I rastrellati raccontano 5 – Flaminio Santi

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Da Il giornale di Barga, n. 184 del 19-07-1964

I RASTRELLATI RACCONTANO: Flaminio Santi

Fuggì dal bastione

Da diversi giorni tutte le volte in cui uscivo di casa, la mia povera moglie diceva : Fai attenzione, ho sentito dire che oggi rastrellano – Io rispondevo rassicurandola con una scrollata di spalle.

Per andare al gabinetto dentistico in Via di Mezzo, ex sede della Cassa di Risparmio di Firenze, prendevo per via della Circonvallazione, fermandomi al “Paolo” a bere un surrogato di caffè. Quel pomeriggio fu come tutti gli altri. Da una settimana gli americani avevano liberato Lucca. A Barga facevamo progetti per quando sarebbe toccato a noi, rassegnati oramai ad avere la guerra in casa. Unica speranza era quella che gli americani facessero una avanzata rapida. Ahimè! non fu proprio così, che a giungere a Barga impiegarono un mese e qui ci stettero dall’ottobre 1944 all’aprile 1945.

Ero nella retrostanza intento a lavorare attorno ad una dentiera balorda alla quale non riuscivo a dare il verso ch’io volevo. La finestra che dà sulla strada, che in quel punto fa angolo e a due passi si trova il Caffè dell’Onelia, era aperta perché quel giorno faceva caldo e non c’era un alito di vento. Lì per lì non feci caso alle voci che venivano dall’Aiaccia. Cominciai peraltro ad ammoscarmi quando con le voci ostrogote udii passi di stivali sul selciato. Mi sentii gelare. Esclamai : Sono loro!

Ebbi uno scatto a molla cercando istintivamente un nascondiglio che non c’era. Entrarono spalancando la porta con una ginocchiata. Avevano i mitra puntati. Io alzai le braccia. Altri perquisirono la casa dai fondi alla soffitta, non tralasciando di rovistare i letti e gli armadi.

Quella pattuglia di rastrellatori veniva da Porta Macchiala e davanti al Forno Marchetti aveva incocciato mio fratello Amedeo che lì di fronte aveva bottega di orologiaio. Adesso assieme agli altri rastrellati, i tedeschi lo portavano via. Nella strada a breve distanza dal gruppo dei rastrellati erano le donne che piangevano ed urlavano. I tedeschi cercavano di allontanarle rassicurandole: No kaput, no kaput. Oppure urlando e minacciando, ma quelle non mollavano. Volevano i loro uomini. Appena scorsi nel branco l’Amedeo, lui disse: Anche te? Io stavo per dire altrettanto a lui.

Prima di scantonare sulla salita dell’Annunziata, lì di fianco c’è una svolta, la quale immette in altre carraie. L’Amedeo senza ch’io me ne avvedessi sparì dentro la volta. Uno che l’aveva visto prendere il volo disse a mezza voce: Il Nacchio ce l’ha fatta. Per me fu di buon augurio.

Il Bastione era pieno di rastrellati, di soldati tedeschi, di donne e di ragazzi. Mi dissero che sarebbero venuti a controllare le carte e quelli che erano in regola li avrebbero rilasciati, lo possedevo un lascia passare di medico-dentista, lo feci vedere ad uno dei graduati tedeschi : Non valeva nulla. A Castelnuovo avrei dovuto andare ugualmente.

La notizia che mi avevano rastrellato era giunta a casa mia nel Pian-grande, ove mio genero poco prima si era salvato riuscendo a nascondersi in una soffitta d’una casa vicina.

Trafelata, accaldata e spaventata, giunse la mi’ Luisa. La gente aveva perduto la testa : chi le diceva che mi avevano portato sull’Arringo, chi al Conservatorio, chi nella Piazzetta di S. Felice. Appena mi scorse nel branco sotto al cedro attorniato da sentinelle tedesche : Babbo!, urlò e diede in dirotto pianto. Io invece avevo già superato il trauma dell’arresto e stavo riprendendomi assai bene, in questo confortato dalla fuga di mio fratello Amedeo. Dissi: Zitta Luisa, non fare storie, non aver paura, andrà tutto bene. Vai a casa e portami un po’ di biancheria. Allora sì, che si mise a piangere. Per farla andar via le feci un urlaccio, altrimenti a piangere saremmo stati in due.

Verso sera ero seduto sulla murella che costeggia la sottostante via del Sasso. Mi stava davanti una signora livornese, mia cliente. Lei, parlava, parlava, ed io ascoltavo distratto, guardando qua e là, controllando con la coda dell’occhio, i movimenti delle sentinelle. Fu una decisione lampo. Dissi alla signora: Continui, continui, a parlare e saltai giù dal muro. Non scappai subito per timore d’essere inseguito e anche mitragliato. Mi fermai accostandomi al muro come stessi per compiere un bisogno corporale. I tedeschi non se n’erano avvisti ed io piano piano, mi scostai raggiungendo di corsa la casa degli amici Italo e Giannina Stefani in fondo alla via del Sasso. Fino a qui era andata benissimo. L’Italo e la Giannina volevano che rimanessi lì, non volli affatto fermarmi, perché a stare fermo mi prendeva lo spasimo. Ripresomi alquanto, attraversai i campi passando sotto i filari delle viti, raggiunsi i “Sedili” a valle della Villa Cantella. Scesi e risalii le “Cosche”, scesi e risalii le sponde di Val di Lago.

Avevo la “fiataccina” e dal correre e dall’arrampicarmi su e giù per i poggi mi dolevano le giunture. Se mi fermavo un attimo a prendere fiato e mi rendevo conto che stavo scappando, mi sembrava impossibile d’avercela fatta. Riprendendo la ire se sentivo abbaiare, per me quelli erano cani tedeschi che seguivano la mia pista. La paura allora mi attecchiva lì dove mi trovavo. Che spasimo e che momenti!

In vai di Lago mi fermai per abbeverarmi ad una polla. In linea d’aria ero lontano da casa mia un trecento metri. Ad un tratto mi prese un convulso di risa, ma a ridere in quella maniera non ci prendevo nessuna soddisfazione. Dal campanile del Duomo sentì suonare le ore e smisi di ridere: un quarto, la mezza, tre quarti. Pausa. Ripresa dei tocchi: uno, due, tre. Le nove e tre quarti. Erano tre ore che fuggivo come un pazzo. Al buio allora cercai di orientarmi verso qualche capanna ove trascorrere la notte. Lì nelle vicinanze non ve n’erano e poi il desiderio di tornare a casa a rassicurare la famiglia prevalse sopra ogni altra considerazione e rischiai l’ultimo tratto nonostante il coprifuoco. Entrai in casa dalla porta di dietro facendo segno con un dito sulle labbra alle mie donne di stare zitte. Nel vedermi fu tanta la sorpresa che neanche ebbero la forza di urlare.

– Santi Flaminio, all’anagrafe “Salvatore”, nato a Barga il 24 maggio 1887. Dentista. All’epoca della memoria abitava nel proprio villino nel Viale C. Biondi (Canteo) –

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