i preti, gli accoliti, e infine il Vescovo che portava l’Ostia sotto l’ombrellino; in fondo tutte le confraternite dei dintorni si muovevano sul letto di rose. Passando, il sindaco mi fissò; pensai di aver sbagliato qualcosa, anche se mi ero inginocchiato come tutti quando il Santissimo era passato. Mentre la processione si snodava intorno alla città, aspettavo sulla grande terrazza disseminata di rose, nell’aria splendida. Mentre mi riposavo, i più piccoli rintocchi si innalzavano dalla torre campanaria; diradandosi, uno dopo l’altro, l’impetuoso tintinnio veniva echeggiato in tutta la valle e nelle colline circostanti coronate di chiese, chiesa dopo chiesa, morendo lentamente sulla lunga distanza, per poi tornare sempre più vicino, finché le sole campane del Duomo ripresero a suonare. Presto la processione fece ritorno, poiché la strada era breve; la messa terminò. Improvvisamente mi comparve accanto il sindaco (4). “You ‘Merican, you?” “Yes” “You know Five Pointa, New Yorka?” “Yes” “Yes?— Me I sell him Cristoforo Colombo; me – rich man me. Come dinner, you?”. Ci andai. Tra fichi e vitigni, in quella perfetta giornata, di fianco alla chiesa, ammiravamo quelle vigne, acquistate grazie a Cristoforo Colombo, affollate dal Consiglio Comunale cittadino, dai dignitari ecclesiastici, e altri distinti ospiti (Cristoforo Colombo, eroe e causa di tutto ciò, non era presente). Tutti, ad eccezione dei preti – e comunque anche alcuni di loro – conoscevano New York, Boston, New Orleans e San Francisco meglio di me: avevano attraversato le nostre terre con le loro ceste di figurine di gesso e le avevano vendute; dopo aver guadagnato abbastanza, avevano fatto ritorno comprando una piccola fattoria o vigneto dove vivere felici per sempre. Così seppi che tutti i venditori di figurine venivano da Barga. All’inizio non si fidavano molto di me, poiché la mia conoscenza dei quartieri italiani nelle grandi città d’America ed Europa era molto vaga, ma mi fecero un’altra prova: “Merican soldier here – want talk you”. Un profeta dai capelli lunghi e dalla barba bianca sedeva al tavolo e io gli fui solennemente presentato. Il suo italiano non era molto fluente, solo poche parole, ed era sordo; ma pian piano tutto il suo americano venne fuori: “Me – interpretario, was in war” “What war?” “’Merican war” “What American war, the Revolution?” “Yes; me know Winfield Scott, General United States Grant, General Sherman, Santa Anna – me interpretario for General Scott and Santa Anna, Mexico”. Ed ecco, avevo davanti un interprete della Guerra messicana, senza pensione, e che non faceva richiesta per nessuna indennità; ma evidentemente qualcosa ci aveva ricavato, dato che era uno dei magnati della città, ed andava in ancor più alta considerazione via via che il suo americano tornava fuori. Fui in grado, attraverso il sindaco, di assicurare alla compagnia che la sua storia, di cui loro avevano apparentemente dubitato, era vera; ad ogni modo, sapeva più della guerra messicana di quanto io avessi mai sentito. Pranzammo nell’ombroso pergolato.

