Un altro libro su San Cristoforo e Barga di Stefano Borsi.

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Si intitola “Storia di San Cristoforo – Origine e diffusione di un culto tra mito e realtà”, l’ultima fatica storica letteraria del prof. Stefano Borsi, nato a Lucca nel 1956, che vive a Roma, insegna Storia dell’Architettura all’Università degli Studi della Campania, ma possiamo anche definirlo barghigiano. Questo, anche di là dal fatto che lo sia per parte di madre, la signora Marta Cola, perché Barga è certamente nel suo cuore e qui viene spesso alla sua casa in via del Giardino.

Il libro, più di trecento pagine, che ha visto luce nel luglio 2017, per la Casa Editrice Libria di Melfi, nella Collana Mosaico, nel cui comitato scientifico, oltre a Borsi, annovera Mario Pisani, Paolo Portoghesi e Nasrine Seraji, si può collocare nel solco tracciato da un simile lavoro che lo stesso Borsi attuò nel 2009 “Le origini di Barga e il culto di San Cristoforo”, che allora destò interesse negli ambiti culturali italiani e anche barghigiani.  Parimenti lo sarà anche quest’opera, improntata all’indagine storica sulla figura di San Cristoforo, cui si lega l’eccezionale culto del popolo di Barga, che fin dai primi secoli dopo il Mille lo elesse patrono con San Giacomo Maggiore, con il tempo a seguire, il Santo gigante rimanendo da solo ad ascoltare le invocazioni della Comunità.

Oltre alla figura del Santo, Borsi ci intrattiene sulle possibili particolarità del suo culto a Barga, presa come area a campione nel suo studio assieme ad altri luoghi, inoltre sulla complessiva e complessa evoluzione del monumento, il Duomo, anche dal punto di vista religioso.

È quella di San Cristoforo una misteriosa presenza nella vita della Chiesa Cattolica italiana e oltre, che Borsi analizza attentamente sulle fonti e memorie che ci portano a lui o che ci aiutano a indagarne un percorso conoscitivo, riuscendo a renderla meno impenetrabile, seppur di lui resti l’enigma di una precisa biografia.

Come detto, un Santo misterioso ma ancora molto presente e figura amata da tutti, tantoché la Chiesa, sopprimendo con Paolo VI l’anno 1969, il culto ai Quattordici Santi Ausiliatori, tra cui San Cristoforo, almeno per il Santo gigante, dovette fare marcia indietro, permettendone la continuazione, perché straordinariamente popolare per la sua invocata protezione di chi guida un mezzo a motore e non solo.

Per meglio inquadrare il lavoro di Borsi facciamo ricorso alla quarta di copertina, in cui, oltre alla biografia sul professore, si presenta il libro con queste parole:

“Questo saggio affronta la storia di oltre dieci secoli del culto dedicato a San Cristoforo, ricostruendone in modo dettagliato le vicende e il contesto storico, le forme e le modalità di diffusione, la stratificazione agiografica, le scelte iconografiche e architettoniche, le collocazioni geografiche e la distribuzione territoriale dei luoghi di culto, le lontane premesse e l’antico substrato precristiano, le molteplici ragioni delle diverse stagioni della variegata fortuna popolare sino al declino, delineando una corposa e documentata sintesi che attraversa il mondo mediterraneo e il continente europeo contribuendo a restituire  un panorama fresco e originale su una fitta trama di relazioni religiose, sociali, culturali ed economiche.

A tutto questo si aggiunge l’indagine in profondità sugli edifici a intitolazione cristoforica  di alcune aree campione partendo da un caso particolare – Barga e la diocesi di Lucca in epoca medievale – per estendere il campo di ricerca fino alla scala continentale.

Un mondo poco conosciuto ma denso di suggestioni, che delinea un’insospettata ma non trascurabile traccia della nostra complessa identità culturale.” 

L’ultima parola del libro è “identità”, usata per definire che la storia della devozione a San Cristoforo offre l’occasione per approfondire l’articolato mondo dei rapporti tra oriente e occidente tramite il Mediterraneo.

