Il 30 aprile 1479 moriva il Beato Michele da Barga (Prima parte)

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Il beato Michele Turignoli da Barga, al secolo ritenuto Lodovico, nacque a Barga l’anno 1399. La famiglia, già allora di benestante posizione economica – in quel tempo fondeva e lavorava il ferro per cannoni a Gallicano (1) – “era fregiata del segnale guerresco” e dette uomini atti alle armi. Tra questi –valido condottiero del secolo XVI- Francesco Turignoli che si distinguerà alla difesa di Firenze repubblicana contro Carlo V, ovviamente distaccandosi –come gli altri- dalla santa figura del predecessore, che mai usò armi se non quelle affidategli dal Signore.

In non più verde età –trentacinque anni- nel 1434, ascoltando la parola del Beato Ercolano da Piegale, sentì in lui farsi vivo e prorompente il desiderio dell’abito del Poverello e come questo Grande Santo lasciò gli splendori della famiglia –per quello che potevano essere- e privo di ogni agio volle dedicarsi al servizio di Dio.

Divenne discepolo del Beato Ercolano, che in quel tempo stava costruendo il convento di San Bernardino in Nebbiana (Inepiana) –in fondo al grande piano di Barga che guarda il Serchio- e in questo nuovo e sacro loco francescano, che oggi più non esiste se non per la presenza di una chiesetta dedicata a quel Santo, Lodovico Turignoli divenne Fra Michele da Barga, dell’Ordine dei Minori Osservanti.

Del maestro imitò l’amore verso Dio e il Prossimo e come lui pure fra Michele, divenutone il successore spirituale in tutta la Valle del Serchio (Fra Ercolano muore l’anno 1451), in età più matura, pur sempre rimanendo un semplice frate, dette il suo fondamentale impulso per la costruzione di monasteri e conventi, rimanendo sempre celato dietro alla sua naturale umiltà. Infatti, nel 1456 avendone creati i presupposti con le sue ferventi prediche, rese necessari due monasteri femminili del Terzo Ordine, quello dedicato a Santa Elisabetta a Barga e a San Bernardino a Castelnuovo (2) e nel 1470-71 il nuovo convento di Barga –a un tiro di schioppo da Porta Mancianella o Reale- che cambiò nome da San Bernardino in Santa Maria delle Grazie. Soppresso il convento nel 1810 –tempo delle riforme napoleoniche- riebbe vita l’anno 1866 con l’affido a una famiglia di Cappuccini che loro volta dedicarono a San Francesco.

In questi gioiosi e edificanti sforzi profuse tutto se stesso con stoica volontà, derivatagli dal grande amore che aveva, sia per l’ordine sia nel volere con quel piglio che lo distingueva, che altri –nel senso più generale e in nome di Dio- si accostassero ai sacri ministeri. Fu appunto, fra Michele, predicatore convincente e infaticabile. Giova ricordare che Michele non fu solo un semplice frate questuante ma aveva ricevuto anche gli ordini per officiare la Messa e si rese sempre disponibile per recarsi in questo o quel borgo della valle in sostituzione dei vari preti che per diverse ragioni ne erano impediti, tornando al convento con l’asino carico di doni in natura e del nero pane fatto con miglio, segale e saggina, che i suoi compagni quasi rifiutavano di mangiare. Al Guardiano del convento ripeteva: se loro non vorranno mangiarlo, io senz’altro lo farò.

La sua parola, ovunque, fu ascoltata con grande attenzione e citando l’Anonimo autore della biografia di fra Michele, scritta agli inizi del secolo XVI –oggi Codice 140 della Biblioteca Landau – Finaly di Firenze- se ne ha la conferma: “Tanto era il fructo che faceva che era uno stupore udire. Imperocché faceva deporre la vanità alle femine vane, rimoveva li homini dalli giochi, faceali essere obbedienti a precepti ecclesiastici et ducevali allo spirito et a pigliare l’abito della santa religione …”

Le sue prediche, concepite come redenzione degli uomini, varcando i ristretti confini del territorio fiorentino di Barga, furono portate in luoghi spesso lontani: la Garfagnana sino alla Lucchesia, la Val di Lima e il Pesciatino furono i campi d’azione e tutto il tragitto da farsi a piedi con un compagno e l’asino. Caldo, freddo, banditi e altre cose del genere, certamente diede pensiero al nostro, ma egli mai se ne curò più di tanto e volle, anzi, che la parola di Dio fosse di dominio pubblico il più possibile, portandola nei luoghi più remoti.