Questa fu il primo, vero pasto italiano cui partecipai: vermouth e pasticcio e capretto arrosto con piselli e finocchio e dolci di zabaione e sempre Chianti. Ma perché dovrei raccontare questo a una nazione in cui centinaia di milioni di persone non hanno mai avuto un pasto decente nelle proprie vite, e hanno distrutto con i cibi conservati e con il proibizionismo quello che avevano, e non possono sopportare che qualcun altro viva decentemente e che amano il senatore della Georgia che dice “thank Gaud, we don’t eat like Yu-rope-ens”. Il pranzo durò fino ai Vespri e poi ci fu vin santo e cognac e strega e sigari toscani, e restammo seduti fino al buio. L’Angelus cominciò a suonare dal campanile, riecheggiato da una all’altra chiesa giù nella valle, affievolendosi verso le alte colline, finché morì distante in direzione di Volterra, nera sulla lontana montagna; quindi tornò, e un ultimo suono scoppiò dalle campane della torre, chiudendo il giorno. Se esiste qualcosa di più bello al mondo dell’Angelus nel giorno del Corpus Domini a Barga, io non lo conosco – e io di bellezza me ne intendo, e ne ho vista tanta. Quindi ebbi un piccolo pasto alla tranquilla ma logora locanda del posto; al mattino andai a lavorare, o meglio, ci provai, dato che non era facile scappare dai patroni di Cristoforo Colombo. A dir la verità tutte le loro storie erano molti simili: apparentemente non avevano vissuto grandi avventure, tutti avevano prosperato, ed eccoli qui, e avevano avuto dei piccoli Cristofori e – ecco quanto! Era tutto così genuino ed erano così felici lassù del loro successo, ma io dovevo lavorare – quando potevo. Fortunatamente uno di quei giorni ci fu una festa o un mercato altrove, e al momento in cui facevano ritorno, io avevo finito e mi incamminavo verso Bagni di Lucca.

Queste persone credevano di aver reso il proprio mondo sicuro per sé stesse, mentre adesso c’è chi viene ucciso e chi rovinato dai predoni di terra e di mare, D’Annunzio e i suoi eroi, che hanno trascinato l’Italia in guerra. L’Italia è finita, uccisa da quei folli che hanno voluto la guerra. Molti di quelli che conobbi a Barga, grazie a Dio, morirono prima, e così riuscirono a evitare la rovina del mondo, il relitto che ha caricato noi rimasti ancora vivi. Neanche Mussolini è in grado di riportarci a quel vecchio mondo.

Il racconto di Pennell si tinge di amarezza e nostalgia: il mondo antico e puro che aveva visitato nel secolo precedente sembra esser stato spazzato via dalla follia di quegli uomini che hanno voluto la Grande Guerra. L’epoca passata gli appare come un momento d’oro di pace e stabilità che neanche Mussolini, in quei primi anni di regime simbolo del ripristino dell’ordine e della rinascita, sarebbe stato in grado di portare indietro il tempo. Tante cose ancora sarebbero cambiate e tante tragedie dovevano venire, ma Pennell, morto nel 1926, conservò sempre nel cuore la nostra città.

(1) Una precisazione in merito alle illustrazioni di Barga eseguite da Pennell. I disegni prodotti nel maggio 1883 a corredo dell’articolo della Lee, li abbiamo proposti nel precedente articolo. Pennell però si recò una seconda volta a Barga nella primavera del 1902, mentre lavorava alle illustrazioni di un libro di viaggi dell’inglese Maurice Hewlett dal titolo “The road in Tuscany. A Commentary” (Hewlett definì Barga con scarse parole: “su quella cresta si innalza Barga, una severa, piccola, chiusa città di grigio e porpora”). Durante questa seconda visita Pennell eseguì quattro disegni a carboncino della cittadina (disegni che nel 1906 donò al Gabinetto Stampe e Disegni della Galleria degli Uffizi, dove ancora sono conservati). Le illlustrazioni qui riportate propongono il centro storico visto da dietro (dalla strada che conduce a Tiglio e dalla Fornacetta), Porta Macchiaia e nelle sue vicinanze la Casa Menchi.
(2) Si tratta probabilmente di Ghivizzano.
(3) Nella memoria Pennell fa continui riferimenti polemici al proibizionismo, entrato in vigore negli Stati Uniti nel 1920, e all’alimentazione basata sui cibi conservati.
(4) Dovrebbe trattarsi di Giovanni Verzani (cfr. Lista dei sindaci barghigiani comparsa sul Giornale di Barga, giugno 1971).

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