Una parola, identità, che noi si mutua anche nel senso della riscoperta di tutto un substrato che in modo particolare ci fa comprendere anche la stessa storia di Barga. Di un borgo montano, la quasi città della valle, che assimila nei primi secoli dopo il Mille un qualcosa di molto importante che poi si lega al culto di San Cristoforo, come a San Giacomo Maggiore, e che gli indica la strada da seguire.

Sarà un caso ma, dopo le guerre del secolo XII, 1169 e seguenti anni, che videro Barga smantellata nelle torri dei “cattani” che si fecero ribelli a Lucca, già sul finire di questo secolo, per l’intervento dell’imperatore Federico Barbarossa, che l’anno 1185 invia ai Consoli e agli Uomini di Barga un diploma significante, la sola dipendenza, appunto imperiale, si possono cogliere chiaramente i sintomi di avversione alla dipendenza della stessa Barga a Lucca e quanto fosse sgradita ai barghigiani. Infatti, sempre in contrasto con Lucca, nel successivo secolo XIII, epoca in cui pare vederla rinata più forte che prima, assistiamo a un chiaro incremento del suo protettivo potere sulle zone a essa inerenti o vicine, in cui gioca la sua particolare partita anche la Santa Sede, che nel ricordo dei lasciti di Matilde, già da molti anni dibattuti con l’Impero, fa di Barga il suo caposaldo politico in Garfagnana. Una presenza che porta ancora guerre e distruzioni nelle terre di Barga e Garfagnana, sino ad accordi che finiscono per vedere prevalere Lucca, che non potrà che conferire alla stessa Barga un ruolo di tutto rispetto in valle, costituendola a capoluogo di una sua vasta Vicaria che varca anche il Serchio e va dagli Appennini alle Apuane.

A cavallo di questi due secoli, sul finire del XII, ecco ampliarsi o ricostruita l’ignota chiesa di Barga, ora espressamente dedicata a San Jacopo e San Cristoforo, in cui si colloca, probabilmente, la colossale statua coronata del Santo gigante che ha sulla spalla il Cristo bambino. Il documento che ci fa conoscere questa interessante notizia è raccolto presso l’Archivio Arcivescovile di Lucca e più volte pubblicato da Raffaele Savigni, che ci ripete anche l’idea di una raffigurazione del Santo quasi concorrenziale in devozione con il venerato Volto santo di Lucca. Questo non tanto per distinguersi religiosamente dalla sede della sua diocesi, bensì a livello politico ed economico, cosa da vedersi, per Barga, forse, anche in un’ottica di una distinzione commerciale, essendo San Cristoforo il santo che spesso è scelto religiosamente a patrono delle “gilde dei commercianti europei”.

Dopo più di duecento pagine d’indagini sulla vita e il culto di San Cristoforo, questa nostra, più che sommaria ricostruzione storica dei fatti di Barga, è analizzata anche da Borsi nel suo libro, precisamente nei capitoli “La statua lignea di San Cristoforo di Barga”, “La consacrazione del duomo di San Cristoforo di Barga”, “Un’iscrizione misteriosa” e “Canonici di San Cristoforo”. Pagine molto interessanti, affrontate nel particolare segno di un’indagine storica, che conferiscono al lavoro un carisma di novità per gli innumerevoli spunti di approfondimento. Per esempio si coglie uno straordinario incentivo di riflessione, quando si dice che il giorno 11 novembre, San Martino, dal Duomo di Barga si può osservare che il sole passa nella bocca, il foro che è nel Monte Forato, nell’antico calendario latino il giorno in cui si poteva dire di essere giunti all’ingresso dell’inverno, particolarmente visivo agli antichi barghigiani e anche ai Liguri – apuani, questi ultimi secondo le loro idee. Momento molto conosciuto e apprezzato da tutti gli studiosi d’Italia nel celebrato doppio tramonto, però leggendo il libro di Borsi, questi riflette, che in tal giorno, oltre a San Martino, ricorre anche la memoria di San Mina d’Egitto, che lo stesso Borsi pensa sia stato il tramite per l’introduzione dell’incerta memoria di San Cristoforo nel continente e ambiente religioso europeo.

