Fornaci nella Grande Guerra

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(Settembre 1918: la Regina Elena con il principe Umberto, in visita alla “Metallurgica”) –

Il 24 maggio 2015 a Barga si celebra, come in tutta Italia, il centenario dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra mondiale; diverse le celebrazioni in program,ma per i giorni 23 e 24 maggio, promosse dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Gruppo Alpini di Barga e con l’Istituto Storico Lucchese sez. Barga.

Per questa ricorrenza, per la quale il Governo ha chiesto per domani alle 15 un minuto di silenzio a tutta Italia, abbiamo ripescato dagli archivi del Giornale di Barga un interessante articolo che fu scritto dal prof. Umberto Sereni ai tempi in cui era alla guida di questo foglio mensile.

Parla di Fornaci, parla della Metallurgica, parla del contributo che da questo nostro paese fu fornito allo sforzo bellico italiano. Ed è un modo, adesso, non solo per ricordare anche noi i 100 anni dalla Grande Guerra, ma anche i cento anni dall’insediamento a Fornaci della Società metallurgica della famiglia Orlando, del quale, proprio stamani, sono state annunciate per la prossima estate celebrazioni ed eventi da parte di Comune e Istituto Storico Lucchese.

(Da Il Giornale di Barga, supplemento al numero 467 del 25 dicembre 1988)

La Grande Guerra. Un «evento» che cambiò radicalmente il corso della storia di popoli e nazioni. Cosi come modificò i destini e la vita dei singoli individui.

Gli anni del conflitto mondiale, 1914- 1918, infatti rappresentano una sorta di spartiacque profondo che separa, per quanto è possibile, due epoche in maniera netta. E irreversibile. C’è infatti il mondo di «prima del ’14» e c’è il mondo del «dopo il ’18»: la «Vecchia Europa» in quei quattro anni perse, per sempre, la sua posizione di dominio planetario; cataclismi sociali scossero imperi secolari che crollarono fragorosamente; nuove nazioni si formarono; nuovi principi sociali e politici si affermarono. Il tempo che viviamo, il mondo nostro, iniziano con la «Grande Guerra».

Altrettanto estesi ed intensi furono gli effetti che quegli anni «di ferro e di fuoco» impressero sulla mentalità, sul costume, sulla vita di una moltitudine immensa di uomini e di donne. Sia che fossero direttamente coinvolti nel conflitto sia che lo vivessero per riflesso. La guerra non risparmiò nessuno: dal soldato combattente al fronte alla donna rimasta nel più sperduto villaggio. Si ruppero, ed in molti casi per sempre, legami e vincoli; abitudini ataviche svanirono; il sistema delle certezze, su cui poggiava la società, si dissolse per lasciare il posto a inquietudini ed ansie che non si sarebbero mai placate del tutto. Milioni di individui furono costretti a sperimentare esperienze che prima di allora neppure avevano immaginato. A cominciare da quella più traumatica e sconvolgente: la familiarità con la morte. «Una grande carneficina» così viene ricordata oggi quella guerra che ricoprì di morti il continente europeo. Chi ha partecipato al conflitto, chi effettivamente «fece» la guerra non ha mai potuto dimenticare quei giorni. Il tempo non ha potuto cancellare il ricordo delle sensazioni provate, delle emozioni vissute. Ancora oggi, ascoltando le rievocazioni dei «cavalieri di Vittorio Veneto» ci si rende immediatamente conto che qualcosa di ancora vivo vibra in loro. E hanno la coscienza che quella guerra ha influito su tutti i passaggi delle loro successive vicende. E «sentono» di aver partecipato ad un «evento» che ha segnato la storia del mondo. Avvertono di essere stati, in qualche modo, protagonisti della Storia. Queste sensazioni colgono nel giusto. Sono consapevolezze fondate e motivate.

Torniamo al “prima” e al “dopo2. E fissiamo lo sguardo in casa nostra. Anche qui troviamo la conferma della enorme spaccatura rappresentata dagli anni della guerra.

Nella valle del Serchio è Fornaci che riassume ed esprime come meglio non si potrebbe il senso di quella dimensione di spartiacque rappresentato dalla “Grande Guerra”. Fornaci nel 1918 è una realtà assolutamente diversa dal paese del 1914.