Oltre al predicare, ebbe dal Signore, il dono dei miracoli unito a quello profetico. Dagli annali di Luca Wadding, grande storico e agiografo dell’Ordine –seppur resti a noi dubbioso l’episodio (3)– è riportato quanto segue: “Mancando la barca, steso sotto i piedi il mantello, insieme al compagno traversò felicemente un fiume rapidissimo.” Il fiume era il Serchio e questo per dire dei miracoli che furono di vario genere. Del dono profetico, sempre dal Codice 140 Landau – Finaly, si possono apprendere alcuni fatti che lo stesso Autore asserisce di conoscere con sicurezza. Tralasciando ogni citazione, possiamo dire che tali profezie ebbero del sorprendente e contribuirono a rendere più amato fra Michele, che per altro già lo era, sia in virtù delle già citate qualità ma anche perché, servizievole con tutti e di una bontà che sconfinava oltre l’altruismo.

Il 30 aprile 1479 ci par vedere Barga assopita nel tiepido sole primaverile che all’improvviso si scuote da tanto torpore. Voci di donna rompere la quieta aria e da una finestra all’altra delle case castellane passarsi la triste nuova: Fra Michele è morto! Dal Castello, dove la sua vita si era spenta nella casa paterna dei Turignoli in via di Borgo (4) –questo secondo la tradizione locale- il triste vero, si portò per la campagna. Fra quella gente semplice e umile, che tanto amava e dalla quale sua volta era tanto amato, molto fu il dolore; tutti lo piansero: chi il benefattore, chi il consolatore di tante angustie quotidiane, chi l’apportatore di guarigioni miracolose; anche ogni bambino si rattristò, aveva perso il suo Michele.

Man mano che il triste vero si portava ancora più lontano, un mesto pellegrinare di gente si mosse da ogni villaggio e casolare dell’intera vallata. Venne a rendere omaggio alle spoglie mortali di Fra Michele, che per loro era già il Beato. Il giorno delle esequie molto popolo partecipò e al lento rintoccare della campana l’accompagnamento alla fossa, ove fu sepolto tra la nuda terra, nel chiostro del convento. Più volte i frati dovettero rimettere la terra sul tumulo, perché la gente ne prendeva più di un pugno, credendola miracolosa.

Ai primi anni del Cinquecento, i resti furono dissotterrati e posti all’altare della Natività di Nostro Signore, nella chiesa del non ancora ultimato convento che aveva fondato. Si crede che questa nuova tumulazione coincidesse con il periodo in cui sopra l’altare –circa l’anno 1500-, si pose la pala plasmata da Giovanni Della Robbia “Il Giovane” raffigurante, oltre la Sacra Famiglia e San Girolamo, il Beato Michele in mistica adorazione del Bambino. Nella predella della pala, tra le varie raffigurazioni: Cristo nel sepolcro, ai cui lati ha San Giovanni e la Madonna e più distante San Bernardino e Sant’Antonio da Padova, a completarla si vedono anche i donatori, un uomo e una donna, che si vogliono siano gli sposi ser Jacopo Angeli ed Ermellina Turignoli, genitori dell’umanista Pietro Angeli, e come dal cognome della donna, legati al ricordo del Beato.

In seguito, forse l’anno 1663 o poco dopo, i venerati resti furono raccolti in un’urna dorata che fu posta all’altare espressamente dedicato al Beato Michele, voluto dai discendenti che in quel tempo erano gli Angeli di Barga, Cavalieri di Santo Stefano. Sempre da quest’anno 1663, i resti di un braccio del Beato Michele, tramite gli stessi Angeli di Barga, trovarono posto tra le reliquie del Duomo di Pisa, per essere esposti ai fedeli dopo i vespri della Domenica in Albis.

 

(1) In Gallicano, territorio di Lucca, lavorava il ferro Giovanni Turignoli da Barga fiorentina, detto Zappetta. Vedi: “Medieval Lucca”, M.E. Bratchel; Oxford University press, 2008.

(2) Vedi: il codice 140 della Biblioteca Landau – Finaly di Firenze, databile agli inizi del secolo XVI, dove un anonimo frate scrisse la vita e i miracoli del Beato Michele da Barga. Il testo integrale in italiano è pubblicato nel libro “Il culto del Beato Michele da Barga (1399 – 1479) ” di Pier Giuliano Cecchi; L’Ora di Barga, 2000. 

(3) Di questo episodio del mantello steso sulle acque, Luca Wadding è l’unico agiografo dell’ordine che lo racconti. Qui ricordiamo che alla vita del Beato Michele si confuse quella di altro frate dell’Ordine e sempre di Barga, tal fra Lodovico, del quale resta indecifrata ed enigmatica la presenza.

(4) Su una casa di via di Borgo a Barga, quella dei Menchi, ancora oggi, alzando gli occhi al muro che dà sulla detta strada, si può vedere il trigramma IHS scolpito su di una pietra serena, diffuso e specialmente legato alla memoria di San Bernardino. Questa casa potrebbe essere quella, dove, secondo la tradizione, morì il Beato Michele da Barga, e forse non è un caso che gli stessi Menchi, nel corso del secolo XVIII, come vedremo con il prossimo articolo, assieme alla famiglia Bertacchi, assieme contribuirono al mantenimento e accrescimento locale della devozione allo stesso Beato.

 (continua –Pier Giuliano Cecchi)

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