Tra le righe si può cogliere anche l’evoluzione costruttiva del Duomo di Barga, il simbolo primo della Comunità, che intorno a essa cresce, particolarmente dopo il suo ingrandimento che va di pari passo, appunto, con l’incremento politico e amministrativo del Comune. Una crescita che parrebbe avere come base, come substrato più importante, proprio la memoria Matilde di Canossa, che di Barga ne fece un suo riferimento in Valle, cui si appellò anche Federico Barbarossa nel 1185, quando dice ai suoi Consoli e Uomini, che ogni buona consuetudine goduta sin dai tempi della Gran Contessa, certamente sarebbe stata rispettata. Quanto detto nel senso che, forse, è proprio con l’intervento di Matilde che in Barga inizia a crescere nella sua coscienza civica, ora assurta nel ruolo di una piccola città nella valle, probabilmente, sua volta, Matilde, mantenendo un’idea proveniente dai suoi maggiori, ora da rispettarsi, anno 1185 del diploma imperiale, perché fu lei che con i suoi lasciti dette l’avvio alla controversia tra Papato e Impero, da cercarsi di risolvere a favore di quest’ultimo, così come avvenne.

Abbiamo detto dell’evoluzione architettonica del Duomo di Barga che Borsi ci descrive e indaga tenendo conto degli studi pubblicati da Giovanni Pera al tempo dei restauri del monumento – anni 1927-1939 – sua volta mutuando, si allude a Pera, uno studio, allora raccolto presso la Biblioteca Governativa, condotto circa gli inizi del sec. XX da Enrico Ridolfi sulle antiche chiese romaniche della provincia di Lucca, tra cui il Duomo di Barga.

È questa una storia ormai classicamente consolidata, seppur esista una diversa visione evolutiva, espressa nel libro “Duomo di Barga e Monte Forato” del 2012, scritto da Mauro Peppino Zedda, dove e in pratica, l’evoluzione del Duomo si vuole svoltasi partendo da una chiesa romanica a tre navate, l’attuale parte centrale, simile a tutte le altre in Valle del Serchio, come San Giorgio di Brancoli, Santa Maria Assunta di Diecimo, Santa Maria Assunta di Loppia e altre. Quest’osservazione è ispirata anche dalla particolare sintonia del monumento circa il Monte Forato e anche da certi elementi costruttivi sempre rimasti inosservati; il tutto dell’idea in parte supportato anche dai rilievi effettuati e pubblicati da Giovanni Pera nel 1937.

Terminando si desidera porre in evidenza, circa il culto a Barga prestato a San Cristoforo, un documento del secolo XVI, precisamente dell’anno 1536. Questo rifacendosi allo studio di Borsi, dove alle pagine 205 – 210, riporta alcuni esempi d’invocazione che in Italia si praticavano per favorire l’intercessione di San Cristoforo presso l’Altissimo, precisamente alla pagina 205, dove si dice, per esempio, che era in uso ripetere “Christophori sancti speciem quicunque tuetur, illo namque die nullo languore tenetur”. Questo distico, quasi uguale si ripete nella delibera comunale di Barga dell’anno 1536, quando il cancelliere del comune trascrive i nomi dei tre uomini di Barga eletti dal consiglio a operai dell’Opera di San Cristofano, appunto, aggiungendo: “Christophori sancti spem quicunque tuetur,  illo namque die nullo languore tenetur”, che pare voler dire che chi tiene l’incarico dell’Opera di san Cristoforo e guarda il santo, sia immune dalle malattie.

In effetti, il santo era invocato anche contro le morti improvvise e non a caso si racconta nel libro che chi vedesse la sua immagine, per tutto il giorno ne era salvo. Da ciò, nell’effettivo ricordo della gigantesca figura del Santo, si usava rappresentarlo enorme a dismisura anche sulle facciate delle chiese, affinché il pellegrino viandante, già da lontano, lo potesse raggiungere con la vista e così sperare ancor di più nella giornaliera salvezza.

Ci sarebbe da dire molto altro ancora del libro ma consigliamo ai lettori di acquisirne una copia e così leggerlo per farsi una precisa idea della probabile storia di San Cristoforo, l’evoluzione del suo culto nelle innumerevoli intuizioni che ci offre Borsi e per i locali, cioè di Barga e Valle del Serchio, per approfondire la storia di questa Città così molto legata al suo Santo e al Duomo che lo celebra.

Pier Giuliano Cecchi

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