La Fornaci di “prima della guerra” è un modesto borgo, stretto intorno alla chiesa lungo la via che conduce a Barga. E’ paese di contadini, fornaciai, con qualche artigiano ed alcune botteghe.

Il passaggio della strada nazionale – la Livorno-Mantova – e l’arrivo della ferrovia hanno spostato un po’ l’asse del paese e qualche nuova abitatone, di pregevole fattura, frutto dei soldi degli “americani” è sorta nei pressi della “Statale”. Il paese per la sua collocazione a in sé le potenzialità per svilupparsi, ma lo avrebbe fatto con un andamento molto più lento, e forse neppure del tutto sicuro, se non ci fosse stata la guerra. La guerra, infatti, imprime una vorticosa accelerazione. Nel breve volgere di pochi anni Fornaci compie una trasformazione così radicale da diventare una realtà «nuova». Da apparire ed essere effettivamente un’«altra Fornaci». La Fornaci del 1918 è centro industriale di rilevanza nazionale; il suo volto è completamente cambiato: enormi capannoni sono apparsi nei campi vicino al Serchio; alte ciminiere si alzano al cielo; dove prima c’erano prati adesso ci sono case, villette, strade; uffici, botteghe, un albergo. Tutto è avvenuto con una velocità frenetica. Ogni giorno un cambiamento: gente nuova, venuta perlopiù dalle montagne pistoiesi, ma an che da altre località di precedente industrializzazione; e quindi di nuove abitazioni, nuovi locali pubblici, nuove osterie, uffici che prima non c’erano (i carabinieri, la “posta”) e poi ancora case per ospitare altri nuovi arrivati. Per certi versi questa Fornaci che cresce senza posa è la nostra edizione del “Far West”. Uno di quei villaggi che la notizia della scoperta dell’oro cambiava dalla sera alla mattina.

Sono di questa dimensione i cambiamenti di Fornaci. E che i cambiamenti siano avvenuti negli anni di guerra ce lo indica la stessa toponomastica fornacina: il viale consacrato a Cesare Battisti, l’irredentista trentino impiccato dagli austriaci; l’albergo dedicato al nome di una delle città più sanguinanti, quella Gorizia costata decine di migliaia di soldati.

È la guerra che sottrae Fornaci, e quindi l’intera Valle, alla periferia del sistema sociale ed economico nazionale. È la guerra che fa di Fornaci uno dei gangli dell’apparato produttivo; è la guerra che inserisce la Valle nell’area dell’Italia industriale.

È infatti uno dei potentati dell’industria nazionale, la famiglia Orlando, (cantieri navali a Livorno, società idroelettriche in Toscana, stabilimenti per la lavorazione del rame nella collina pistoiese, fabbriche tessili nel pisano) che punta su Fornaci. Personalmente sarà l’ing. Luigi Orlando, un capitano d’industria nel senso più classico, che del lavoro aveva fatto una missione, a guidare l’operazione “fabbrica a Fornaci”. Ed a dirigere, quindi, la trasformazione di Fornaci; il suo passaggio da borgo campagnolo a comunità operaia. È significativo, proprio a conferma dello stretto collegamento tra guerra e nascita della grande fabbrica, che la decisione di impiantare a Fornaci un’azienda per la produzione di materiale bellico si concretizzi tra la fine della primavera e gli inizi dell’estate 1915. L’anno dell’ingresso dell’Italia nel conflitto. Di certo quella scelta era stata lungamente valutata, ma non si è lontani dal vero se si insiste che è proprio la nuova situazione creata con lo scoppio delle ostilità a forzare i tempi di maturazione.

“Forzare i tempi”. Per Fornaci sarà un imperativo categorico. Con tutte le conseguenze, sulla vita della gente, che un obiettivo del genere comportava. “Forzare i tempi” per alzare i capannoni che ospiteranno la fabbrica; “forzare i tempi” per mettere in movimento i reparti; “forzare i tempi” per far funzionare i macchinari; “forzare i tempi” per assicurare una sempre maggiore quota di produzione. Da inviare al fronte: cartucce e bossoli; da fornire ad altri stabilimenti.

La guerra si rivelava una insaziabile vorace di uomini e di mezzi. Tutto il sistema industriale delle nazioni belligeranti era “convertito”: doveva servire ad assicurare sempre maggiori quote di armamenti e di altri materiali necessari per gli eserciti. Era la guerra che “stabiliva” il ritmo di crescita della “Metallurgica” fornacina. Nell’estate del 1915, quando presero a diffondersi le prime notizie sul prossimo sorgere di un nuovo stabilimento, fu detto che avrebbe occupato circa 500 operai. Fecero presto a salire a 1000 e poi a salire ancora fino a sfiorare “quota 3000”, nel momento del massimo sforzo produttivo.

Una massa enorme, in gran parte del tutto priva di esperienze di fabbrica: molte erano donne, molti erano ragazzi di 12 e 13 anni. Provenivano da tutta la Valle. Ogni giorno i treni scaricavano alla stazione di Fornaci una “fiumana” di gente. Dai centri più vicini, Barga e Gallicano, gli operai andavano a lavorare a piedi. Si formavano lunghe processioni che già prima dell’alba erano in movimento per rientrare quando già era imbrunito. Si lavorava in due turni di dieci ore, con una interruzione di un’ora per consumare il pasto. Si lavorava per due settimane di fila Al termine vi erano due giorni di riposo, per centinaia di persone il lavoro in fabbrica significava un totale ribaltamento del sistema di vita: non c’erano più il giorno e la notte; l’idea stessa del tempo cambiava; il carico di fatica era di gran lunga superiore a quelli fino ad allora conosciuti; il contatto con le macchine era un trauma doloroso; un rumore cupo rimbombava di continuo e finiva per penetrare nel sistema uditivo.

Ma c’erano anche esperienze che contribuivano a modificare la mentalità: la “scoperta” di un destino comune; la sensazione di essere in tanti, ed anche una certa fierezza per il proprio lavoro. Sentimento questo che l’ing. Orlando era riuscito a trasmettere ed a diffondere. Così come era riuscito a far penetrare un’altra idea che forniva coesione alla massa operaia: gli sforzi compiuti a Fornaci erano il migliore aiuto che poteva andare ai nostri soldati. Gli effetti si poterono vedere all’indomani’ del disastro di Caporetto, quando, al pari di altre industrie belliche, lo stabilimento fornacino venne sollecitato ad intensificare la produzione. L’ing. Orlando firmò personalmente manifesti e volantini che invitavano gli operai a nuovi sacrifici, “Gli operai, scriveva l’ing. Orlando al Prefetto di Lucca, hanno rinunciato al turno di riposo settimanale, comprendendo benissimo che non era questo il momento della tregua al lavoro“. A far crescere questa “idea della mobilitazione” (lo stabilimento di Fornaci era considerato “zona di guerra” e gli operai si recavano al lavoro con una fascia tricolore al braccio), contribuivano poi le “visite” che personalità della vita politica nazionale facevano alla fabbrica intendendo manifestare l’apprezzamento per l’opera che vi si svolgeva. Nel settembre del 1918 venne la Regina Elena, accompagnata dal principe Umberto (nella foto), e non è difficile immaginare quali emozioni abbia suscitato quella visita nello stabilimento e nell’intero ambiente valligiano.

Ma ormai la guerra era alle ultime battute. Le fortune delle nostre armi erano state risollevate. Erano quelli i giorni di Vittorio Veneto. La fine della guerra vittoriosa fu salutata con commoventi scene di entusiasmo. Cortei si improvvisarono per paesi e per borghi. Ovunque si fece gran festa. Con canti, balli, suoni di bande musicali. Gli operai della “Metallurgica” uscirono dallo stabilimento preceduti dalla banda della fabbrica e andarono a recare la “lieta novella” per tutta la Valle, raccogliendo, in ogni paese, che incontravano, altra gente festante.

“Questa guerra sarà l’ultima guerra“. Questa frase che allora passava di bocca in bocca fornisce il senso più vero del complesso dei sentimenti che percorreva quella gente che provava una gioia mai provata. Noi sappiamo che le cose sono andate diversamente, ma sappiamo anche che alla fine di questo secolo “tremendo” una grande verità è stata compresa: non sono le armi che assicurano la pace e la prosperità al mondo. Ed a Fornaci in quello stabilimento, nato con la guerra e per la guerra, oggi si lavora per lo sviluppo e per la pace.

Umberto Sereni

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